Squallor

Squallor

I poeti del turpiloquio

Inqualificabili nel senso etimologico del termine, gli Squallor sono un sotterraneo oggetto di culto trasversale tra appassionati di pop-rock e semplici buontemponi. Abilissimi autori e arrangiatori, hanno sacrificato potenziali hit al gusto della dissacrazione. Con testi che coniugavano nonsense, volgarità e un caustico sense of humor

di Antonio Lo Giudice

Torna a casa, Pierpaolo!

I - Sagre di Paese

Rumori di sagra nell'Italia del Sud: la gente che parla a voce alta per strada, i botti immancabili già dal primo mattino, le autoradio e il continuo sgasare delle macchine incolonnate e i venditori ambulanti di cassette audio. Si intuisce che siamo negli anni 80, quando ti rifilavano le cosiddette "cassette marocchine" - ovvero quelle pessime registrazioni pirata, in cui i brani sfumavano dopo i tre quarti della durata effettiva - e tutti avevamo uno zio scapestrato con un paio di dischi degli Squallor di questo formato in macchina, che, ovviamente, si guardava bene dal mettere su quando c'era anche nostra madre. La cosa che ti restava più impressa a quella tenera età era, inutile negarlo, il costante turpiloquio in brani come "Berta" o "'O Tiempo se ne va"- con tutta la tua ingenuità dell'epoca, ti stupivi che quella annichilente sequenza di parolacce potesse trovare patria al di fuori dalla mezz'ora di ricreazione e, addirittura, essere registrata su una cassetta.
Poi cresci e, per un po', agli Squallor non ci pensi più: li derubrichi a pagliacciata, buona per la generazione precedente come gli stucchevoli doppi sensi delle canzoni di Arbore. Finché, per caso, qualche amico con trascorsi simili ai tuoi tira all'improvviso fuori qualche citazione come "là dove finisce il fiume, inizia il film" oppure "gioco l'asso e tu il tre, piglia 'o cazzo e scutulè!" e ti torna in mente l'odore di quei sedili e il fruscio di quelle cassette. Mosso da curiosità e nostalgia, cerchi una delle tante raccolte degli Squallor e scoprì di essere diventato abbastanza maturo per poter finalmente comprendere il genio nascosto dietro la trivialità e il nonsense di quei brani. Oltre a renderti conto di avere quasi gli anni che tuo zio aveva all'epoca...

II - Sputare nel piatto in cui si mangia


Inqualificabili nel senso etimologico del termine, gli Squallor sono un sotterraneo oggetto di culto trasversale tra appassionati della musica pop/rock e semplici buontemponi. I primi si investigano sulle ragioni per cui questi 14 album di un gruppo poco più che fantasma (nessun concerto o intervista e pochissimi passaggi nelle radio) godono tutt'oggi dell'amore incondizionato di numerose persone, i secondi se la ridono e basta. Parte del loro enigma sta nella singolare formazione del gruppo: Daniele Pace era un compositore e cantante milanese, autore di brani come "Nessuno mi può giudicare", "La pioggia", "Io, tu e le rose" oltre che "Alla fine della strada" portata al successo nella sua versione inglese ("Love Me Tonight") da Tom Jones. Alfredo Cerruti, napoletano, era un discografico di successo, nonché direttore artistico della Cbs, Cgd e Ricordi, case per le quali verranno pubblicati i dischi del gruppo. Giancarlo Bigazzi, forse il più noto del lotto, era fiorentino e un numero impressionante di successi della canzone italiana dagli anni 60 al decennio scorso portano la sua firma ("Luglio", "Lisa dagli occhi blu", "Erba di casa mia", "Montagne verdi", "Gloria", "Gente di mare", "Gli uomini non cambiano", "Cirano"... ma la lista è infinita). Totò Savio era un chitarrista e cantante partenopeo, anche lui autore di vaglia. Infine, nel primo disco, va segnalata anche la partecipazione del discografico Elio Gariboldi.

Si trattava di cinque amici nella vita, all'uscita del primo Lp Troia tutti circa quarantenni e già stimati professionisti nel mondo della canzone italiana, della quale conoscevano i trucchi e gli altarini. Ed è questo uno dei punti fermi del gruppo e, fondamentalmente, il motivo della totale indifferenza da parte della critica musicale dell'epoca (e anche di buona parte dell'attuale): gli Squallor nascono all'interno della musica nazional-popolare e da lì non si muoveranno mai. Nei loro pezzi non c'è, per dire, neanche a scopo parodistico alcun riferimento alla psichedelia, al progressive, all'elettronica (almeno fino agli anni 80, quando il techno-pop diventerà un fenomeno di successo) e pochi al cantautorato impegnato. Lo stesso punk, che pure avrebbe fornito non pochi spunti comici, è passato totalmente ignorato. Insomma, oggetto della loro parodia è stata sempre e solo la musica pop, della quale però, almeno musicalmente, hanno rispettato fedelmente i canoni. Se, all'epoca, l'intellighenzia guardava con sospetto Battisti, non oso immaginare cosa pensasse di loro!
Tuttavia, sarebbe snobismo imperdonabile ridurre gli Squallor a un fenomeno puramente culturale, rilevante solo per le parole, che pure sono l'elemento preponderante. Come detto, i membri del gruppo erano abilissimi autori e arrangiatori e, anche per questo loro progetto goliardico, hanno confezionato basi di altissimo livello, in alcuni casi vere e proprie hit potenziali sacrificate al gusto della dissacrazione. Come i monaci perversi nel Romanzo "Justine" di De Sade, di giorno Bigazzi e C. officiavano i riti canonici della canzone d'autore e la notte ne profanavano gli altari con schizzi corporali di varia natura.

Su queste musiche formalmente ineccepibili, infatti, venivano spalmati testi, spesso del tutto improvvisati, che coniugavano nonsense, volgarità (abbondante, ma mai gratuita) e un caustico sense of humor molto meno grossolano di quello che a un primo ascolto poteva trasparire. A parere di chi scrive, gli Squallor sono stati gli autori dei più feroci attacchi al potere (religioso, politico o economico) che la musica italiana ricordi, senza tener conto degli squarci di spiazzante verismo aperti in alcuni loro testi sulla vita degli uomini della loro generazione, ma non solo, e anche di questo te ne accorgi crescendo. La loro importanza, tuttavia, resta ancora più potenziale che effettiva: a parte alcuni gruppi evidentemente influenzati da loro (gli Skiantos, molto meno brillanti, ne mutueranno il nome e la tendenza all'improvvisazione, mentre Elio e le Storie Tese devono loro praticamente tutto, a partire dall'unione tra musica "alta" e colpi bassi comici - tuttavia Rocco Tanica e i suoi compari risulteranno sempre meno spontanei e corrosivi degli Squallor, forse perché questi ultimi consideravano il progetto poco più che uno scherzo rispetto alle loro attività principali), la loro discografia risulta un giacimento di idee e ispirazioni sfruttato ancora in minima parte in attesa di tempi migliori. Ed è anche per questo che una loro rivalutazione è doverosa, quantomeno per cancellare l'offensiva catalogazione "trash" (non stiamo parlando di Leone di Lernia o dei Gem Boy) o quella, comunque impropria, di "demenziale" spesso utilizzata per i loro dischi. Gli Squallor erano fondamentalmente un gruppo pop, e pure di alto livello.

III - Là dove finisce il fiume, inizia il film


Squallor - Troia"Il gruppo è nato perché i cantanti sono dei gran rompicoglioni", commenterà laconico Cerruti "Non sanno fare altro che parlare di canzoni, canzoni...". E, pertanto, questa lega di autori e discografici, che con cantanti stracciaballe aveva a che fare quotidianamente, decise di mettere in atto un processo di demolizione del feticcio "canzone" con il 45 giri "38 Luglio/Raccontala giusta", uscito nell'ottobre del 1971. In realtà, lo spirito dissacratore è presente esclusivamente nel lato A del disco, in quanto "Raccontala giusta" è una canzoncina scherzosa, ma indiscutibile canonica sia per le parole che per il testo e che farebbe la sua figura sulle piste di liscio. Di tutt'altra pasta, invece, "38 Luglio", che sarà modello di buona parte dei loro brani futuri: paradossale fin dal titolo, il brano è composto da una base romantica in stile Procol Harum, con tanto di hammond in bell'evidenza, e un testo, in tutto o in parte improvvisato, nel quale la narrazione da parte di Alfredo Cerruti delle vicende di "un elettrotecnico che inventò la pila" fa collassare, nell'ordine, linearità, logica e grammatica. Quello che emerge dal testo è una certa fascinazione per il cinema western (che resterà uno dei punti fermi del gruppo), sottolineata dal tono finto-epico della recitazione, ma cercare un qualunque senso alla mancata comparsa del Capo Indiano "Movengoanchio" è tempo perso. Il brano è un oggetto talmente alieno che nessuna radio si sogna di prenderlo in considerazione. Solo grazie agli spiriti affini di Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, "38 Luglio" gode di alcuni passaggi all'interno del programma "Alto Gradimento", ma l'impressione è che lo "scherzo Squallor" sia destinato a finire con quel singolo.

E, invece, due anni dopo, ecco arrivare nei negozi di dischi l'ellepì Troia, con la mitica copertina raffigurante un cavallo a dondolo in mezzo alle fiamme. Il disco gode oggi di culto forse eccessivo rispetto al suo effettivo valore: infatti, accanto a brani irresistibili come "Ti ho conosciuta in un clubs", "Indiani a Worlock", "Morire in Porche" e la già citata "38 Luglio", ci sono numerosi riempitivi e brani strumentali privi di interesse. Rispetto alle opere successive, colpisce la totale mancanza di volgarità, anche se è già presente l'anarchia espressiva che diventerà il marchio di fabbrica del gruppo. Si predilige l'uso quasi sistematico del recitato (con grande anticipo su Cccp/Csi, Massimo Volume o Offlaga Disco Pax - che non riesco a immaginare non influenzati dagli Squallor), affidato soprattutto a Cerruti o, più raramente, a Pace, mentre, nei pochi brani "cantati", omaggi e parodie alle canzoni partenopee, la voce è quella di Totò Savio- il fatto che, dietro al microfono ci fossero per lo più questi due, che non lesinavano l'utilizzo del proprio dialetto, ha creato il malinteso degli Squallor come "gruppo napoletano".

Molto più riuscito è il successivo Palle (quasi tutti i loro album hanno, come titoli, parole che si prestano a doppi sensi). Aperto e chiuso da un coro a cappella, il disco presenta momenti esaltanti come "Marcia longa", ovvero, la telecronaca di eventi assurdi, sulla scia di "Marcia K-2" dell'album precedente, con due voci sovrapposte dall'effetto straniante e intramezzata da pubblicità come "mettetevi un dito in culo e la vita vi sorriderà!".
Lo scopo di questi brani è quello di sbeffeggiare, con l'arma del paradosso, istituzioni politiche e religiose, ma questo risulterà più evidente nei dischi successivi. "Sono una donna non sono una santa" è la cover fedele dell'orrido brano di Rossana Fratello, cantato con voce piena di pathos da Daniele Pace (fate il raffronto con le versioni di "In Te" o "Help Me" di Elio e le Storie Tese, con analogo meccanismo comico). "Angeli Negri" è un dialogo assurdo tra un "povero negro" (Pace) e un pittore (Cerruti) che fa la parodia della canzone "Angelitos Negros". "Veramon" è una storpiatura, con tanto di cantato simil-francese, dei brani da chansonnier, mentre "Sant'Anna" e "Il Vangelo secondo Chinaglia" contengono le solite narrazioni paradossali che seguono un esile filo conduttore (nel primo caso nuovamente il western) per poi andare alla totale deriva.

Alla pubblicazione di Palle seguirà un silenzio di tre anni, che verrà rotto, nel 1977 con due album- forse i capolavori del gruppo.

IV - Fenomeno di successo e fenomeno di cesso


Come sarebbe stato un concerto degli Squallor? In qualche loro disco si fanno scherzosi riferimenti a performance mai avvenute, vuoi per l'impossibilità di riproporre dal vivo i loro brani che, fondamentalmente, si basavano sull'improvvisazione, vuoi perché i quattro svolgevano tutti altre attività e vedevano il gruppo come poco più di un divertimento, vuoi perché probabilmente si sarebbero scassati il cazzo in tour, vuoi una venti euro... Di sicuro non hanno avuto alcun bisogno di attività live per creare un vero e proprio culto attorno a loro, ma di dischi di altissimo livello sì, e quelli sono arrivati sul finire degli anni 70: Vacca, Pompa (entrambi del 1977) e Cappelle (1978) sono i vertici della loro produzione e presentano i loro brani ancora oggi più citati.

Dopo una delirante introduzione, Vacca si apre con la title track, il cui testo, recitato da Gianni Boncompagni, è uno dei più alti esempi di comicità nonsense che la cultura italiana abbia mai prodotto: un finto servizio giornalistico sul concerto di un fantomatico gruppo di nome "Cow", i cui membri, pur'essendo tutti sul palco, si sono in precedenza suicidati nei modi più inverosimili. "Abat-jour" presenta una serie di assurde comunicazioni sulla radio della polizia (sketch che Cerruti riprenderà all'interno del programma "Indietro Tutta"), mentre "Alluvione" va tramandata ai posteri come modello di satira sulle istituzioni: una catastrofe come un' inondazione, che spesso anche oggi i nostri amministratori non sono in grado di fronteggiare decentemente, viene descritta come un happening pubblico al quale partecipa la popolazione festante.
"Gentleman" è uno scherzo triviale finché si vuole, ma trattenere le risate ascoltandolo è impresa praticamente impossibile. In "Piazza Sanretro" la religione viene presa per la prima volta di mira con un'omelia in cui si esaltano valori non esattamente spirituali. "Testamento specifico" è un altro dialogo delirante tra un moribondo (Pace) e un notaio (Cerruti) che richiama "Il testamento del toro" del Quartetto Cetra, mentre la conclusiva "Terrestri" sbeffeggia la fantascienza ecologista e post-sessantottina.

Leggermente inferiore a livello qualitativo, ma di maggior successo commerciale (grazie anche alla spinta delle radio libere, tra l'altro prese in giro nella title track), Pompa ha al suo arco frecce come l'impareggiabile "Berta" (scenetta in cui un milanese arrogante e spaccone viene mandato in bianco e pesantemente ridicolizzato per le sue velleità economiche e sessuali da una napoletana verace, un brano che, con quindici anni di anticipo, fa strame dei patetici atteggiamenti leghisti, e non a caso, nel seguito della canzone presente in "Cambia Mento", si scoprirà che il milanesotto protagonista della canzone non è altri che Umberto Bossi) e, soprattutto, "Unisex", in cui il racconto in salsa spagnola (quasi sempre l'accento iberico o francese è usato dal gruppo per sottolineare la gayezza dei personaggi) di una trombata omosex decisamente hardcore ("non si capiva più niente/ lo prendevo da tutte le parti/ nelle narici del naso... nel buco delle orecchie ...e anche nel buco del culo") si tinge di anticlericale quando uno degli amanti si presenta come il "Cardinale Alfonso Fava".
La sceneggiata napoletana e il cantautorato impegnato vengono presi di mira rispettivamente in "La Scarognata" e "Sfogo"- con tanto di critico intellettualoide e con la zeppola che analizza le strofe del brano. La conclusiva "La Marcia dell'equo canone" è l'ennesima finta telecronaca (questa volta di una sfilata di case!) in cui il gruppo ha l'ardire di fare ironia addirittura sugli Agnelli: "La casa più bella naturalmente è la casa degli Agnelli/ Con giardino e cameriere negro importato dalla Svizzera interna/ Da Zugg, un paese vicino Zogg/ Che ha, invece di due mani, quattro mani di cui una stereo/ E fa palleggiare forchetta, cucchiaio, bottiglia di Champagne e hashis insieme/ A scelta, si può introdurre nella mano del negro una piccola carica di marihuana". Se pensiamo che, oltre dieci anni dopo, i distributori italiani eviteranno la traduzione letterale del titolo del film "The Silence Of The Lambs" per evitare che la potente famiglia si sentisse chiamata in causa, possiamo avere la dimensione del coraggio degli Squallor.
Una trattazione a parte merita "Famiglia Cristiana", primo capitolo della "saga di Pierpaolo", di cui una parte sarà presente in quasi tutti i dischi successivi. In ognuno di questi brani il protagonista, un debosciato di apparentemente buona famiglia dotato di insopportabile voce querula e volgarità incontenibile, telefona al padre da diversi punti del mondo avanzando esose richieste economiche a cui il genitore (probabilmente un politico della Dc o un trafficone di natura analoga) non può sottrarsi perché ricattato dal figlio che ne conosce oscuri segreti. Volendo fare un'analisi sociologica, Pierpaolo è la metastasi (o forse il frutto maturo) dell'alta società democristiana, di cui mette a nudo meschinità e doppiezze, e non sarebbe azzardato immaginarne un futuro come parlamentare Pdl (purtroppo la produzione degli Squallor si è fermata poco prima della "discesa in campo" di Berlusconi).

Il trittico delle meraviglie è concluso da Cappelle in cui si fa a pezzi il politicamente corretto ancora prima che il concetto venga codificato. Per dire, oggi l'arcigay pretenderebbe (e, forse, a ragione) le loro teste per un brano come "Radio Cappelle", il cui scopo, all'epoca, era quello di scandalizzare i benpensanti e sfottere, ancora una volta, le radio libere. Ancora più pesante è la conclusiva "Crosta Center Hospital" in cui la malasanità diventa oggetto di barzelletta (e Cerruti nei panni del chirurgo è fenomenale). Ma il capolavoro dell'album, e forse anche della loro produzione tutta, è "Dannunziata": base funk dance irresistibile (qualche dj abbia il coraggio di proporla in pista... per me funziona!) e testo in cui il protagonista dà indicazioni a due ragazze, prostitute o questuanti di altra natura, su come praticargli un pompino. In tempi di escort e "bunga-bunga" un brano del genere potrebbe essere frainteso, ma, nel 1978, era a dir poco rivoluzionario. E fa ridere fino alle lacrime oggi come allora.

Sono questi tre dischi che, fondamentalmente, delimitano lo stile del gruppo. I successivi, a partire dall'ottimo Tromba (di cui segnalo l'irresistibile scenetta "Gennarino Primo", sulla nomina di un pontefice napoletano, e il tour de force creativo di "Tutto il morto minuto per minuto", in cui si passa dalla telecronaca di un funerale al quale, per qualche oscuro motivo, partecipa la "crema" della musica italiana a quella di catastrofici eventi sportivi- con tanto di orgia tra calciatori negli spogliatoi, tabù anche oggi), pur essendo ugualmente divertenti, si muovono sulle coordinate tracciate.

In tutte le loro opere, comunque, sono presenti due o tre brani da tramandare ai posteri: in Mutando soprattutto la blasfema "Pret-a porter", mentre in Scoraggiando sono irresistibili "Raffreddore nero" in stile dixieland, la melodica "Telefona", "Il tempo delle rughe" recitata in latino maccheronico e "Revival" in cui si ridicolizza la retorica fascista, pur in mezzo a inevitabili riempitivi.

V - Ciao, vediti Arrapaho!


Squallor - ArrapahoPare che il regista napoletano Ciro Ippolito, dopo avere visto "Il Senso della Vita", si fosse messo in testa di girare qualcosa di analogo. Il primo problema che, ovviamente, si pose fu come replicare in Italia la comicità dei Monty Python. E gli vennero in mente gli Squallor... È stata l'unica idea geniale della sua non esemplare carriera: poste, infatti, le inevitabili differenze di contesto geografico e artistico, i punti di contatto tra i due gruppi sono innegabili, a partire dall'utilizzo di nonsense e paradosso e dalla mancanza di rispetto per le istituzioni.
Neanche a dirlo, i quattro furono entusiasti dell'idea (pare che già le registrazioni dei loro dischi avvenissero nell'ambito di assurdi baccanali, non oso immaginare cosa abbiano combinato sul set cinematografico) e decisero di realizzare un film sugli indiani, come già detto uno dei loro temi preferiti a partire da "38 Luglio".
"Arrapaho" (1983) costò poco più di cento milioni di lire (cifra che sembra persino eccessiva, tenuto conto che pare girato nel giardino di casa) e incassò ben cinque miliardi, contribuendo alla diffusione della popolarità degli Squallor. Sgombriamo il campo da ogni dubbio: si tratta di un film di culto finché si vuole, ma decisamente orrendo e non solo per la carenza di mezzi con cui è stato girato. In primo luogo, Ciro Ippolito è, ad essere generosi, un mediocre mestierante, neanche parente lontano di Terry Gillian (se doveva essere quello il modello), ma, soprattutto, la comicità del gruppo si presta poco a essere trasferita sullo schermo - infatti, la riproposizione degli sketch di Pierpaolo o di Berta non fa ridere neanche la metà delle versioni originali su disco. Il Morandini lo definirà "il più brutto film della storia del cinema italiano".
L'anno successivo, regista e gruppo ci riproveranno con "Uccelli d'Italia", in cui si rinuncia persino alla trama in favore di alcune scenette indipendenti, con identici risultati artistici ma minor successo commerciale.

Decisamente più riuscite, ovviamente, le colonne sonore dei due film: Arrapaho va ricordato tra i fan del gruppo per la monumentale "Avida", in cui un marito veglia sul cadavere della moglie augurandosi che sia davvero morta, e per la sarabanda di "Piacere, Pesce", il cui tema, legato alle spie di oltrecortina, ispirerà Elio e le Storie Tese in "Pippero". "'O Tiempo se ne va" è l'ormai abituale omaggio/parodia, formalmente ineccepibile, alla canzone napoletana à-la Nino D'Angelo in cui Totò Savio, per l'ennesima volta, si lamenta di qualche ragazza presumibilmente giovane e sicuramente dura a concedersi. In "El Toro" e "La Guerra del vino" Pace si lancia in storpiature rispettivamente dello spagnolo e del francese (leggermente scioviniste, a dirla tutta) nel solito dialogo con il decisamente più sboccato Cerruti.

Forse globalmente superiore alla precedente, anche se meno conosciuta, Uccelli d'Italia ha dalla sua "A chi lo do stasera?" , riproposizione in chiave omosex del brano di Nadia Cassini scritto dallo stesso Daniele Pace, e, soprattutto, la biblicamente scorretta "Al Traditore", in cui Giuda, disonesto ristoratore, deve fare i conti con un tizio che, davanti al suo ristorante, moltiplica pani e pesci sul suo banchetto, ma tutti i brani sono, quantomeno, esilaranti.

Poco dopo l'ultimo ciak di "Uccelli d'Italia" e la registrazione della colonna sonora, Daniele Pace deciderà di abbandonare il gruppo per trasferirsi nel Wyoming presso la riserva degli indiani Andalùs, dove pare abbia sposato la figlia del capo, Squaw Zinna Ruspante di svariati anni più giovane. Bigazzi, Cerruti e Savio decideranno di andare comunque avanti, commentando: "Gli Squallor sono rimasti in tre, come i Police".

VI - Tocca l'albicocca e fuga


Squallor - Tocca albicoccaSe Arrapaho fu un successo soprattutto cinematografico, con Tocca l'albicocca il gruppo finalmente spopola nelle classifiche dei dischi, vendendo oltre centomila copie. Il merito, in buona parte, è del singolo "Usa For Italy"- geniale parodia dell'ipocrita "We Are The World", in cui Totò Savio invita Michael Jackson, dopo aver pensato all'Africa, a registrare una canzone anche per Napoli e a inviare in Italia il ricavato. Oltre al peloso pietismo delle star americane, il brano sfotte, ostentandolo, il cliché sui meridionali parassiti - o furbi, dipende dai punti di vista. La canzone non solo è priva di volgarità e riferimenti religiosi o politici, ma è melodica, cantabile... insomma, finalmente un singolo radiofonico che, infatti, si guadagna parecchi passaggi anche sulle emittenti mainstream.
Peccato che il resto dell'album non sia all'altezza: il suo difetto principale è l'assenza di quel meraviglioso senso di anarchia e improvvisazione fino a quel momento presente in tutte le opere del gruppo. Le scenette di Tocca l'albicocca, invece, danno l'impressione di essere studiate a tavolino e, particolare non trascurabile, manca qualunque forma di cattiveria e dissacrazione.

Fortunatamente, è solo una parentesi: Manzo ci riconsegna il gruppo in ottima forma sia nella sua vena caustica ("Demiculis", fin dal titolo, fa a pezzi il politico socialista Gianni De Michelis, noto a Venezia come "l'onto") sia in quella tragicamente realistica (su "Incubo", una musica da film horror italiano, in stile Goblin, fa da sfondo ai contorcimenti notturni di un tizio che non riesce a digerire il pollo).
Elemento di novità è introdotto da "La Tramviata", vero e proprio pezzo di musica lirica, realizzato in collaborazione con cantanti professionisti, avente come protagonisti un uomo, impotente, la moglie insoddisfatta e il farmacista che deve fornire un rimedio (a proposito, andate ad ascoltare l'introduzione al brano, guarda caso, "Farmacista" sempre di Elio e le Storie Tese).

Ancora meglio, Cielo duro (1988) aperto da "Attrazione anale" (sfottò agli Skiantos?) e in cui si preconizza, nel brano "Carceri d'oro", addirittura Mani Pulite. "C'era un vento quella notte" recupera le atmosfere da film western care al gruppo e presenta una delle loro basi migliori.
Nei cuori dei fan, tuttavia, il disco resterà indissolubilmente legato a "Mi ha rovinato il ‘68", brano parimenti divertente, struggente e amaro, in cui Totò Savio tratteggia un fallimento personale e generazionale, seppure da accettare, come tutte le cose della vita, con il sorriso sulle labbra.

E saranno proprio le precarie condizioni di salute del maestro Savio, nel frattempo operato alle corde vocali, a far sì che si debbano aspettare ben sei anni per Cambia Mento, ad oggi ultimo album della band. Gli anni non sembrano minimamente passati, e i tre sfornano pezzi da novanta come "Preservame Atù" in stile Julio Iglesias, "Filumena", motivetto ispirato alle canzoni napoletane dell'anteguerra con l'immortale verso "c'è sempre una morale/ in questo mondo pazzo/ ognuno ha un grande amore/ che gli cagato il cazzo" e la già citata "Berta II" dove viene fatto nero Umberto Bossi che, allora, si proponeva come alfiere di un presunto cambiamento (in peggio, abbiamo visto) che non solo viene nuovamente rifiutato dalla napoletana Berta, ma si vede preferire un ragazzone di colore. A proposito del Senatur, la copertina originale del disco prevedeva un suo ritratto con uno scroto al posto del mento - purtroppo la casa discografica ne ha vigliaccamente imposto una diversa e anonima. Ovvio che a poeti del turpiloquio come gli Squallor, che, inoltre, avevano fatto della napoletanità una loro bandiera, non potesse che dare fastidio l'ottusa volgarità leghista.
Tengo volutamente per ultima la sublime "Albachiava", brano filologicamente corretto in stile Vasco Rossi, con il conduttore Gigi Sabani che ci regala un'imitazione strepitosa del rocker di Zocca, già all'epoca poco più di un relitto (artisticamente parlando). Finito il brano, al cantante non resta che avviarsi stanco negli spogliatoi, mentre un manager truffaldino (chiaramente Cerruti) gli frega i soldi dell'incasso.

VII - Trepidante attesa


Gli Squallor non si sono mai sciolti, e questo è un fatto! Pertanto, è dal 1994 che i fan aspettano fiduciosi un loro nuovo disco. Certo risulterà difficile al gruppo riunirsi dopo che, nel 2004, Totò Savio, nel frattempo pienamente ristabilitosi, si è spostato alle Isole Fijhe, dove, tra un cocktail e l'altro, sta sperimentando forme di crossover tra la musica locale e quella napoletana, sembra con ottimi riscontri- gli ultimi dischi, tra l'altro, sono prodotti da Elio Gariboldi, che l'ha raggiunto nel 2010. Giancarlo Bigazzi, da parte sua, si è trasferito all'inizio del 2012 dalla Maremma alla Russia interna, nella regione di Sorkomov, rimasta, per un problema alla linea telefonica avvenuto sul finire degli anni 80, l'ultimo paradiso socialista sulla terra. I dispacci giunti da lì ci danno Bigazzi come membro di spicco del direttivo sovietico e programmatore dei piani quinquennali. In ogni caso, pare che le bellissime ragazze sorkomoviane vadano pazze per gli uomini coi baffi.
Insomma, Alfredo Cerruti, l'unico rimasto in Italia, dovrà faticare abbastanza per riportare gli altri quattro in sala di registrazione.
Per ingannare l'attesa, ci restano i quattordici album ad oggi usciti a nome Squallor, documento di una musica veramente libera e creativa, nonché di una bella storia di amicizia in quel dell'Italia, Ventesimo secolo. Per il momento è tutto, la linea passa a Worlock!

Squallor

Discografia

Troia (Cbs, 1973)

Palle (Cbs, 1974)

Vacca (Cbs, 1977)

Pompa (Cgd, 1977)

Cappelle (Cgd, 1978)

Tromba (Cgd, 1980)

Mutando (Cgd, 1981)

Scoraggiando (Cgd, 1982)

Arrapaho (Ricordi, 1983)

Uccelli d'Italia (Ricordi, 1984)

Tocca l'albicocca (Ricordi, 1985)

Manzo (Ricordi, 1986)

Cielo Duro (Ricordi, 1988)

Cambia Mento (Fado/Ricordi, 1994)

Il peggio degli Squallor (antologia, Ricordi, 1997)

Le perle degli Squallor (antologia, Cgd, 1997)

Pietra miliare
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