Darkspace

Darkspace

Black-metal cosmico

Il viaggio cosmico di questo misterioso trio svizzero è un tuffo nell'abisso interstellare, un monumento all'oscurità dell'universo. Con loro il black-metal scopre il fascino sconfinato di miliardi di galassie senza vita

di Antonio Silvestri

I have seen the dark universe yawning
Where the black planets roll without aim,
Where they roll in their horror unheeded,
Without knowledge, or lustre, or name.
(H.P. Lovecraft, "Nemesis")

Gli svizzeri Darkspace nascono nel 1999 come un trio dalle identità misteriose. L'unico musicista con un passato conosciuto è Tobias Möckl, il solo membro della band ambient-black-metal Paysage d'Hiver: là si faceva chiamare Wintherr mentre in questo progetto opta per Wroth (iracondo) e imbraccia la prima chitarra. La seconda è suonata da Zhaaral, mentre il basso spetta all'unica donna del trio, nome in codice Zorgh. Tutti e tre contibuiscono alle caotiche voci, talmente distorte e sommerse negli arrangiamenti da rendere difficile identificare chi canti cosa.

La creatura musicale dei tre può ambire all’Olimpo delle band black-metal più estreme di tutti i tempi. Non è, tuttavia, solo una questione di potenza, velocità o ferocia, in quanto il loro è un estremismo estetico meno scontato, basato su una monolitica scelta musicale. Ispirati alla cultura fantascientifica e affascinati dall’ambiente spaziale e dalle desolate lande cosmiche, i Darkspace hanno costruito un’intera carriera tributando l’universo e la sua immensa vacuità. Nel rappresentarlo, in musica, hanno evidenziato una palese verità: il cosmo è soprattutto fatto di morte, solitudine, vuoto e buio. Allontanatisi dalle pose sataniche e misantrope di molti colleghi, i Darkspace hanno quindi definito un soggetto centrale della loro opera, dimostrando una coerenza da integralisti. I collegamenti con capisaldi del cinema come "2001: Odissea Nello Spazio" e "Alien" aiutano a comprendere quale tipo di visione dell'extraterrestre sia presente nelle loro opere.

Il suono di questi spazi sconfinati, inospitali per la vita e inesplorati è un black-metal dalle forti suggestioni atmosferiche, che tuttavia rifugge ogni spunto folk o ambient, intrecciandosi raramente con la melodia. La componente atmosferica è anzi intrisa di paesaggi sonori oscuri, angoscianti, dissonanti e inquietanti. Le costruzioni armoniche e melodiche ricordano più il noise che la musica popolare. Anche dal punto di vista del sound, la band sfoggia un integralismo impressionante: precisi riferimenti estetici, principalmente nella scena black-metal, si alternano ad austeri passaggi che dialogano con le più truci cacofonie. Non c’è molto spazio per percorrere strade alternative a questo rigido modello, proposto con perseveranza punitiva all'ascoltatore.

La “forma” non è meno estrema, visto che le composizioni sono spesso colossali non solo nel sound, ma anche nel minutaggio: 7 brani per i 76 minuti dell’esordio Dark Space I (2003), 3 brani per i 54 minuti di Dark Space II (2005), 79 minuti per i 7 brani di Dark Space III (2008), 64 minuti per i soli 3 brani di Dark Space III I (2014). Brani chilometrici, album mastodontici e un suono severo, che raramente lascia respirare l’ascoltatore. È una sfida per i timpani e la psiche, un tuffo nell'abisso cosmico che richiede dedizione e coraggio.

La loro estetica senza compromessi è ben esposta anche dalle copertine, tutte dominate dal nero e con pochi elementi distintivi, e dai titoli di brani e album: ogni composizione è semplicemente catalogata come "Dark" seguita da un numero progressivo e l’indicazione dell’opera da cui è tratta. Visto che gli album hanno numeri progressivi, sarà "Dark 1.4" il quarto brano del primo album e "Dark 2.9" il secondo brano del secondo album e così via. Sembrano così suggerire che si tratti in realtà di un unico, colossale, immenso album composto da suite in numerose parti. Dal punto di vista degli arrangiamenti, la proposta è decisamente atipica: dominano le parti strumentali e il suono delle chitarre assordanti, con basso e batteria che raramente giungono a rivestire un ruolo primario. La dimensione ritmica tanto cara al black-metal finisce in secondo piano, contribuendo a rendere ancora più inumana la proposta. Il canto, estremo e inintellegibile, è degno del più oscuro black-metal, un concentrato di dolore e sofferenza che difficilmente diventa comprensibile.

I Darkspace hanno creato per il black-metal quello che i Khanate hanno creato per il doom: un punto di non ritorno, l'estremo a cui riferirsi per delineare i confini della musica più oscura e angosciante. Il paragone con altre formazioni di culto del black-metal atmosferico come Wolves In The Throne Room e Alcest è fuori luogo, così che il parallelo più credibile è con il suono esoterico e spaventoso dei brani-monstre dei Deathspell Omega.

Dark Space I (2003) è un primo, scioccante, tuffo nel nero delle galassie. Gli 8 minuti di "Dark 1.1", con le chitarre a volumi spropositati a guidare la carica, disorientano l’ascoltatore, tramortito poi da "Dark 1.2" (12 minuti), passo funebre e bave psichedeliche, una tetra allucinazione cosmica. Nella prima si segnala anche un campionamento di HAL 9000 da "2010 - L'anno del contatto". Nessuna pausa in "Dark 1.3" (12 minuti), un concentrato di black-metal assordante che si chiude in una magmatica e spaventosa orchestra di distorsioni allucinate, mentre impazza una carneficina sonora. La chiusura del brano è una messa aliena degna delle trenodie di Schulze. "Dark 1.4" (10 minuti) inserisce un battito di drum-machine quasi techno, altro elemento disorientante nell’apocalisse degli arrangiamenti, ma chiude con una possente marcia bellica.

A più riprese, l’opera sembra superare se stessa in violenza e visionarietà, incendiata da un estremismo viscerale. "Dark 1.5" (13 minuti) è un attacco mortale di chitarre che si scatena in ventate di una violenza ai limiti dell’harsh-noise. Come se avesse esaurito la sua spaventosa carica, la nube tossica di detriti cosmici e di morte sembra lentamente allontanarsi in "Dark 1.7" (12 minuti).

Come raramente accade, si ha l’impressione di essere giunti a uno dei confini delle possibilità musicali ed estetiche di questa musica, come se in un colosso assordante come questo, lungo ed estenuante, si fossero esaurite tutte le efferatezze possibili. Nella sua monolitica coerenza, Dark Space I soffre di ripetizione e di lungaggini, certo, ma forse non merita di essere pesato sulla bilancia della varietà e dell’eterogeneità: piuttosto, è un’opera estrema dal suono altrettanto incompromissorio, che ben traspone paesaggi sconfinati e dolori inenarrabili. Perso nel cosmo che da sempre vorrebbe conquistare, l’uomo è circondato solo da morte e solitudine: è l’incubo della conquista dello spazio trasposto nel verbo black-metal.

Dark Space II (2005), invece di arretrare, esagera ancora di più, proponendo solo tre brani, due oltre i venti minuti. "Dark 2.8" (24 minuti) sfrutta la dilatazione ulteriore per descrivere da solo un viaggio nel più aberrante cosmo senza vita: dopo un’introduzione di un paio di minuti, i fendenti di chitarra alzano la tensione e aprono alla sinfonia cosmica che segue, lenta e maestosa, guidata da un battito che ricorda persino il motorik del kraut-rock. Dopo 8 minuti si alza un vento gelido e assordante, le chitarre sembrano parlare lingue insondabili e orribili; si dipana, a perdita d’occhio, un black-metal estremo e struggente che rallenta solo dopo il diciottesimo minuto, deflagra prima del ventunesimo e scivola poi lentamente nel vuoto infinito interstellare. "Dark 2.9" (10 minuti) funge da intermezzo atmosferico, ma è fatta di miasmi radioattivi di esplosioni stellari, non certo di malinconiche melodie: le chitarre guidano una sinfonia desolante e inquietante, mentre voci aliene parlano lingue incomprensibili. "Dark 2.10" (20 minuti) prosegue la loro missione estrema, distinguendosi per un finale affidato a lugubri spunti dark-ambient. Si segnalano alcuni campionamenti dal film "Alien".
Dark Space II non può vantare l’effetto sorpresa dell’esordio e nonostante sia un album 22 minuti più breve dà l’impressione che "Dark 2.10" sia in buona parte superflua, incapace di aggiungere molto a quanto già ripetuto con fiero oltranzismo negli altri brani. "Dark 2.8", tuttavia, potrebbe essere il capolavoro della carriera: 24 minuti che sintetizzano in un brano colossale un’estetica estrema.

Dark Space III (2008) è un album che prende la strada più ovvia: invece di cercare suoni più violenti o replicare quelli già ascoltati nelle prime due raccolte, tenta composizioni più varie. Maggiore spazio all’atmosfera, angosciante e visionaria, ma pochissime concessioni in termini di accessibilità. Quando anche la melodia affiora, è dissonante, funebre, epica e mai rasserenante. "Dark 3.11" (11 minuti) riesce nell’impresa impossibile di far muovere uno spasmo black-metal su una lentissima trenodia doom, orchestrando il tutto come una sinfonia assordante. Sono chitarre più melodiche a donare poesia a questa mattanza, come nella coda di "Dark 3.12" (11 minuti), piena di mistero.
"Dark 3.13" (12 minuti) ha un rallentamento spaventoso nel finale, da antologia del metal estremo: colma in pochi minuti il gap fra un harsh-noise/black-metal e i riff trucidi degli Slayer. "Dark 3.14" (11 minuti) evita persino di accelerare, così dalle pieghe degli arrangiamenti affiorano cartoline provenienti da altre galassie. Usa uno stratagemma simile anche "Dark 3.17" (17 minuti), con la sua lunga coda atmosferica.
Pur fiaccato da una lunghezza esagerata (79 minuti), anche Dark Space III merita citazione nella storia del metal estremo.

Dark Space III I (2014), con la finezza di rinunciare persino a IV in nome di un'estetica minimale oltranzista, è il primo album dopo 6 anni. Ricorda le composizioni immense di Dark Space III, ma con l’attenzione all’atmosfera di Dark Space II e qualche novità in termini di musica elettronica. "Dark 4.18" (27 minuti) ha una cassa devastante che propelle un’apertura degna della più imponente sinfonia apocalittica. Leggermente più inteleggibile, si avverte questa volta una qualche divisione in parti della suite, si distinguono rare melodie raggelanti, si apprezzano le fantasiose variazioni dell’affollato panorama vocale (growl, scream, effetti) e l’arsenale di sconquassanti riff chitarristici. Si tratta della degna erede di "Dark 2.4". "Dark 4.19" (18 minuti e mezzo), col suo ritmo più lineare, palesa un’influenza che in "Dark 4.18" si avverte solo a tratti: una struttura industrial-metal, che incanala l’energia in solide geometrie corazzate. Caso più unico che raro, una frenetica melodia di chitarra si distingue chiaramente sia in "Dark 4.19" sia in "Dark 4.20".
Per i loro canoni è un album più accessibile, ma rimane la capacità di trasportare in territori inesplorati, indescrivibili e alieni con commistioni violentissime. Un punto d’inizio accessibile per i nuovi ascoltatori, ai quali si richiede comunque la volontà di gettarsi in un gorgo cosmico insondabile.

Per ritornare sulla scena attendono addirittura un decennio. Dark Space -II (2024) propone un unico brano di 47 minuti. Non è chiaro il motivo di un titolo che sembra collocare la composizione prima di tutto quanto già prodotto dalla formazione, al solito estremamente laconica. Di fatto, però, il mastodontico sound della band svizzera qui vita verso l’industrial-metal, con synth drum machine a rivestire un ruolo importante, in una maniera che già si ascoltava sul demo Dark Space -I (2002; riedito nel 2012). Insolitamente privo di asperità estreme, il ritorno dopo un decennio della formazione svizzera non trova sempre la varietà e creatività che servono per giustificare una composizione di tre quarti d'ora ma è difficile non lodarne le capacità di evocare paesaggi spaziali ostili e perversamente affascinanti. Per la loro discografia, un album comunque minore e minacciato più volte dalla noia, che avrebbe goduto di uno svolgimento più snello.

Il metal non è nuovo al fascino del cosmo, una delle tematiche preferite dei Voivod, un campo in cui si sono espressi persino i padri fondatori del genere, i Black Sabbath ("Planet Caravan", "Symptom Of The Universe"). Più recentemente si è iniziato a parlare di cosmic-black-metal per band come i tedeschi Alrakis, gli australiani Moon e Midnight Odissey, i greci Spectral Lore, gli svedesi Lustre, i brasiliani Arvorar e gli statunitensi Eternal Valley. Sono tutte band nate dopo il fondamentale contributo dei Darkspace e che spesso ne seguono le scelte estetiche, nei casi migliori proponendo nuove evoluzioni. Un ruolo di capofila che la band svizzera riveste rimanendo nell'anonimato, pubblicando opere con il contagocce, senza arretrare dalla propria scelta musicale estrema e regalando, album dopo album, un nuovo frammento del più imponente monumento all'oscurità della galassia che sia mai stato composto.

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Discografia

Dark Space I(Haunter Of The Dark, 2003)

Dark Space II (Haunter Of The Dark, 2005)

Dark Space III(Avantgarde Music, 2008)

Dark Space III I(Avantgarde Music, 2014)
Dark Space -II(Season Of Mist, 2024)
Pietra miliare
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