Orbital

Orbital

When time becomes a loop

All'inizio degli anni 90 un'intera generazione di ragazzi inglesi, cresciuta con la new wave e folgorata dalla house di Chicago e Detroit, stava creando un nuovo codice per il pop del nuovo millennio. Paul e Phil Hartnoll giocarono un ruolo fondamentale, rivoluzionando la scena elettronica e trasformando il dj set in un vero e proprio evento musicale, dove l'aspetto scenografico si univa a quello prettamente musicale. Ripercorriamo la loro storia dagli esordi alla recente reunion, passando per l'addio annunciato nel 2004

di Roberto Mandolini

È durata quindici anni la carriera degli Orbital, dal 1989 al 2004, prima della reunion che nel 2009 ha sancito il loro insperato ritorno. Quindici anni in cui la musica elettronica è entrata definitivamente nelle maglie del pop. E la musica di consumo ne ha assorbito il Dna, metabolizzandone forma e contenuti. Per la terza volta nella storia della popular music, si è diffusa a macchia d'olio una british invasion. Esattamente nelle stesse modalità delle due volte precedenti. Come i Beatles, i Rolling Stones ed Eric Clapton avevano riportato in America (e diffuso nel mondo) l'r'n'b di Chicago e di Detroit, e come l'onda new romantic di Duran Duran, Wham! e Spandau Ballet aveva fatto lo stesso con la pop-art di New York, così all'inizio degli anni 90 un'intera generazione di ragazzi inglesi cresciuta con la new wave e folgorata dalla house di Chicago e Detroit, stava creando un nuovo codice per il pop del nuovo millennio.

All'inizio di questa rivoluzione gli Orbital giocano un ruolo fondamentale. Una delle loro prime tracce, "Chime", incisa e pubblicata per la prima volta nel 1989, li porta a Top Of the Pops, la trasmissione televisiva musicale più vista in Gran Bretagna. Il passaggio in tv non danneggia la popolarità di Paul e Phil Hartnoll, che già al tempo spopolavano tra il pubblico dei rave, feste illegali a base di musica dance e pasticche di droga sintetica (il legame con l'ambiente anarchico e hippie inglese continuò e non si interruppe mai, anche quando gli Orbital volarono in cima alle classifiche di gradimento).

I primi due omonimi album, The Green Album e The Brown Album dal colore delle rispettive copertine, non entrano però nella top ten britannica - come invece faranno gli album successivi - gettando tuttavia solide basi per l'ammodernamento dei gusti del popolo indie. Chemical Brothers, Prodigy e Fatboy Slim devono parte del loro successo ai fratelli Hartnoll. Ci sono un paio di (brutte) raccolte che mettono in fila questi primi successi: "The Moebius" (dove appare per la prima volta il campionamento della frase di Worf, il klingon di "Star Trek", "Time Becomes A Loop"), l'irresistibile "Chime", l'altrettanto famosa "Belfast" e il loro singolo più di successo, "Halcyon", che campiona una precedente hit degli Opus III.

Il successo arriva con il terzo disco, Snivilisation. Pubblicato nell'estate del 1994, vola subito nella top ten inglese (esordisce al quarto posto) per poi apparire in molte delle playlist di fine anno delle riviste di musica. L'album riflette attraverso le lenti degli Orbital il successo dell'ambient/trance di Future Sounds Of London e Orb: "Forever", la traccia che apre il disco, è come un bagno in una piscina piena di nuvole. Il talento degli Orbital viene fuori in tutta la sua irruenza in tracce come "Sad But True", "Are We Here" e "Klein Trink Wasser", un ibrido classico-elettronico che anticipa di qualche mese i valzer al silicio di Aphex Twin pubblicati sull'album "Richard D. James".
Su Snivilisation fa la sua prima apparizione una giovanissima Alison Goldfrapp, oggi lanciata in una brillante carriera solista. Nel frattempo gli Orbital trovano il tempo di pubblicare le loro Peel Sessions e fare la prima apparizione sul palco del celeberrimo Glastonbury Festival. Nell'edizione dell'anno seguente sono addirittura headliner e riscuotono un successo inaspettato. Gli Orbital trasformano un dj set in un vero e proprio evento musicale. Spaziando dall'aspetto scenografico a quello prettamente musicale, le loro esibizioni sono entrate nella storia: oceani di persone a ballare senza alcuna distinzione, tutti assieme, indie-nerd, raver, b-boy, metallari e freakkettoni incollati a guardare le antenne luminose delle cuffie dei fratelli Hartnoll. L'unica testimoninza della celeberrima e imperdibile versione mash-up di "Halcyon" con le voci di Bon Jovi e Belinda Carlisle è contenuta nel cofanetto dal vivo Live at Glastonbury 1994-2004.

Dopo un remix per Madonna ("Bedtime Stories") e una traccia per un videogioco della Playstation ("WipEout") gli Orbital pubblicano nel 1995 l'Ep Times Fly e il triplo cd singolo Evil Santa/Satan Live, contenente diverse versioni di "Satan" più altre vecchie tracce live, che anticipano il disco dell'anno seguente, In Sides, il loro capolavoro.
La svolta cinematica di Snivilization viene accentuata e le tracce diventano sempre più lunghe. "The Girl With The Sun In Her Head" apre l'album su uno scenario degno dei migliori romanzi di James Ballard: oscuri raggi solari scaldano una melodia avvolgente su una base ritmica sinuosa, che sembra ripetere le geometrie delle dune in un deserto. La traccia è stata registrata utilizzando un generatore solare costruito da Greenpeace. L'atmosfera angosciante di "P.E.T.R.O.L." lascia il posto all'enigmatica "The Box", vera sinfonia elettronica degna del miglior Vangelis, la cui prima parte fa da prologo e intro alla seconda. Scenari alla "Blade Runner" che si rinnovano nello scurissimo funk elettronico di "Adnan's", traccia già inclusa nella raccolta voluta da War Child "Help".
Gli Orbital sono ormai delle star riconosciute anche a Hollywood, dove viene loro commissionata una nuova versione del tema del telefilm "The Saint" per il remake cinematografico diretto da Philip Noyce (brano poi incluso in una edizione speciale di In Sides).

Gli ultimi anni di carriera sono privi di sorprese. Gli Orbital continuano a suonare dal vivo in importanti festval (nel 1997 partecipano al Lollapalooza) ma su disco non riescono più a raggiungere i livelli di Snivilization e In Sides.
Su The Middle Of Nowhere del 1999 colpiscono solo le due tracce cantate da Alison Goldfrapp, "Nothing Left 1 & 2".
Sul successivo Altogether del 2001 neanche la rediviva Kirsty Hawkshaw degli Opus III riesce a risollevare le sorti di un album mediocre.
Gli Orbital hanno perso il contatto con le mille, piccole rivoluzioni della musica elettronica. Quello che riescono a fare nel migliore dei modi lo dicono nella colonna sonora del film di Marcu Adams Octane, e nel loro canto del cigno, The Blue Album, pubblicato privatamente nel 2004. Gli archi presenti nell'intro "Transient" rimandano alla meravigliosa "Kein Trink Wasser" (da Snivilization); le progressioni schulziane di "Pants", "You Lot" e "Lost" ricalibrano i neuroni sulle frequenze dell'epica oscura di "The Box" (da In Sides). Nell'ultima traccia dell'album, "One Perfect Sunrise" la sempre divina Lisa Gerrard addolcisce il commiato.

Dopo lo scioglimento del gruppo, Paul Hartnoll ha continuato a scrivere musica per videogame e ha pubblicato durante la primavera del 2007 il suo primo album solista, The Ideal Condition. Nonostante un cameo di Robert Smith che avrebbe dovuto lanciare l'album in alto nelle classifiche, The Ideal Condition è stato un flop per pubblico e critica. Anche Phil Hartnoll non ha perso tempo e con l'amico Nick Smith ha formato il duo elettronico Long Range, il cui album di debutto, "Madness And Me", è stato pubblicato privatamente alla fine dell'estate dello stesso anno.

Ma ecco che, insperata, due anni dopo arriva la notizia della reunion degli Orbital, il cui unico scopo pare essere inzialmente la pubblicazione della compilation Orbital 20, un mix di rarità, outtake, successi e remix, degna commemorazione per i vent'anni di carriera. Ma all'album seguono la ripresa di una costante attività live e il susseguirsi di voci che vorrebbero i fratelli Hartnoll impegnati anche sul versante discografico, per un nuovo disco di inediti a cinque anni dal Blue Album.

Voci che trovano conferma nel 2012 con la pubblicazione di Wonky, non semplicemente il nuovo album degli Orbital, ma una traccia del percorso storico che si rinnova mentre fiumi di carta stampata hanno tentato inutilmente di spiegarne i contenuti agli out of rave. Paul e Phil Hartnolt riaprono le pagine di un romanzo sonoro mai del tutto completato, rimescolando elettronica moderna con synth analogici. Sono ancora padroni dei segreti del trasformismo tecnologico: in "New France" si avventurano in spazi siderali inediti nel tentativo di creare un nuovo hype coinvolgendo l'alieno di turno (Zola Jesus), altrove applicano metodologia dubstep, come nelle eccellenti linee di basso di "Beelzedub", uno dei migliori episodi di tutto il lavoro.
Ma il vero obiettivo dell'album è tentare di ricreare un archivio logistico da cui ripartire: ed ecco che il pulsare dei sintetizzatori scuote con un leggero brivido di autocoscienza robotica le note di "Straight Sun", ma senza sconfiggere le tre leggi di Asimov, mentre "Stringy Acid" risponde a milioni di sms dei patiti del rave stupendoli senza effetti speciali, semplicemente allineando armonie brillanti e corrosive, che restano il vero patrimonio del duo (come conferma l'affascinante giro armonico di tastiere di "One Big Moment"). La formattazione è quasi completa, mancano solo i file archiviati nei nostri database emotivi: siamo quaindi costretti ad attendere che il duo li corrompa con rabbia e furore spingendoli verso lidi acid-house in "Distraction" o ci tormenti con i propri dubbi in "Where Is It Going?".

Coscienti di essere stati vittime di un divorzio dal loro pubblico, gli Orbital cercano di riconquistarlo senza ricorrere alla nostalgia e regalando semmai indizi preziosi ai nuovi fan del rave e delle sue sub-cultures e regalando così, nelle nove creazioni di Wonky, più di un motivo per ravvivare la nostra fiducia.

Il duo giunge alla terza reunion della loro quasi trentennale carriera nel 2018. Dopo la sublimazione dell'era rave, con le ansie di una gioventù autodistruttiva, eppure pienamente dinamica, a fungere da esempio massimo, Monsters Exist prova a unire i cocci persi per strada, fondendo presente e passato.

Esegesi del nuovo lavoro è "Hoo Hoo Ha Ha", un brano così kitsch da risultare indigeribile, sia per le scelta dei suoni, sia per la costruzione melodica praticamente inesistente. Fanno meglio "The End is Nigh", trance che sprofonda in un electro-pop in salsa M83, e il rock quasi industriale di "The Raid". E mentre la title-track sgorga suoni glitch-pop, è nell'acid-house di "P.H.U.K" che gli Orbital tornano alle origini, incidendo quantomeno un brano festoso e scalcinato. Purtroppo, la mancanza di organicità e la fragilità del sound generale non motivano a riascoltare questo nuovo album. 
Potrà essere deprimente prendere atto che oggi la musica degli Orbital abbia perso quel necessario filo conduttore che la collega al presente. Ma per chi non conoscesse la storia del duo, questa potrebbe essere l'occasione adatta per riprendere in mano i lavori di un passato a conti fatti fin troppo lontano.

Esattamente come accaduto per i venti anni di carriera giunge - seppur tardivamente a causa del blocco pandemico - giunge nel 2022 la celebrazione del trentennale. 30 Something si presenta come una doppia pubblicazione equamente divisa tra riproposizioni di classici appositamente rieditati e rimodulazioni degli stessi affidate ad una schiera di produttori in qualche modo debitrice dell’operato dei fratelli Hartnoll.

Ad aprire il primo disco troviamo due inediti – apprezzabile “Smiley” in perfetto stile retrò-Orbital, decisamente meno degno di nota “Acid Horse” – e una nuova versione di "Where Is It Going?" che include la voce di Stephen Hawking, ma a prevalere nettamente sono le versioni delle sei tracce riviste dal duo. Capisaldi quali “Halycon”, “Satan” e “The Box” trovano rinnovata linfa ed ulteriore spinta nutrendosi degli arrangiamenti roboanti sperimentati durante i live set, amplificando l’intensità del loro mirabile intreccio ritmico/melodico. Di segno opposto sono le risultanze di gran parte dei remix che poco aggiungono alle versioni originali tendendo invece spesso ad appiattirne la ricercata complessità. Fanno eccezione l’interpretazione cosmica di "Halcyon & On" predisposta da Jon Hopkins, il groove travolgente ideato da John Tejada per “Impact” e la coda ambient proposta da Lone per “The Girl with the Sun in Her Head”.

A conti fatti si tratta di una celebrazione a due velocità, che dimostra quanto i maestri siano ancor oggi difficili da superare sul loro specifico campo. Resta da capire se Paul e Phil sapranno trovare nuovi stimoli per proiettarsi verso un futuro luminescente quanto lo è il loro passato.

Contributi di Gianfranco Marmoro ("Wonky"), Matteo Trapasso ("Monsters Exist"), Peppe Trotta ("30 Something")

Orbital

Discografia

ALBUM
Orbital (aka the Green Album) (FFrr, 1991)

Orbital 2 (aka the Brown Album) (Internal / FFrr, 1993)
Peel Session (Internal, 1994)

Diversions (FFrr, 1994)

Snivilisation (Internal, 1994)

In Sides (Internal, 1996)

Satan Live (Internal, 1997)

The Middle Of Nowhere (FFrr, 1999)

The Altogether (FFrr, 2001)

Work 1989-2002 (Singles/Rarities Collection) (Ffrr, 2002)

Octane (OST) (EMI, 2003)

The Blue Album (Orbital Music, 2004)

Halcyon (Best Of) (antologia, Orbital Music, 2005)

Orbital: Live at Glastonbury 1994-2004 (live, ACP, 2007)

20 Orbital (raccolta, Rhino, 2009)
Wonky (ACP, 2012)
Monsters Exist (ACP, 2018)
30 Something(Orbital Recordings, 2022)
EP E SINGOLI
Chime (Oh Zone, 1989)
Omen (FFrr, 1990)
Satan (FFrr, 1991)
Midnight/Choice (FFrr, 1991)
Mutations EP (FFrr, 1992)
Radiccio EP (Internal, 1992)
Lush (Internal, 1993)
Are We Here? (Internal, 1994)
Belfast (Volume, 1995)
Times Fly (Internal, 1995)
The Box (Internal, 1996)
The Saint (Ffrr, 1997)
Style (FFrr, 1999)
Nothing Left (FFrr, 1999)
Beached (With Angelo Badalamenti) (FFrr, 2000)
Funny Break (One Is Enough) (FFrr, 2001)
Illuminate (FFrr, 2001)
Rest/Play EP (London, 2002)
One Perfect Sunrise/You Lot (Orbital Music, 2004)
Pietra miliare
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