Steve Hackett

"Spectral Mornings"

Steve Hackett - Spectral MorningsQuesta musica parla lo stesso linguaggio dei sogni. E potrei finire qui la trattazione del terzo album solista dello storico chitarrista dei Genesis. Ma i sogni non si esauriscono in due righe, hanno bisogno di essere approfonditi, penetrati, non sempre capiti perché ciò toglierebbe loro fascino, ma almeno discussi.
Che questa musica parli lo stesso linguaggio dei sogni lo si intuisce già dal dipinto di copertina, opera dell'allora musa hackettiana Kim Poor, il volto di Steve trasfigurato da una nebbia onirica, appunto, che sembra emergere dai fondali dell'inconscio. “Every Day” si muove alla velocità del vento con lancinanti soli sparati nella stratosfera, introduce all'istante nel cuore del disco, con la voce di Pete Hicks a dar sfogo a ciò che Steve da solo non potrebbe, la giusta ugola, ancora oggi perfetta, per intonare testi immaginifici che, come da genesisiana memoria, eludono piuttosto che dire, sfiorano, lanciano flash subliminali. I cori dello stesso Hackett e del bassista Dick Cadbury sono arcate luminose verso il cielo.

Il duo “The Virgin And The Gypsy” (dal romanzo di D.H. Lawrence dallo stesso nome) e “The Red Flower Of Tachai Blooms Everywhere” è un coacervo di arpeggi iridescenti e spezie profumate; la prima ancora con un maestoso lavoro vocale, la seconda con strumenti d'altre latitudini come il koto e l'ingresso in ampi saloni, torce che ardono ai  muri. Allucinazioni ipnagogiche, l’immagine di George MacDonald che già influenzò il giovanissimo Peter Gabriel, “Le fate dell'ombra” e il trittico di “Lilith”, vecchia Inghilterra, teste mozzate sul campo da croquet, è di nuovo tutto qui e prosegue. L'apocalisse di “Clocks - The Angel Of Mons”, mellotron a pioggia, i pattern ritmici di John Shearer figli del drum duet di “Los Endos”, basata sulla leggenda secondo la quale la fortunosa ritirata dei 4000 soldati del Corpo di Spedizione Britannico, accorsi in aiuto del Belgio e della Francia nordorientale ma travolti da 21.000 soldati tedeschi, fu possibile solo grazie all'intervento soprannaturale di spettri. Ecco le mattinate spettrali. Un altro visionario da amare incondizionatamente, Arthur Machen, diffuse la storia, mentre al termine del lato A Steve si prende in giro con “The Ballad Of The Decomposing Man (featuring The Office Party)”, aiutandosi con le sonorità bizzarre dell'Optigan, sorta di campionatore ottico in cui i suoni di vari strumenti musicali erano registrati in dischi di celluloide.

Si gira il disco con il trittico “Lost Time In Cordoba"-"Tigermoth -"Spectral Mornings", una lunga suite che copre interamente il lato. La prima è uno degli apici del sogno, con chitarra classica e il flauto di John Hackett a tessere una tela trasparente di incantesimo, poi sostituito da un oboe sintetizzato del mago Nick Magnus. Ancora si sorvola il campo di battaglia, i bass pedals, le aperture tese e sinfoniche con gli imperiosi cori del mellotron e le voci filtrate al contrario, in marcia! “Tigermoth”, ancora un racconto di fantasmi di guerra, Steve da sempre affascinato dalla storia vicina o lontana, sempre un libro antico che si apre, scovato chissà in quale oscuro rigattiere, sfogliando le pagine ingiallite alla luce di una candela, la pioggia che scroscia oltre le finestre. Infine la title track, apertura in assolvenza e poi dentro la meraviglia, semplicemente, insieme a “Firth Of Fifth”, la regina delle melodie scritte da Steve. Un sogno dentro a un sogno.