Belle And Sebastian

Belle And Sebastian

Ninnananne pop dalla Scozia

Da timidi collezionisti di sogni a consumati intrattenitori alternativi: la parabola degli scozzesi Belle & Sebastian è la storia di un immaginario a tinte pastello creato quasi per caso, cresciuto al di là di ogni aspettativa, e poi riconfenzionato in un luccicante giocattolo pop

di Gabriele Benzing, Fabio Guastalla

"A film about Belle And Sebastian would be really boring"

 

E' l'estate del 1996, sotto i freddi cieli di Glasgow. Nella vetrina di un negozietto di dischi giace in un angolo un vinile dalla copertina azzurra scolorita dal sole. Forse è l'idea di fragilità che suggerisce a farlo sembrare così sperduto, con quella ragazza amorevolmente intenta ad allattare un tigrotto di peluche. O forse è quel nome in candido stampatello a non avere nulla a che vedere con lo stereotipo della rock-band: "Belle And Sebastian", proprio come quel cartone animato degli anni Settanta, tratto da un romanzo della scrittrice francese Cécile Aubry, che raccontava le peripezie del piccolo Sébastien e del suo cagnone bianco Belle, in cerca della madre tra i villaggi dei Pirenei...
Di fronte alla vetrina c'è un ragazzo esile e dai capelli chiari, un tipo sulla trentina dal viso di fanciullo: quando passa davanti al negozio, non manca mai di lanciare un'occhiata furtiva a quello strano vinile azzurro. Il suo sguardo, però, diventa ogni giorno un po' più rassegnato e malinconico.
Il suo nome è Stuart Murdoch ed è sua la voce sottile che si sente cantare tra i solchi del disco, raccontando di ragazzi e ragazze troppo sensibili per affrontare il mondo.
Se qualcuno gli dicesse che proprio quell'album, nel giro di qualche anno, diventerà un disco di culto in tutto il mondo, molto probabilmente il ragazzo di Glasgow si metterebbe a ridere: il negozio del suo quartiere non riesce nemmeno a disfarsi di quella copia che Stuart gli ha lasciato e che, giorno dopo giorno, continua a fissarlo dalla vetrina come a volersi fare beffa delle sue illusioni...
Non è uno di quelli che hanno sempre sognato di diventare una rockstar, Murdoch: fino a venticinque anni non aveva neanche incominciato a scrivere canzoni…
Nessun vero lavoro, a meno che non si voglia considerare tale quello di custode in una chiesa, una mole di pagine lasciate a metà e mai portate a termine, pomeriggi senza fine passati a girovagare per la città su qualche autobus, fino a conoscere tutti i segreti del trasporto pubblico scozzese… "riding on city buses for a hobby is sad", ammetterà Stuart Murdoch in "The State I Am In": la sua vita sembra essere irrimediabilmente irrisolta, in perenne attesa di qualcosa di definitivo che accada e che la cambi davvero una volta per tutte.
Quell'incontro decisivo, Murdoch lo insegue dappertutto, andando persino a Londra in cerca del suo personale nume musicale, il cantante dei Felt Lawrence Hayward. Ma mentre Bob Dylan riuscì a raccogliere l'eredità di Woody Guthrie al suo capezzale, Stuart Murdoch non arriva neanche a vedere da lontano Hayward: la sua è una vita fatta di sogni, non dell'epica della storia del rock.
Dopo una serie di estemporanei e sfortunati tentativi come one-man band, Stuart si mette disperatamente alla ricerca di qualcuno con cui suonare le proprie canzoni, arrivando al punto di fermare la gente per strada e di chiedere a chiunque incontri di entrare a far parte del suo gruppo.
Fino al giorno in cui Belle incontra Sebastian.

"Have you ever seen The Magnificent 7? It was like that, only more tedious"

 

E' sempre quando meno te l'aspetti che le cose accadono.
Sebastian aveva messo un annuncio in un supermercato di Glasgow: "Cercasi musicisti". Belle lo vide e gli si avvicinò decisa, dicendogli "Hey tu! Mi insegneresti a suonare la chitarra?". Sebastian dubitava di poterle insegnare qualcosa, ma ammirava la sua energia: così le disse di sì.
Poco importa che, nella realtà, le cose siano andate in maniera meno romantica di quello che si diverte a immaginare Stuart Murdoch nelle liner notes di "Tigermilk". Quando si parla di Belle e di Sebastian, è la fantasia quella che conta.
Tra la fine del 1995 e l'inizio del 1996, Stuart Murdoch decide di iscriversi a uno dei quei programmi governativi "per tirarti fuori dalla lista dei disoccupati", che avrebbe dovuto insegnargli il mestiere di ingegnere del suono, o quantomeno qualcosa del genere. Una volta tanto, le preoccupazioni assistenziali del welfare state non sono vane: è proprio in quel corso, infatti, che Stuart Murdoch incontra un bassista appassionato di letteratura di nome Stuart David.
I due cominciano a registrare insieme dei demo, che finiscono tra le mani del talent scout di una piccola etichetta britannica, la Jeepster. Grazie al suo interessamento, i due Stuart si trovano a partecipare a un corso di "Music Business" allo Stow College di Glascow: un corso che prevede, per i migliori allievi, la possibilità di incidere un singolo per l'etichetta del college, la Electric Honey.

Murdoch e David si piazzano in un caffè di Glasgow e cominciano a reclutare i loro compagni di avventura: Isobel Campbell al violoncello, Stevie Jackson alla chitarra, Chris Geddes alle tastiere e Richard Colburn alla batteria. Con l'aggiunta della tromba di Mick Cooke e del violino di Sarah Martin, che si aggregano sin da subito alla comitiva ma che solo in seguito diverranno membri effettivi della band, i Belle And Sebastian sono pronti per far fruttare il premio messo in palio dal college. Ma i cinque giorni messi a disposizione dalla Electric Honey, per quel gruppo appena nato, sono sufficienti a registrare un intero album, altro che un semplice singolo…
Il disco si intitola Tigermilk e viene stampato in appena mille copie. Quando il "fenomeno Belle And Sebastian" smetterà di essere un affare per pochi intimi, ci sarà gente disposta a pagare 400 sterline e oltre, pur di ottenere una di quelle leggendarie mille copie in vinile, tanto da costringere la band a ristampare l'album su cd nel 1999 per scoraggiare le speculazioni.
Ma nel 1996, riuscire a vendere a qualcuno una copia di quel vinile azzurro sembra ancora un'impresa impossibile per i ragazzi di Glasgow...

"You know my wandering days are over, does that mean that I'm getting boring?"

TigermilkBastano le prime note di Tigermilk per immortalare il mondo dei Belle And Sebastian: quella voce nuda e gracile, che si avventura in solitudine incontro al mondo, stupita di avere avuto un giorno di felicità nel 1975, non sembra forse appartenere a un Paul Simon cresciuto tra i carillon della vecchia Europa? E quei versi venati di ironia, in cui si parla di un fratello che decide di confessare alla famiglia la sua omosessualità presentandosi il giorno delle nozze della sorella insieme al suo amico marinaio, non sembrano forse provenire dal songbook di Morrissey? Del resto, "i dischi degli Smiths sono il sangue nelle mie vene", non esita a confessare Stuart Murdoch. Ed ecco sbucare discreta una chitarra acustica, e poi uno dopo l'altro tutti gli altri strumenti a rendere più incalzante quell'irresistibile melodia, fino al climax sorridente del chorus: è "The State I Am In", che con il suo inconfondibile crescendo e il suo sapore sixties diventerà ben presto il modello di tutti i classici del gruppo scozzese.
E' fatto di un'innocenza che non ha paura di essere fuori moda, Tigermilk. Gioca con il gusto intellettuale del citazionismo e si guarda intorno con gli occhi acerbi del giovane Holden. La sua contagiosa vitalità crea un variopinto amalgama di richiami a un folk-pop dolcemente rétro. Non ci sono virtuosismi né rivoluzioni, tra i solchi del disco, ma è la perfetta semplicità delle sue intuizioni melodiche a conquistare immediatamente, vincendo ogni resistenza di fronte alle inevitabili ingenuità del "saggio di fine anno" di un gruppo ancora alle prime armi.

I Belle And Sebastian di Tigermilk sono una band ancora in cerca della propria personale cifra stilistica, che si diverte a fare musica senza neppure avere il pensiero di un pubblico interessato ad ascoltarla: eppure il disco d'esordio degli scozzesi contiene una purezza difficile da ricatturare, come ammetterà Stuart Murdoch ripensando ai primi giorni dei Belle And Sebastian.
In "Expectations" l'ingresso della tromba e degli archi conduce tra le braccia dei Love di " Forever Changes ", giungendo a definire il canone dei Belle And Sebastian a venire in brani come "My Wandering Days Are Over" e "Mary Jo".
Gli spunti di svagato r'n'b da giovane Van Morrison in libera uscita con i Big Star, che movimentano "She's Losing It", si trasformano nelle più squadrate cadenze kinksiane di "You're Just A Baby" e di "I Don't Love Anyone", fino a sciogliersi nel sorriso di un Nick Drake pacificato con la delicata "We Rule The School".
Ma c'è ancora tempo per stupirsi, quando entrano scena la drum machine e le tastiere synth-pop di "Electronic Renaissance", nell'impossibile omaggio ai New Order di quelli che non si sono mai trovati a proprio agio su un dance floor: "You go disco and I'll go my way".

Quello della contrapposizione tra la propria sensibilità sognatrice e la realtà di un mondo inevitabilmente superficiale e ostile è in effetti un tema costante del disco: quando sei come la ragazza protagonista di "Expectations", quando tutti ti considerano "strano" e bizzarro, ti viene voglia di nasconderti da tutto e da tutti, come canta Murdoch in "I Don't Love Anyone", convincendoti che non ci sia nulla che vale la pena di amare, "neanche Natale"... La conclusione di "We Rule The School" non lascia dubbi in proposito: "You know the world is made for men / Not us".
Solo un autocompiacimento adolescenziale? Alla faccia di tutti i maître à penser, il mondo dei Belle And Sebastian si dipana proprio inseguendo i propri interrogativi senza timore che possano apparire immaturi. Più che un rinchiudersi tra le pareti della propria cameretta, allora, come sembrano voler affermare i fautori dell'etichetta di bed-sitting pop ben presto affibbiata agli scozzesi, quella dei Belle And Sebastian è l'aspirazione a una dimensione che abbia l'ampiezza dei propri desideri: "If you had such a dream/ Would you get up and do the things/ You're been dreaming?", è l'esortazione di Stuart Murdoch in "I Could Be Dreaming".


E così, ecco i ragazzi di Glasgow impegnarsi con lo stesso slancio ad azzardare timidi classicismi di flauto nell'intro di "Mary Jo" e a declamare reading delle pagine fiabesche di Washington Irving, come fa Isobel Campbell nella coda di "I Could Be Dreaming", oppure a improvvisare quei video amatoriali, girati con il cinema d'essai nel cuore, di cui si può trovare traccia nel dvd antologico "Fans Only", pubblicato nel 2004.
Del resto, chi altri potrebbe avere il candore di formulare pensieri come "reading the Gospel to yourself is fine" o "skating a pirouette on ice is cool", a parte i Belle And Sebastian di "We Rule The School" e qualche personaggio dei Peanuts?

"You could either be successful or be us"

If You're Feeling SinisterIgnorato dalle riviste musicali, Tigermilk si diffonde grazie al passaparola e a qualche trasmissione radiofonica notturna. Così, quando la Jeepster porta la band in studio, è per registrare il primo album vero dei Belle And Sebastian, dopo la "prova generale" di quelle mille copie in vinile che parevano destinate a finire soltanto nelle case di qualche amico e parente.
Il risultato è If You're Feeling Sinister, una raccolta di tenui acquerelli acustici dai colori pastello che ridà vita a un cantautorato floreale sospeso tra Donovan e Cat Stevens, per unirlo al romanticismo wave di Lloyd Cole. Un disco capace di raggiungere un equilibrio fragile e sorprendente tra una sobria freschezza melodica e un songwriting più maturo e riflessivo, che consegna ai Belle And Sebastian un posto tra i classici del pop indie degli anni Novanta.
Certo, se la musica si dovesse giudicare soltanto dalla sua portata innovativa, un disco come If You're Feeling Sinister non potrebbe mai ambire allo status di capolavoro. Ma fortunatamente le proporzioni della bellezza (perché di questo al fondo si tratta quando si parla di qualsiasi forma d'arte) sono più ampie della semplice categoria della novità: comprendono sfumature quasi impercettibili come la grazia, la purezza, la corrispondenza alle urgenze del cuore…
Allora non deve stupire che spesso i Belle And Sebastian risultino più convincenti proprio quando non si vergognano di essere "derivativi" e di confessare apertamente le proprie radici.

Nei dieci, lievi episodi del disco, la sensibilità artigiana di Stuart Murdoch posa un velo di zucchero di marca Simon & Garfunkel su un sottile strato di glassa bacharachiana: ma la ricetta riesce miracolosamente a non diventare stucchevole, scegliendo la via dell'essenzialità quando l'hype dei movimenti acustici - più o meno nuovi - è ancora lontano dall'essere stato partorito dalla critica musicale.
L'avvio di "The Stars Of Track And Field" sembra quasi un remake di "The State I Am In", con il suo crescendo da indifeso a sbarazzino e le sue immagini collegiali di ore spese in allenamenti solitari per diventare la stella dell'atletica della scuola. Ma subito arriva il pianoforte di "Seeing Other People", ed è praticamente impossibile non mettersi a canticchiare quel motivetto svelto e sinuoso, con la sua bonaria presa in giro di una coppia annoiata in cerca di nuovi stimoli...
Per non parlare della strepitosa semplicità del giro di basso di "Like Dylan In The Movies", che conduce dritto a un ritornello che è quanto di più vicino a un anthem possa concepire un gruppo di timidi scozzesi: "If they follow you/ Don't look back/ Like Dylan in the movies/ On your own/ If they follow you/ It's not your money that they're after, boy, it's you". E sembra quasi di vederlo, il giovane e irriverente Dylan del film "Don't Look Back" di Pennebaker, di cui il chitarrista Stevie Jackson è da sempre fan e che i Belle And Sebastian additano come modello di chi rifiuta di scendere a compromessi.

L'approccio più cantautorale di If You're Feeling Sinister emerge in brani come la title track e come "The Boy Done Wrong Again" (in cui Jackson debutta alla voce accanto a Murdoch), ma soprattutto in "Fox In The Snow", una nuova "We Rule The School" più romantica e meno infantile, ma ugualmente vulnerabile, che spezzerà il cuore e accenderà gli accendini dei futuri fan.
A conquistare davvero, però, è la cadenza morbidamente folk di "Judy And The Dream Of Horses" e "Get Me Away From Here, I'm Dying", perfetto biglietto da visita dell'essenza dolceamara del gruppo, insieme alla vivacità scanzonata di "Mayfly" e "Me And The Major", con la sua armonica pseudo-dylaniana e il suo ironico racconto di conflitti generazionali nati nello scompartimento di un treno.
"All I wanted was to sing the saddest songs", dichiara Murdoch in "The Boy Done Wrong Again", "if somebody sings along I will be happy now". E in questo labile confine tra tristezza e allegria c'è tutto l'orizzonte dei Belle And Sebastian.

Come per Tigermilk, anche in questa occasione la copertina dell'album è dedicata all'immagine sognante di una ragazza in primo piano, stavolta virata in un'avvolgente tonalità rossa. Seduta in una posa meditativa, con "Il processo" di Kafka abbandonato lì accanto, il suo sguardo si perde malinconico nel vuoto. Quei ritratti in elegante monocromia, che caratterizzeranno tutte le uscite discografiche targate Belle And Sebastian (fatta eccezione per alcuni Ep), rimandano direttamente alla grafica inconfondibile dei dischi degli Smiths: ma mentre quelle che la band mancuniana prediligeva erano sempre raffinate icone di celebrità di celluloide, sulle copertine dei Belle And Sebastian è protagonista l'anonimo common people della cerchia di amici dei ragazzi di Glasgow. Una decisione tutt'altro che casuale, per un gruppo nelle cui canzoni il punto di vista dei personaggi prevale quasi sempre sull'uso della prima persona singolare, a testimonianza del profondo senso di immedesimazione tra gli scozzesi e il proprio pubblico: "Non sono i fan a fermarci per strada", riflette sornione Stuart Murdoch, "siamo noi a fermare per strada i nostri fan"…
Con If You're Feeling Sinister, la critica si accorge dell'esistenza dei Belle And Sebastian e i riflettori del mondo indie cominciano a puntarsi in direzione degli scozzesi. Ma i membri della band sembrano essere connaturalmente refrattari alle luci della ribalta: sfuggono ai set fotografici, si negano alle interviste, tengono rarissimi concerti… e la loro timidezza, nell'Inghilterra chiassosa del britpop, non fa altro che aumentare il culto per la splendida anomalia di un gruppo "invisibile".

Nel frattempo, però, i Belle And Sebastian si esibiscono per la prima volta a Londra e, nel 1997, iniziano a rendere più fitta la loro agenda live, prediligendo location dalla suggestione intimista come la Union Chapel di Islington o la cappella della Angel Orensanz Foundation di New York, il cui tetto rovinerà sulla testa degli scozzesi nel bel mezzo del concerto... "Belle was ok but oh Sebastian... wrote his diary that he would never be young again" Da If You're Feeling Sinister non vengono estratti singoli, ma nel 1997 i Belle And Sebastian inaugurano un'altra di quelle tradizioni destinate a diventare una delle peculiarità della band, vale a dire la periodica pubblicazione di Ep di inediti che vanno a fare da imprescindibile corollario alle uscite "maggiori".
A cavallo dell'estate, escono così tre Ep di quattro brani ciascuno, che verranno successivamente riuniti in un unico cofanetto, nei quali si respira tutta l'atmosfera di un gruppo sul punto di sbocciare.
In Dog On Wheels, Murdoch e soci rispolverano i demo incisi prima di Tigermilk, regalando ai fan la versione originaria di "The State I Am In", con quella batteria legnosa e quella voce traballante che sembrano provenire da una finestra lasciata aperta per caso su una via di Glasgow. Non può quindi stupire che il tono del primo Ep sia quello più vicino alle sfumature del "disco azzurro", con la title track che rimanda ancora una volta al mondo colorato dei Love e l'intro morriconiano di "String Bean Jean", in cui non manca nemmeno il suono delle tastiere vintage. E se "Dog On Wheels" torna sui temi dell'infanzia, con il suo surreale dialogo con un cagnolino giocattolo, la chiusura dell'Ep è affidata a un brano dal titolo a dir poco programmatico: "Belle And Sebastian", singolare caso di band che dedica una canzone al suo stesso nome…

L'anello più debole del trittico di Ep è probabilmente il successivo Lazy Line Painter Jane, che sfodera nel brano omonimo una delle canzoni più atipiche degli scozzesi: non certo per l'afflato sixties di organo, chitarra e battimani, quanto piuttosto per l'ingombrante presenza dell'impetuosa voce femminile di Monica Queen, cantante dei Thrum e occasionale ospite dei Belle And Sebastian, che pare un corpo estraneo rispetto al mood abituale del gruppo. Per il resto, la ballata pianistica "You Made Me Forget My Dreams" e la briosa canzoncina "Photo Jenny" appaiono sin troppo prevedibili, mentre "A Century Of Elvis" non è altro che uno strumentale su cui si innesta una voce recitante, con un risultato decisamente prescindibile.
Se non fosse che nel terzo Ep, 3… 6… 9 Seconds Of Light, quella stessa base strumentale diventa lo spunto per uno dei brani più dolcemente avvolgenti di tutta la discografia dei Belle And Sebastian, quella "A Century Of Fakers" che sintetizza meglio di ogni altra il bisogno ardente di non permettere al mondo di ridurre la portata del proprio cuore: "Everybody's trying to make us / Another century of fakers". E poi c'è "La Pastie De La Bourgeoisie", con la sua epica da sigla di vecchio telefilm in bianco e nero, ci sono gli obliqui bozzetti acustici di "Beautiful" e "Put The Book Back On The Shelf" e c'è persino una ghost track dal sapore incompiuto di improvvisazione, intitolata "Songs For Children".
Dei tre Ep del 1997, 3… 6… 9 Seconds Of Light (con in copertina una foto di Stuart Murdoch da bambino) è quello che proietta maggiormente i Belle And Sebastian verso il "difficile terzo album". Ma tutti e tre gli Ep, corredati nel caso degli ultimi due da liner notes frutto ancora una volta della vena letteraria di Murdoch, contribuiscono ad aggiungere alla collezione di istantanee del gruppo di Glasgow una serie di personaggi-chiave, dall'insicura String Bean Jean alla svagata Lazy Line Painter Jane, che torneranno in futuro tra i versi dei Belle And Sebastian.

"We're not a collective, we're a combo. Collectives shamble but combos rock"

The Boy With The Arab StrapIl nuovo disco, quello verde, arriva nei negozi nel settembre del 1998 e per la prima volta c'è una figura maschile in copertina: non avrebbe potuto essere diversamente, del resto, per un album intitolato The Boy With The Arab Strap, dove l'arab strap in questione è un lascivo articolo da sexy shop, ma è anche il nome del duo pop noir formato dagli scozzesi Aidan Moffat e Malcolm Middleton, con cui hanno avuto modo di collaborare Isobel Campbell, Chris Geddes e Sarah Martin.
Non è facile, la sfida del terzo album, per i Belle And Sebastian. La loro formula segreta, inventata con Tigermilk e brevettata con If You're Feeling Sinister, si basa su un'armonia che finirebbe inevitabilmente per spezzarsi se gli scozzesi si limitassero a riproporla immutata. Il capofamiglia Stuart Murdoch decide allora di fare un passo indietro e di chiamare gli altri membri della band ad aggiungere nuovi ingredienti all'impasto.
Non sono dei virtuosi della tecnica musicale, i ragazzi del gruppo: i loro primi due dischi e le loro ancora rare esibizioni dal vivo parlano chiaro al riguardo. Eppure, ciascuno di loro ha una personalità musicale piena di creatività da esprimere, che ben presto prenderà corpo in una serie di progetti paralleli: Isobel Campbell si metterà a sussurrare le sue soffici ninnananne con i Gentle Waves, Stuart David darà sfogo alla sua passione per l'indietronica con i Looper, Mick Cooke si divertirà con gli Amphetameanies e Stevie Jackson e Chris Geddes con i V-Twin…

Ma è in The Boy With The Arab Strap che le individualità dei componenti del gruppo escono per la prima volta allo scoperto, trasformando la perfetta compattezza di If You're Feeling Sinister in una più sfaccettata multiformità.
Così, ecco comparire la flebile voce solista di Isobel Campbell (suo è anche il viso ritratto in un romantico bianco e nero nel booklet), che trasporta in un mondo fiabesco la tintinnante cantilena di "Is It Wicked Not To Care?", chiedendosi cosa ci sia di male a non preoccuparsi quando ti dicono che è sbagliato avere speranze e sogni che non esistono. E poi arriva il tono elegante di Stevie Jackson, in quella "Seymour Stein" maliziosamente dedicata all'omonimo boss discografico, che diventerà leggendaria grazie alla scena del film "Alta Fedeltà" in cui Barry entra impetuosamente nel negozio e, appena sentita la canzone dei Belle And Sebastian, apostrofa i suoi compari con un perentorio "Dio che strazio! Chi è l'autore di questo delirio?!".
Il contributo dei membri della band non si limita solo a offrire un'alternativa alla voce di Stuart Murdoch, ma si spinge anche alla scrittura dei brani. E non è difficile immaginare l'intervento delle suggestioni elettroniche di Stuart David nel beat flessuoso e analogico di "Sleep The Clock Around", con le sue tastiere spaziali da discoteca immaginaria per ragazzi impacciati, sulle cui ali le voci intrecciate di Murdoch e Isobel si lanciano in uno dei più irresistibili tour de force della carriera degli scozzesi (con tanto di cornamuse nel finale), vero e proprio cavallo dei battaglia dei loro concerti.

I Belle And Sebastian di The Boy With The Arab Strap, prodotto con l'ausilio di Tony Doogan, sono un gruppo che sembra avere scoperto la consapevolezza dei propri mezzi, conferendo anche ai brani più classici arrangiamenti dalla nuova complessità e stratificazione, in un fiorire di violini, chitarre, tamburelli, flauti, xilofoni e trombe... In "Dirty Dream Numer Two" fa capolino addirittura una sezione d'archi vera e propria, regalando uno dei brani più frizzanti del disco insieme alla title track, che sfodera piano, organo, handclapping e una chitarra da "Slip Slidin' Away".
A introdurre il viaggio è l'aria da domenica mattina velvettiana di "It Could Have Been A Brilliant Career", sempre incentrata sull'antitesi tra un mondo di "lazy line painters" e uno fatto di carriere che risucchiano l'anima. Stuart Murdoch tratteggia ancora una volta dei Go-Betweens brumosi in "Ease Your Feet In The Sea" e "Simple Things", giocando in "A Summer Wasting" alla propria personale versione dei Beach Boys: "I spent the summer wasting/ The time was passed so easily/ But if the summer's wasted/ How come that I could feel so free?". Eppure nei suoi brani comincia a comparire un'ombra di maniera, che è proprio la varietà di The Boy With The Arab Strap a riuscire a riscattare, come dimostra il lungo epilogo sussurrato di "The Rollercoaster Ride", con il controcanto di Isobel Campbell a impreziosirne la trama di carta velina.
Nonostante episodi inconcludenti come lo spoken-word di "A Space Boy Dream", su un sottofondo ambientale dalle venature inusualmente scure e jazzistiche, The Boy With The Arab Strap è il disco della consacrazione per i Belle And Sebastian: l'album raggiunge il numero 12 delle classifiche britanniche, portando gli scozzesi a conquistare addirittura la vittoria ai Brit Awards come rivelazione dell'anno. Sul palco della premiazione (lo si può vedere anche in questo caso sul dvd "Fans Only", che come si sarà ormai capito è una perla indispensabile per chi ama gli scozzesi) salgono Mick Cooke e Richard Colburn, che si presentano ovviamente come Belle e Sebastian… e per qualche giorno persino i giornali scandalistici inglesi si occupano della band, accusata di avere "scippato" il premio ai favoriti.

"This is just a modern rock song, this is just a tender affair"

Fold Your Hands ChildA fare da appendice all'album, esce alla fine del 1998 un nuovo Ep di inediti, This Is Just A Modern Rock Song, che raccoglie un quartetto di ballate leggere come spighe nel vento, quasi provenissero da certi rarefatti paesaggi dei Mojave 3.
La title track è un'outtake di If You're Feeling Sinister che, ovviamente, non ha nulla a che vedere con quello che ci si potrebbe aspettare da una "moderna canzone rock": piuttosto, si tratta dell'ennesima ode senza tempo dei Belle And Sebastian che, pur non aggiungendo nulla all'ormai inconfondibile stile del gruppo, rimane tra le pagine più preziose degli scozzesi, con quel memorabile bozzetto autobiografico dei loro esordi: "Stevie's full of good intentions / Richard's into rock 'n' roll / Stuart's staying in and he thinks it's a sin / That he has to leave the house at all". Brani fatti apposta per cullare ancora una volta sogni imporporati dai raggi dell'ultimo sole, come l'organo di "I Know Where The Summer Goes", la voce di Isobel in "The Gate" o il senso del trascorrere del tempo di "Slow Graffiti".
Dalle tenui pennellate folk di This Is Just A Modern Rock Song ai colori sgargianti del successivo Ep Legal Man passa quasi un anno e mezzo e ormai l'uscita del quarto disco dei Belle And Sebastian è alle porte. Legal Man, tuttavia, è un antipasto che non ha praticamente nulla in comune con la portata principale, trasportando di peso l'ascoltatore in un'effervescente party ambientato nei favolosi anni Sessanta (ma va?). Dai coretti delle ospiti Maisonettes a una Isobel Campbell in versione "ragazza yè-yè", i Belle And Sebastian si divertono a portare indietro le lancette dell'orologio più esplicitamente che mai, sia nel brano principale dell'Ep, accompagnato da un video in perfetto stile vintage che li conduce persino a "Top Of The Pops", sia in "Winter Wooskie" e nello strumentale "Judy Is A Dick Slap".

Ancora un mese ed ecco arrivare l'album vero e proprio, introdotto da un surreale titolo che riprende l'ammonimento letto per caso tempo prima da Stuart Murdoch in un bagno pubblico: Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant.
Il giallo della copertina ospita stavolta le gemelline Valtysdóttir dei Múm, con un libro tra le mani (tanto per cambiare…) e un gioco di sguardi riflessi da Doppelganger. Nel retro del booklet, invece, c'è la band al completo, ma camuffata in un carnevalesco travestimento da famiglia aristocratica dell'Ottocento, con un maggiordomo-gorilla sullo sfondo e una didascalia che recita "Please don't let them make me be a monkey butler"...
All'appello della riunione di famiglia, però, manca qualcuno: è il bassista Stuart David, che dopo la registrazione dell'album ha deciso di abbandonare il gruppo per dedicarsi a tempo pieno ai Looper e alla sua passione letteraria, che frutterà i romanzi "Nalda Said" (pubblicato in Italia con il titolo "Nalda diceva" e dedicato alla favola tragica di un animo troppo insicuro per resistere alla paura di non essere amato gratuitamente) e "The Peacock Manifesto".

Nonostante la perdita di Stuart David, che verrà sostituito da Bob Kildea dei V-Twin, i Belle And Sebastian proseguono con l'ausilio di Tony Doogan lungo la strada di un progressivo arricchimento della veste musicale dei propri brani, già intrapresa con l'album precedente. Così, in Fold Your Hands…, quella sezione d'archi che aveva fatto capolino in maniera ancora non del tutto perfettamente focalizzata in "Dirty Dream Number Two" diventa una presenza praticamente fissa, anche se mai troppo invadente.
Sono beatlesiani come non mai, i Belle And Sebastian "gialli". La loro musica acquista una dimensione orchestrale che li conduce verso i lidi di un misurato pop sinfonico, quasi come dei Verve spogliati di magniloquenza.
Con l'iniziale "I Fought In A War" sognano addirittura di scrivere la loro personale protest song, ed è come se la "John Brown" dylaniana finisse tra le braccia di Donovan. Ma è quando gli scozzesi si lasciano andare al loro tono solo apparentemente spensierato che riescono a essere ancora irresistibili, come si capisce subito dal minuetto di harpsicord di "The Model" o dal duetto spumeggiante tra Stuart Murdoch e Isobel Campbell in "Women's Realm".
Sempre la solita solfa? Beh, in fondo non c'è da stupirsene: lo stile dei Belle And Sebastian è una di quelle madeleine che non sono fatte per subire rivoluzioni. Eppure, la cura aggraziata degli arrangiamenti di Fold Your Hands… conferisce una nuova, scintillante patina alla classica gracilità dei loro brani, portando a compimento quel processo di maturazione iniziato tra i banchi di un corso statale per aspiranti musicisti, senza cedere ancora il passo alla perdita dell'innocenza. Mentre la critica comincia a storcere il naso (ma più per partito preso), il disco raggiunge per la prima volta la top ten nelle classifiche, con un video memorabile in cui Stevie Jackson, sulle note della frivola "The Wrong Girl", va alla disperata ricerca di un giubbotto uguale quello sfoggiato da Bob Dylan sulla copertina di "Blonde On Blonde", per riuscire diventare finalmente cool nel mondo del college.
Tra il piano elettrico pigro e indolente di "Don't Leave The Light On Baby" e la filastrocca di panna montata cantata da Isobel in "Family Tree", debutta alla voce anche Sarah Martin, ma la sua "Waiting For The Moon To Rise" non è altro che una versione sbiadita delle "onde gentili" della sua amica Campbell. Non convincono neppure i cupi rintocchi di campana della mistica "Beyond The Sunrise", né il piano dolente che fa da contrappunto alla storia di stupro di "The Chalet Lines". Per fortuna, però, il sense of humour di Stuart Murdoch è sempre brillante come quello di un Jarvis Cocker messo a nudo e, in chiusura del disco, azzecca una delle sue più felici confessioni, quando si lancia tra le volute di archi di "There's Too Much Love", ariose come voli di rondine, per dipingere un'imbarazzata e travolgente dichiarazione d'amore: "I cant' hide my feeling from you now/ There's too much love to go around these days".

"Belle And Sebastian were the product of botched capitalism"

I'm Waking Up To UsCome da tradizione, nel 2001 vedono la luce due nuovi Ep, Jonathan David e I'm Waking Up To Us, che confermano la maturità raggiunta dai Belle And Sebastian. Il primo Ep presenta come cover star il nuovo arrivato Bob Kildea, in una sorta di toga-party che dovrebbe richiamare alla memoria la vicenda biblica di Davide e Golia, mentre il secondo vede gli scozzesi affidarsi per la prima volta a un produttore vero e proprio, Mike Hurst. In entrambi i casi, l'arte orafa della band riesce a mantenere la propria ricchezza senza cadere in eccessi barocchi: a rimanere impresse, più che la spigliatezza di "Jonathan David" o il Brian Wilson apocrifo di "I Love My Car" (con tanto di esplicita dichiarazione d'amore, nel testo, per i quattro Beach Boys), sono però le vellutate "The Loneliness Of A Middle Distance Runner" (che parafrasa il titolo del racconto di Alan Sillitoe "The Loneliness Of A Long Distance Runner", oltre che del film omonimo) e "Marx And Engels", dove gli autori de "Il Capitale" non sono altro che lo spunto per raccontare la storia dell'ennesima ragazza ribelle persa nei propri libri…

A questo punto, è giunto il momento per i Belle And Sebastian di mettersi a fare concerti sul serio: tra il 2001 e il 2002, la band intraprende il proprio tour più impegnativo fino ad allora, arrivando a toccare per la prima volta, nel proprio giro del mondo, anche l'Italia.
Chi si aspettava un manipolo di scozzesi chiusi in sé stessi rimane decisamente spiazzato dalla colorata euforia di una band insospettabilmente glamourosa, ben lontana dall'immagine introversa su cui si era tanto fantasticato: uno Stuart Murdoch in giacca e cravatta stile dandy domina la scena, mentre il viso occhialuto da nerd di Stevie Jackson è protagonista di continui scherzi con il pubblico, che accorre caloroso ai loro concerti. Isobel Campbell, dal canto suo, fa la parte di una svampita Bridget Jones, con un clamoroso abitino con gigantografia del Dylan elettrico in occhiali scuri versione 1966.

Nel corso del tour, i Belle And Sebastian propongono in anteprima alcuni nuovi brani, scritti per la colonna sonora del film a cui sta lavorando il regista di "Happiness", Todd Solondz, dal titolo Storytelling. Gli scozzesi sognano di essere pronti per emulare i fasti de "Il laureato", ma in realtà il regista decide di utilizzare soltanto sei minuti della loro musica per il proprio film. La band, però, non si scoraggia e pubblica ugualmente, nel giugno del 2002, un disco contenente le composizioni realizzate per il film. Una scelta azzardata, che rivela probabilmente un'eccessiva fiducia nelle proprie possibilità da parte del gruppo: il disco, infatti, si presenta come un'irrisolta collezione di brani strumentali calligrafici, tra i quali trovano spazio soltanto sei canzoni vere e proprie, di cui due raggiungono a malapena il minuto di durata. Il tutto inframmezzato da dialoghi tratti dal film, che contribuiscono a rendere l'insieme ancora più sfilacciato.
In quello che è a tutti gli effetti il primo vero passo falso della carriera dei Belle And Sebastian, a mancare è sorprendentemente proprio quella brillantezza melodica di cui gli scozzesi sono sempre stati maestri: si salvano soltanto il flamenco di Stevie Jackson in "Wandering Alone", la corsa a rotta di collo di "Scooby Driver" e la Isobel danzante di "Storytelling", mentre Murdoch si limita a regalare una perla della sua abituale poetica da loser sorridente: "I don't want to play football/ I don't understand the thrill of running, catching, throwing (...) getting hit by people I dont' know".
Le stroncature non tardano ad arrivare e anche i più benigni si limitano a considerare Storytelling un episodio interlocutorio, nell'attesa di un nuovo album vero.

"Everybody's trying to make us another cool decade of fakers"

Dear Catastrophe WaitressNel frattempo, però, un altro strappo incrina l'unità del gruppo di ragazzi di Glasgow, dopo l'addio di Stuart David.
Finito il lungo tour, Isobel Campbell si rende conto che i Belle And Sebastian non sono più il gioco in cui si era buttata all'inizio dell'avventura e che la vita della rockstar proprio non fa per lei: meglio concentrarsi sulla sua carriera solista, allora, che la porterà a pubblicare nel 2003 "Amorino", il primo disco a suo nome dopo due uscite targate Gentle Waves tra il 1999 e il 2000.
I Belle And Sebastian decidono quindi di voltare pagina e lasciano la storica etichetta Jeepster, accasandosi presso la mitica Rough Trade di Geoff Travis.
Il loro primo disco per la nuova label si presenta così come il lavoro più carico di attese della storia del gruppo, da tempo sospeso tra un seguito di culto e l'aspirazione alle (improbabili) luci della ribalta del pop. Ma l'impressione è che, nel tentativo di prendere la via più facile, i Belle And Sebastian finiscano con il perdere per strada quella grazia e quel senso della misura che avevano segnato i loro episodi migliori.
A testimonianza del "nuovo corso" intrapreso, per la prima volta la band compare sulla copertina del disco, anche se ritratta in secondo piano, sullo sfondo di una specie di ristorante italiano da cartolina. E per la prima volta l'album è anticipato da un singolo tratto dal disco, "Step Into My Office Baby", accompagnato da un video trash che sembra avere ben poco a che vedere con l'elegante ironia a cui il gruppo aveva abituato.

Quanto al disco, intitolato Dear Catastrophe Waitress e pubblicato alla fine del 2003, sembra proprio che certe stucchevoli suggestioni vagamente easy listening, per quanto trendy, manchino di quel gusto senza cui è fin troppo facile cadere nella leziosità.
La temuta produzione di Trevor Horn, già sodale di gente come Frankie Goes To Hollywood e mentore del fenomeno T.A.T.U., non snatura il suono della band, che al massimo appare un po' più "ripulito" del solito: certo, però, che la scivolata verso il synth-pop di "Stay Loose" (niente a che vedere con il sapore naïf della vecchia "Electronic Renaissance") non è sicuramente la migliore chiusura che ci si potesse aspettare per un disco del genere…
Nonostante le cadute di tono, comunque, non mancano i brani destinati a inserirsi a pieno titolo tra i classici della band, come "If She Wants Me", con i suoi irresistibili falsetti funky, le vivaci "I'm A Cuckoo" e "If You Find Yourself Caught In Love", l'attacco byrdseggiante di "Wrapped Up In Books" o la più morbida "Lord Anthony".
Gli arrangiamenti orchestrali e il clima solare del disco sono la naturale prosecuzione di quanto mostrato dai Belle And Sebastian in Fold Your Hands..., anche se la lista degli additional musician cresce sempre più, a testimonianza di un suono sempre più ricercato e a tratti sovrabbondante, ma pur sempre capace di inanellare melodie che si appiccicano inevitabilmente alla memoria.

Dear Catastrophe Waitress, insomma, trascorre in maniera gradevole ma fin troppo stilosa, ricalcando gli standard della band senza riuscire sempre a emozionare, come quando le consuete citazioni dei Love o di Simon & Garfunkel si fanno troppo scoperte o quando in "Asleep On A Sunbeam" la voce infantile di Sarah Martin cerca di sopperire alla mancanza di Isobel Campbell.
Il paragone è reso ancora più impietoso dalla pubblicazione nel 2005, da parte della Jeepster, del doppio album Push Barman To Open Old Wounds, raccolta "definitiva" dei brani contenuti proprio negli Ep storici della band. Un gioiello imprescindibile per chi ancora non conosce la strepitosa discografia parallela dei Belle And Sebastian, solo un oggetto da fan terminali per chi ha già tutti gli Ep originali nella propria collezione.
A conferma della crescente visibilità degli scozzesi, un brano inedito dei Belle And Sebastian, "The Eight Station Of The Cross Kebab House", viene inserito nella compilation "Help: A Day In The Life", destinata a raccogliere fondi per l'associazione War Child.


In attesa dell'uscita del loro settimo album, sempre nel 2005 i Belle And Sebastian debuttano nel mondo della musica digitale mettendo in vendita su iTunes il loro primo live ufficiale, If You're Feeling Sinister: Live At The Barbican, e donando i proventi del download all'associazione DEC's Asia Quake Appeal. Si tratta della registrazione di un concerto tenuto a Londra per la serie "Don't Look Back", in cui i partecipanti eseguono per intero il loro disco più classico. Nel caso dei Belle And Sebastian la scelta non poteva che cadere su If You're Feeling Sinister, anche se la fedele riproposizione dal vivo della tracklist completa dell'album non riserva grandi emozioni, vista la tendenza degli scozzesi a non stravolgere più di tanto i propri brani sul palco. Piuttosto, il disco è l'occasione di constatare quella che John Peel aveva definito la "sorprendente muscolarità" dell'impatto live maturato nel corso degli anni dai Belle And Sebastian: rispetto alla gracilità del suono originale, la versione 2005 dei brani di If You're Feeling Sinister è levigata e luccicante, soprattutto nella rinvigorita energia dei crescendo di "Judy And The Dream Of Horses" e "The Stars Of Tracks And Field" o nell'irrobustimento dei chiaroscuri della title track. Nel complesso, però, l'operazione non riesce a convincere quanto avrebbe potuto fare la scaletta più variegata di un normale disco dal vivo ed il confronto con le versioni in studio non fa altro che esaltare ancor di più il fascino degli originali.

"What happened to all of the feeling?"

The Life PursuitDopo dieci anni di carriera, i Belle And Sebastian decidono di volare dall'altra parte dell'Oceano e di raggiungere Los Angeles per sfornare il loro disco più estroverso e più ballabile di sempre, originariamente concepito addirittura come un doppio album. Ma in The Life Pursuit, pubblicato all'inizio del 2006 ed entrato direttamente nella top ten britannica, gli scozzesi si accontentano di ricalcare dozzinali riff glam e di inseguire frivolezze black, nel tentativo di dimostrare a tutti che adesso non hanno più paura di fare le cose in grande e che sono pronti a lasciarsi alle spalle il cliché dei malinconici sognatori. Il risultato è quello di una band che sembra avere smarrito la propria identità, incerta tra un generico pop-rock dalle ascendenze Seventies ed una ripetizione poco convinta del proprio passato.
Nella loro nuova veste i Belle And Sebastian, invece di sorprendere, finiscono per perdere per strada proprio la loro originalità. Per questo il sapore estivo di The Life Pursuit e il suo calibrato uso di tutti i classici espedienti pop non riescono ad andare oltre la superficie.

È vero che di primo acchito si rimane inevitabilmente spiazzati dall'incedere gommoso alla T. Rex di "White Collar Boy" o dalla spudorata imitazione del primo David Bowie e del Lou Reed "trasformista" offerta da "The Blues Are Still Blue" persino nel timbro vocale di Stuart Murdoch. Ma, superato il primo attimo di straniamento per l'insinuarsi di aciduli assolo in un disco dei Belle And Sebastian, si capisce subito che il citazionismo di The Life Pursuit rimane un gioco divertente, ma sostanzialmente fine a sé stesso.
Al di là di certe pacchianerie, da cui anche il precedente Dear Catastrophe Waitress non era esente, il vero problema di The Life Pursuit è che per la prima volta il suono dei Belle And Sebastian, per quanto tirato a lucido, risulta appiattito e privo di mordente, complice la produzione di Tony Hoffer. E così i classici brani in stile Belle And Sebastian, come il singolo "Funny Little Frog" o "Another Sunny Day", con le loro ritmiche saltellanti e le loro chitarre in odore di jingle-jangle, nonostante la consueta godibilità, rimandano ormai più ai Coral che non agli Smiths.
Certo, c'è ancora la tromba di Mick Cooke che accarezza i sussurri di "Dress Up In You", c'è la morbidezza nostalgica dei ricami di "Mornington Crescent" e c'è la voce di Stevie Jackson che in "To Be Myself Completely" rievoca i tempi di "The Boy With The Arab Strap". Ma a mancare è l'innocenza, e parlando dei Belle And Sebastian non è un dettaglio da poco.
Solo la vena letteraria di Stuart Murdoch continua a brillare, arguta e pungente nel tratteggiare le sue storie con un paio di versi, come nel racconto da lavanderia automatica di "The Blues Are Still Blue". Rispetto alle pagine degli esordi, nella penna di Murdoch sembra solo esserci meno partecipazione e più distacco rispetto ai propri personaggi, conferendo al songwriting un'aria maggiormente spensierata.

Il senso della parabola dei Belle And Sebastian è testimoniato dal confronto con il nuovo lavoro di Isobel Campbell, "Ballad Of The Broken Seas", pubblicato quasi in contemporanea rispetto a The Life Pursuit e dedicato a un affondo nella tradizione folk in duetto con la tenebrosa voce di Mark Lanegan: ben pochi sarebbero stati disposti a scommetterci, ma il percorso artistico intrapreso da quella che sembrava solo la timida biondina del gruppo assume ormai tratti più interessanti di quelli delle nuove produzioni dei suoi vecchi compagni di viaggio... Un percorso, quello di Isobel, che prosegue a pochi mesi di distanza con "Milkwhite Sheets", in cui a dominare è ancora una volta un repertorio di cupezze arcaiche alla Shirley Collins, anche se il risultato, senza l'apporto dell'ex Screaming Trees, suona meno intrigante e più monocorde. La strana coppia Campbell/Lanegan torna però nel 2008 con "Sunday At Devil's Dirt" e nel 2010 con "Hawk", confermando appieno il valore della loro prima collaborazione.
Nel frattempo, i Belle And Sebastian partecipano nel 2006 alla collana Late Night Tales della Azuli Records, pubblicando una compilation di brani dei loro artisti preferiti (cui seguirà un secondo volume nel 2012). Una raccolta la cui luccicante patina lounge ed elettronica, che annovera nomi come Stereolab, Múm e RJD2, conduce ad una polpa di easy listening (The Peddlers), pop progressivo (Demis Roussos), tropicalismo (Gal Costa) e power pop (Big Star), per arrivare ad un nocciolo fatto di soul, blues e folk, in cui svettano Donovan, Johnny Cash e Jimmy Yancey. Certo, l'accostamento di brani hip hop e suite di J. S. Bach è uno di quei vezzi che rimangono fastidiosamente indigesti, ma l'album rappresenta comunque un interessante spaccato del retroterra musicale dei Belle And Sebastian, che offrono anche una cover (inedita ma tutt'altro che imprescindibile) di "Cassaco Marron" del brasiliano Trio Esperança, con Sarah Martin a recitare la parte della ragazza di Ipanema.
Nello stesso anno, gli scozzesi si divertono a giocare con le canzoni per bambini, pubblicando la loro personale versione di "The Monkeys Are Breaking At The Zoo" per una compilation a favore di Save The Children dal titolo "The Colours Are Brighter" e inserendo la malinconica giostrina di "Florence's Sad Song" (accreditata al solo Stuart Murdoch) nell'album "Songs For The Young At Heart".

La Jeepster pubblica alla fine del 2008 The BBC Sessions, che raccoglie (in maniera incompleta) le esibizioni della band ai microfoni della radio britannica nel periodo d'oro tra il 1996 e il 2001.
Fin dal classico stile dell'immagine di copertina, "The BBC Sessions" ricorda subito anche ai più distratti che la dimensione ideale della musica dei Belle And Sebastian rimane racchiusa tra le mura di una cameretta: "If I could be a song / I would be something that would snake into your room / And be with you the whole night long", canta Stuart Murdoch nell'inedita "(My Girl's Got) Miraculous Technique". Inutile negare, allora, che la resa dal vivo delle canzoni degli scozzesi non è fatta certo per sorprendere: solo qualche sfumatura si aggiunge al quadro già tratteggiato nelle versioni in studio dei brani. Sul palco, Stuart Murdoch e soci hanno acquistato col tempo una presenza scenica sempre più vivace e coinvolgente, ma le loro interpretazioni non si sono mai allontanate troppo dalla fedeltà agli originali.
Probabilmente è questa la ragione per cui "The BBC Sessions" non riesce a brillare di luce propria, pur rinnovando l'incanto dei vecchi acquerelli. Anche perché i quattro inediti posti in chiusura del disco, risalenti ad una trasmissione di John Peel del 2001 (prima della dipartita di Isobel Campbell dal gruppo), finiscono per risultare piuttosto prescindibili rispetto ai coevi Ep Jonathan David e I'm Waking Up To Us, anticipando di fatto la perdita di personalità degli anni successivi.
La ritmica flessuosa di "Shoot The Sexual Athlete" permette a Stuart Murdoch di recitare una scoperta dichiarazione d'amore per i Go-Betweens (fino al punto di immaginare di presentare il compianto Grant McLennan a mamma e papà...), che assume le vesti di un'ode dal sapore autobiografico sulle gioie dell'essere un fan, trascorrendo il tempo a dipingere a mano spille dei Pere Ubu e degli Sugarcubes. Il chorus di "The Magic Of A Kind Word" rimane un gioco estemporaneo, così come i beat di "(My Girl's Got) Miraculous Technique", campionati dal vecchio successo dei Mercy "Love (Can Make You Happy)". E sulle note della cantilena di "Nothing In The Silence", i Belle And Sebastian affidano all'inconfondibile sussurro di Isobel Campbell un manifesto poetico venato della consueta timidezza: "In silence there is truth / There is beauty, there is love / There is nothing in the silence / To be frightened of".
L'edizione limitata dell'album comprende anche un secondo disco con la registrazione di un concerto del 2001 a Belfast, che conferma luci e ombre dei Belle And Sebastian live: l'inevitabile perdita di intimità non viene compensata in termini di impatto emotivo, ma si risolve in una festa colorata e alla fine un po' frivola, in cui spicca la soffice dolcezza della cover della beatlesiana "Here Comes The Sun".

"Life could be musical comedy"

God Help The Girl"Cercasi cantante che ami Ronettes, Twinkle e Friend And Lover. Astenersi aspiranti Céline Dion". L'annuncio sul giornale non dà altri dettagli. Di che cosa si tratterà mai? All'audizione si presentano una ventina di ragazze; davanti a loro, un biondino segaligno di Glasgow di nome Stuart Murdoch...
Comincia così la nuova favola orchestrata dal capobanda della premiata ditta scozzese. "Stavo facendo jogging e all'improvviso ho sentito questo motivo nella testa: ho capito subito che non poteva essere una canzone dei Belle And Sebastian. Potevo sentire voci femminili e archi, potevo sentire tutto quanto, ma non riuscivo proprio a vedermi cantare insieme al gruppo". Sin dal 2004, Murdoch comincia a mettere da parte idee per un nuovo progetto e va alla ricerca di voci femminili capaci di dare corpo alla sua visione: dopo il primo annuncio su un quotidiano locale, la notizia viene diffusa sul web e le candidature salgono rapidamente a quota 400. Arriva anche un titolo: God Help The Girl. E la fantasia di Murdoch prende la forma di un musical vecchio stile, che strizza l'occhio al girl-pop degli anni Sessanta.

Detta così, potrebbe sembrare il classico espediente di un artista in crisi creativa, considerato il calo di ispirazione messo in mostra dai Belle And Sebastian nelle prove precedenti... Invece è proprio il contrario, perché "God Help The Girl" riesce laddove gli scozzesi avevano sino a quel momento fallito: confezionare una collezione di brani smaccatamente popular senza perdere freschezza e divertimento. Non si tratta solo della presenza di voci diverse rispetto agli ormai proverbiali timbri flebili della band: il punto è che le ambizioni pop di Murdoch riescono stavolta a trovare una dimensione più congeniale, sia dal punto di vista delle atmosfere che da quello della scrittura dei brani. Un progetto parallelo, certo, pur sempre molto distante dai dischi che hanno fondato il culto del collettivo di Glasgow, ma in grado di offrire nuova linfa a una vena compositiva che sembrava esaurita, finendo per suonare nel complesso più convincente delle precedenti uscite targate Belle And Sebastian.
Murdoch si ritaglia una piccola parte, ma il ruolo della protagonista è affidato alla voce limpida e vellutata dell'irlandese Catherine Ireton, già cover girl del singolo "The White Collar Boy" e cantante dell'ensemble jazz-pop Elephant. Un incontro nato per caso attraverso la moglie di Murdoch, che a sua volta aveva ricevuto in prestito un disco degli Elephant dalla ex-coinquilina, che a sua volta ne era entrata in possesso grazie a un amico di Catherine con cui frequentava lo stesso master a Glasgow... Il risultato del provvidenziale passaparola permette di completare il cast selezionato dal leader dei Belle And Sebastian nel suo personale talent show: "per me la voce femminile è la bellezza fondamentale disponibile al genere umano", afferma deciso.

Basterebbero anche solo i due episodi di The Life Pursuit ripresi in God Help The Girl per confermare l'intuizione di Murdoch: il cabaret orchestrale di "Act Of The Apostle" trova un delicato equilibrio che fa dimenticare facilmente l'originale e "Funny Little Frog" acquista un'inedita sensualità grazie all'interpretazione alla Adele dell'esordiente americana Brittany Stallings.
Supportato dai Belle And Sebastian al completo e da un'orchestra di 45 elementi diretta da Rick Wentworth, l'andamento northern soul dei brani si riveste di una glassa di archi che rimanda direttamente ai tempi di Fold Your Hands..., con la vivacità dei coretti girl-pop a fare da contrappunto al lirismo. Il singolo "Come Monday Night", sostenuto da una morbida venatura di basso, suona come un carezzevole apocrifo She & Him, mentre in "I Just Want His Jeans" il candore malinconico di Asya, cantante della band teen-indie Smoosh, richiama la leggerezza un po' incerta della Emiliana Torrini di "Me And Armini".
Il songwriting di Murdoch fa da filo conduttore, l'alternarsi delle voci funziona come antidoto contro il déjà vu. A prendere vita è una storia tutta al femminile, con al centro il personaggio dell'inguaribile sognatrice Eva (Catherine Ireton, of course), persa in fantasie amorose fatte di telefonate che non arrivano mai e messaggi della segreteria telefonica analizzati in ogni minimo dettaglio... "Please stop me there, I'm even boring myself", invoca nella title track. Ma stavolta non ci si annoia, ed è già una buona notizia.

A fare da corollario all'album vero e proprio, a qualche mese di distanza arriva l'Ep Stills, che raccoglie una serie di outtake che spaziano dalla delicatezza di "I'm In Love With The City" all'ironia di "The Psychiatrist Is In", passando attraverso l'allegra fanfara di "He's A Loving Kind Of Boy". La pubblicazione di God Help The Girl e la quasi contemporanea inclusione nella compilation "Dark Was The Night" di una cover del traditional "Another Saturday" intestata al solo Stuart Murdoch fanno mormorare di un ipotetico scioglimento dei Belle And Sebastian, ma è lo stesso leader del gruppo a preoccuparsi di smentire subito le voci.

"I want the world to stop"

Write About LoveUn apostrofo rosa tra le parole "Belle" e "Sebastian". Dopo quattro anni di pausa da The Life Pursuit, Stuart Murdoch e soci tornano nel 2010 con il loro disco rosa, più in vena di romanticismo che mai. Write About Love torna sul luogo del delitto, ripartendo dallo stesso produttore (Tony Hoffer) e dalla stessa location (Los Angeles) del disco precedente. Ma le velleità un po' ruffiane di The Life Pursuit sembrano stemperarsi: il nuovo album prova a recuperare le sfumature, pur senza rinnegare le tinte smaglianti dei tempi recenti. "I Didn't See It Coming" è una partenza incoraggiante, con il suo passo sinuoso e la voce di Sarah Martin ad avvilupparsi tra pianoforte e arpeggi. Subito, però, le tastiere di stampo vintage di "Come On Sister" riportano la bussola verso le atmosfere levigate degli ultimi dischi. E "Calculating Bimbo", classica ballata di impronta blue-eyed soul, non contribuisce certo a migliorare le cose, scivolando rapidamente nella scontatezza.

Eppure, "I Want The World To Stop" è probabilmente il miglior singolo sfornato dalla band da anni. Il rincorrersi delle voci, il beat svelto, l'aroma dolceamaro di fiati e archi: in un attimo tutto torna a combaciare. La lezione di God Help The Girl si sente soprattutto nella ricerca di nuove voci femminili: stavolta Murdoch riesce a scritturare nientemeno che la Carey Mulligan di "An Education", tuffandosi con l'attrice inglese nella vivacità anni Sessanta della title track. Certo, l'altro duetto del disco, quello con Norah Jones in "Little Lou, Ugly Jack, Prophet John", la dice lunga su quale sia oggi l'ambito di riferimento degli scozzesi: un pop gradevole e addomesticato, che tende a prediligere l'intrattenimento soffuso.
Non ci sono passi falsi clamorosi, in Write About Love: il problema è che tutto rimane nell'aura della mediocrità. Anche il contributo alla composizione offerto dagli altri componenti della band (da Stevie Jackson in "I'm Not Living In The Real World" a Sarah Martin in "I Can See Your Future") si rivela decisamente prescindibile. Tra gli sbiaditi sussurri di "Read The Blessed Pages" e l'epilogo corale di "Sunday's Pretty Icons", a risollevare le sorti del disco interviene il tono vellutato di "Ghost Of Rockschool", che non avrebbe sfigurato tra le pagine di The Boy With The Arab Strap.
Le canzoni di Write About Love ripropongono senza troppi imprevisti i temi più familiari ai Belle And Sebastian. Ci sono i bohémien squattrinati ("We don't have the money / Money makes the wheels and the world go round / Forget about it, honey"), c'è la realtà che soffoca i sogni ("I hate my job / I'm working way too much / Every day I'm stuck in an office"). Ma stavolta tutto suona più prevedibile del solito - e non basta certo infilare in un testo i nomi di Balzac e Bach (come negli ultimi versi di "I Want The World To Stop") per recuperare una patina letteraria...
"Write about love, it could be in any form", suggerisce Murdoch riprendendo il titolo dell'album. Sembra facile, scrivere d'amore. La cosa più naturale del mondo. Ma quando la calligrafia diventa risaputa, anche la passione finisce per trasformarsi in routine.

Nel 2013, i Belle And Sebastian collezionano in The Third Eye Centre una serie di b-side, versioni alternative e outtake dell’era Rough Trade. Il confronto con l'analogo predecessore, Push Barman To Open Old Wounds, è impietoso: stavolta quella offerta dagli scozzesi non è altro che un’antologia di scampoli per completisti, che conferma il calo di ispirazione del gruppo.
Eppure, lasciando da parte la trappola della nostalgia, The Third Eye Centre è l’occasione per dare uno sguardo in controluce alla metamorfosi dei Belle And Sebastian, alla scoperta delle sfaccettature di un gruppo in cerca della propria identità matura. In particolare, a risaltare subito è l’eclettismo delle atmosfere: i Belle And Sebastian sembrano avere riservato a singoli ed Ep il loro lato più curioso, quello animato dal desiderio di misurarsi anche con le scelte maggiormente azzardate. Le idee non mancano, insomma: è la loro traduzione a lasciare tutto sommato a desiderare, andando di rado oltre il semplice esercizio di stile.

Dopo aver portato finalmente sul grande schermo (anche se con risultati incerti) "God Help The Girl" ed essersi accasati alla Matador, i Belle And Sebastian tornano nel 2015 con Girls In Peacetime Want To Dance. Come era stato per The Life Pursuit, gli scozzesi puntano ancora una volta sull’effetto sorpresa: avventurandosi in quello che Bob Stanley dei Saint Etienne (chiamato significativamente a presentare il disco) definisce senza mezzi termini “un audace passo sul dancefloor, destinato a far sollevare a qualcuno le sopracciglia”. Tutti avvisati, insomma: Stuart Murdoch e soci, stavolta, hanno voglia di organizzare una festa da ballo nella loro cameretta.

Fin dai lustrini anni Ottanta di “The Party Line”, il primo singolo estratto dall’album, i Belle And Sebastian mostrano di sentirsi perfettamente a proprio agio anche in una veste apparentemente così distante dalla fragilità degli esordi. Dal martellante beat europop di “Enter Sylvia Plath” al synth-pop agrodolce di “Play For Today” (in duetto con Dee Dee Penny delle Dum Dum Girls), sono proprio i brani che scelgono di allontanarsi senza troppe remore dai canoni del gruppo a suonare più convinti: l’abito confezionato ad Atlanta dal produttore Ben H. Allen (già artefice del suono di gruppi come gli Animal Collective) è smagliante e spavaldo, la voce di Murdoch lo asseconda con un tratto più maturo.

Quando sfumano i colori delle luci stroboscopiche, però, Girls In Peacetime Want To Dance si rivela molto più incerto sulla direzione da prendere. Stevie Jackson mette in pista una girandola funkeggiante (“Perfect Couples”), Sarah Martin si presta ora a riff gaglioffi (“The Book Of You”), ora a tastiere acidule (“The Power Of Three”), Murdoch strizza l’occhio alla nostalgia dei fan della prima ora con il classicismo di “Ever Had A Little Faith?”. Ma, un po’ come nel precedente Write About Love, è la stoffa delle canzoni ad essere di carta velina, e non basta la colata di archi di “The Cat With The Cream” per rinverdire il curriculum folk del gruppo.

Il secondo trittico di Ep: How To Solve Our Human Problems

A vent'anni esatti dal primo trittico di Ep pubblicati per Jeepster, tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018 i Belle and Sebastian danno vita a una seconda triade riunita sotto l'unica dicitura How to Solve Our Human Problems. L'approdo su Matador sembra aver segnato il passo decisivo di Stuart Murdoch e compagni verso un'idea di pop a tutto tondo, in grado di sciorinare senza più indugi e ripensamenti il pop da cameretta e quello da pista da ballo (o quasi). Se però l'unione dei due sentimenti faceva perlopiù la forza nel precedente lavoro, qui viene a mancare quello che è da sempre l'ingrediente essenziale e magico dei Belle and Sebastian: il songwriting. Per carità, là fuori c'è una fila lunga un chilometro di artisti che vorrebbero firmare brani come “Sweet Dew Lee” e “We Were Beautiful”, lestamente piazzate a inizio scaletta e loro malgrado specchietto per le allodole di questo ennesimo atto discografico. La verità però si annida nelle pieghe di questa ora abbondante di musica, e viene ben presto a galla. Il nuovo tentativi disco “The Girl Doesn't Get It” tutto sommato fa ancora il suo dovere, ma già “Poor Boy” fa rimpiangere questa scelta coraggiosa - al punto che viene da rivalutare perfino gli ultimi Arcade Fire. L'uptempo sintetico “Show Me the Sun”, da parte sua, rivela un'insospettabile piattezza espressiva. Non che vada meglio con le divagazioni esotiche di “Everything Is Now (Part One)”, una specie di tema Santana-iano diluito in tiepide atmosfere new age. Al punto che gli ormai consueti duetti di voci e maschili sembrano ormai consunti e auto-stereotipati, fino a risultare quasi fastidiosi (“Too Many Tears”).

 

Non è ovviamente tutto da buttare, e non è un caso che i Belle and Sebastian tornino a convincere quando si rimettono a interpretare il ruolo di se stessi. “A Plague on Other Boys” e “There Is an Everlasting Song” sono fatte della stessa filigrana di un tempo, appena impolverata dal passare degli anni ma comunque più che sufficiente per far brillare di nuovo gli occhi. E allora la verità è una, e una soltanto: di questo carrozzone tripartito sarebbe bastata la metà del carico, per non dire un terzo o giù di lì. Non avremmo forse gridato al capolavoro, è vero, e non avremmo nemmeno risolto i problemi dell'umanità. Ma certamente ci saremmo sentiti più che appagati.

La colonna sonora di "Days of the Bagnold Summer"

Infine, per i Belle and Sebastian arriva il fatidico momento in cui si avrà a che fare con la settima musa. L'occasione è la trasposizione cinematografica di Days of the Bagnold Summergraphic novel di successo partorita dalla matita da Joff Winterhart nel 2012. La trama, manco a dirlo, sembra uscire da un brano dei Belle and Sebastian: protagonisti sono un un ragazzo appassionato di heavy metal e alle prese con i tormenti della crescita, e la madre con cui si trova “condannato” a passare un'intera, interminabile estate, in una situazione che si fa potenzialmente sempre più esplosiva ogni giorno che passa.
Rispetto alle sortite elettroniche e ballabili degli ultimi lavori, contraddistinti da luci e ombre, la band di Glasgow decide qui di tornare a casa, riabbracciando in toto quel twee-pop che ne aveva decretato le fortune. Nati come accompagnamento per immagini, questi brani si svestono in più occasioni delle parti vocali per dare risalto alla componente strumentale. Ma è più in generale lo spirito a essere tornato quello di un tempo. Il singolo “Sister Buddha”, di cui esiste anche la versione acustica in forma di introduzione all'album, è senza troppi giri di parole il pezzo che gli scozzesi non riuscivano a scrivere da un po' di tempo a questa parte.

A fine 2020, poco prima del Natale, i Belle and Sebastian si riaffacciano sulle scene con un inatteso album live intitolato What To Look For In Summer. Nell'impossibilità di recarsi a Los Angeles per registrare un nuovo disco, gli scozzesi decidono di assecondare le richieste dei loro fan e danno alle stampe un'ampia selezione di brani dall'ultimo tour.
In ordine più o meno casuale, antiche e recenti hit provano a superare il test del live, con risultati perlopiù positivi. Dell'ultimo repertorio brilla “We Were Beautiful”, un brano che già in studio si stagliava nella sua piccola memorabilità da instant classic; ben meno edificante è invece il risultato ottenuto con una “Poor Boy” che stenta nel far brillare la sua allure pop (né la prova vocale della Martin aiuta granché, va detto). Andando a ritroso a livello temporale, non possiamo che confermare (dopo il live a cui avevamo assistito nel 2018) che “Stay Loose” rimane uno dei brani più divertenti del lotto, soprattutto per via di quel ritornello che sembra fatto apposta per essere cantato da una folla festante. Carine anche le versioni di “Step Into My Office, Baby” e “Wrapped Up In Books”, sostanzialmente coeve, E visto che si parla di divertimento, il pezzo da novanta è ancora una volta “The Boy With The Arab Strap”, qui presentata in una versione estesa e vagamente alcolica.
Siamo di fatto già nel campo dei grandi classici degli scozzesi, e qui si apre un capitolo ancora più ampio. Spiccano le versioni di “If You're Feeling Sinister” e “My Wandering Days Are Over”, messe lì in successione quasi a tradimento verso il fondo della lunghissima tracklist (ventritré brani!). Ma a brillare è soprattutto una versione per piano e voce di “The Fox In The Snow”, davvero da brividi.
Qualcuno lamenterà che dentro a What To Look For In Summer mancano diversi pezzi da novanta - “Piazza, New York Catcher”, “I Want The World To Stop”, “Another Sunny Day” per citarne qualcuno – ma in fondo Murdoch e soci avevano chiarito fin da subito che non si sarebbe trattato di un best of o di un'antologia. In compenso, rispolverare pezzi come “I Can See Your Future” o “Dirty Dream Number Two” magari farà tornare la voglia di riprendere in mano alcuni album della discografia glasvegiana. Ammesso che li abbiate mai abbandonati.
Che si torni indietro anziché guardare avanti è un'operazione spesso stigmatizzata tra i critici musicali. Nel caso specifico dei Belle and Sebastian e di questa soundtrack, invece, viene soltanto da pensare che i Nostri siano tornati a fare ciò che gli riesce meglio. Ovvero a scrivere canzoni maestosamente soffuse, adornate di una grazia che è un dono assai raro e prezioso. Una grazia che si manifesta nel binomio di pianoforte e organo di “I Know Where The Summer Goes”, nella reticente spensieratezza di “Safety Valve”, ben evidenziata dal suono del violino, nelle riflessioni intime di “This Letter”, accompagnate dalla chitarra acustica, nelle malinconiche inflessioni di “We Were Never Glorious”, nuovamente sostenute dal piano in una coda a suo modo quasi barocca. Il fatto stesso che nella scaletta venga piazzata a tradimento una vecchissima hit quale “Get Me Away From Here, I'm Dying” sembra in qualche modo, implicitamente, legittimare questa sensazione di homecoming.
Ma forse la vera sorpresa, non più un ritorno ma in qualche modo un passo avanti, sono le strumentali “Jill Pole” e “The Colour's Gonna Run”, laddove la narrazione non necessita delle parole di Stuart Murdoch e il chamber-pop dei Belle and Sebastian può essere apprezzato in tutta la sua sgargiante gamma di soluzioni.

Nel maggio del 2022 i Belle and Sebastian pubblicano un nuovo album in studio: A Bit Of Previous. Costretti dalla pandemia a muoversi entro i confini della natia Glasgow anziché volare a Los Angeles per le consuete registrazioni, i B&S partoriscono uno dei dischi più conservatori della loro ormai lunga parabola discografica. Non che nelle precedenti puntate della saga scozzese si riscontrassero particolari sussulti, per carità, ma nei solchi di “A Bit Of Previous” si sente forte e chiaro un autocompiacimento che a qualcuno parrà semplice classicità o al limite manierismo, ad altri un tentativo di rinverdire fasti invero sempre più lontani.

 

Se a Stuart Murdoch e soci riconosciamo un credito infinito e un affetto incontaminato per ciò che ci hanno dato nel corso dei decenni, è proprio per lo stesso motivo che fatichiamo a entusiasmarci per i dodici brani che compongono il nuovo repertorio glasvegiano. In questa carrellata di brani che un tempo forse avremmo furtivamente scoperto in una raccolta di b-sides come “The Third Eye Centre” ci si domanda quale di queste canzoni potrebbe confluire in un ipotetico best of senza sfigurare. Appena un paio, magari, più per generosità che per convinzione: “Young and Stupid”, che si muove a mezz'aria sul consueto tappeto di arrangiamenti ben congegnati, e ancora una “Sea Of Sorrow” che manda di nuovo a scuola interi stuoli di artisti alle prese con i rudimenti della ballad perfetta, qui proposta nella sempreverde versione per valzer.

 

Il resto del repertorio, cioè la parte preponderante, si barcamena senza grandi infamie né lodi in una aurea mediocritas che mal si addice a gente con il pedigree dei B&S. Ritornano i colori pastello, una certa atmosfera ovattata e rassicurante che non può essere spiegata a parole senza cliccare play, tutto un immaginario su cui è stato abilmente creato un immaginario talmente perfetto da non volerci più uscire una volta entrati. E tuttavia, in un lavoro che abbandona ogni velleità rock, a scuotere dal torpore è quasi inopinatamente l'occasionale intervento di quel synth-pop che i Nostri utilizzano con velleità pseudo-danzerecce come minimo dai tempi di “Girls In Peacetime Want To Dance”: ecco allora che tentativi come “Talk To Me, Talk To Me” “Prophets On Hold” movimentano la scaletta senza mai convincere del tutto.

 

Se il singolo “If They're Shooting At You”, i cui proventi vanno interamente alla Croce Rossa impegnata in Ucraina, è un esercizio di stile o magari una sorta di costante autopoiesi, se “Unnecessary Drama” tenta la via di un eclatante uptempo country-folk da festa paesana (con tutto il rispetto, s'intende), se “Come On Home” ripristina una classe cristallina con spirito quasi soul, insomma se bene o male ci si barcamena con mestiere e perizia su formule standard, la noia provocata qua e là da pezzi come “Reclaim The Night”, “A World Without You” o “Working Boy In New York City” è un campanello d'allarme per chi ha a cuore la musica dei Belle and Sebastian.

A circa otto mesi di distanza da A Bit Of Previous, i Belle and Sebastian recapitano senza preavviso altre undici cartoline dalle stesse sessioni che avevano dato la luce all’album del 2022. Giocando con le parole - previous/late - e con la tinta su cui, come da tradizione, viene declinata la copertina - dal seppia del predecessore a un azzurro che evoca i mitici esordi di “Tigermilk” – Stuart Murdoch e soci ribadiscono con Late Developers (2023) quanto già era emerso, appunto, con quello che è ormai considerabile come l’album-gemello.
Il meglio, programmaticamente, viene riservato per le prime battute del disco, con una “Juliet Naked” che prova a vestire i panni di nuovo classico nel repertorio dei glasvegiani, con ogni probabilità riuscendoci: una ballata quasi-epica per chitarre nervose e linee vocali accorate, uno di quei quadretti luccicanti che alla formazione scozzese escono sempre a meraviglia. Lo standard viene riproposto con risultati comunque soddisfacenti nelle varie “When We Were Very Young”, “Will I Tell You A Secret” (una sorta di filastrocca in chiave indie-pop), “When The Cynics Stare Back From The Wall” (con ospite Tracyanne Campbell dei Camera Obscura) e “Late Developers”, quest’ultima maggiormente orchestrata e innestata su ritmiche più latino-americane che nordiche.
Fin qui tutto bene, e stiamo parlando di una parte tutto sommato consistente del repertorio, ma è quando i Belle and Sebastian si spingono al largo rispetto ai lidi natii che ancora una volta la loro formula mostra la corda. Se l’uptempo “Give A Little Time”, fin troppo leggero, rappresenta ormai un altro standard della formazione di Glasgow, di difficile digestione appaiono numeri quali il pop patinato di “The Evening Star” e, soprattutto, l’ennesimo sconfinamento in territori pseudo-dance con “I Don’t Know What You See In Me”, con il suo entusiasmo quasi posticcio che però avrà sicuramente un senso differente in chiave live.
Al netto di pregi e difetti, comunque un’opera che appare leggermente più ispirata rispetto a quella coeva dell'anno precedente.

 

Il fatto è che quello che ha reso unici i Belle And Sebastian (anche quando l'effimera esplosione del fenomeno NAM ha riempito i negozi di dischi di epigoni di Nick Drake) è stata la capacità di creare un immaginario, di non essere una band come tutte le altre: dalla galleria di personaggi quotidiani nati dalla fantasia di Stuart Murdoch alle inconfondibili copertine dei dischi, dalla ritrosia di fronte ai clamori mediatici all'immagine di comunità di amici desiderosi di condividere i propri sogni, i Belle And Sebastian hanno permesso a una generazione stanca del ribellismo ideologico dei propri fratelli maggiori di riconoscersi in una dimensione finalmente congeniale alla propria sensibilità.
Oggi, invece, non sembra più così facile distinguere i Belle And Sebastian da un qualunque gruppo votato al revival folk-pop: qualcosa da ascoltare in sottofondo per la durata di un aperitivo, non qualcosa in cui lasciar vagare il confuso desiderio di quello che ci si aspetta dalla vita. Magari emotivo e sentimentale fin che volete, ma alla sua radice vero. Ecco, la cosa peggiore che potrebbe capitare ai Belle And Sebastian è proprio questa: diventare finti. Perché non sono fatti per recitare una parte, gli scozzesi: queste cose meglio lasciarle a qualche nuova "cool decade of fakers"...

Belle And Sebastian

Discografia

BELLE AND SEBASTIAN
Tigermilk (Jeepster, 1996)

7,5

If You're Feeling Sinister (Jeepster, 1996)

8

Dog On Wheels (Ep, Jeepster, 1997)

7

Lazy Line Painter Jane (Ep, Jeepster, 1997)

6,5

3... 6... 9... Seconds Of Light (Ep, Jeepster, 1997)

7

The Boy With The Arab Strap (Jeepster, 1998)

7

This Is Just A Modern Rock Song (Ep, Jeepster, 1998)

7

Legal Man (Ep, Jeepster, 2000)

6,5

Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant (Jeepster, 2000)

7,5

Jonathan David (Ep, Jeepster, 2001)

7

I'm Waking Up To Us (Ep, Jeepster, 2001)

7

Storytelling (Jeepster, 2002)

5

Dear Catastrophe Waitress (Rough Trade, 2003)

6

Books (Ep, Rough Trade, 2004)5,5
Push Barman To Open Old Wounds (anthology, Jeepster, 2005)

7

If You're Feeling Sinister: Live At The Barbican (live, Rough Trade, 2005)

6

The Life Pursuit (Rough Trade, 2006)

5

The BBC Sessions (live, Jeepster, 2008)

6,5

Write About Love (Rough Trade, 2010)

6

The Third Eye Centre (anthology, Rough Trade, 2013)6
Girls In Peacetime Want To Dance (Matador, 2015)6
How To Solve Our Human Problems Parts 1-3(Matador, 2018)5,5
Days of the Bagnold Summer OST (Matador, 2019)7
What To Look For In Summer (Matador, 2020)6,5
A Bit Of Previous(Matador, 2022)6
Late Developers (Matador, 2023)6,5
GOD HELP THE GIRL
God Help The Girl (Rough Trade, 2009)

6,5

Stills (Ep, Rough Trade, 2009)

6

Pietra miliare
Consigliato da OR

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Testi
Foto
Sito italiano
  
 VIDEO
The State I Am In (da "Tigermilk", 1996)
Like Dylan In The Movies (da "If You're Feeling Sinister", 1996)
Get Me Away From Here, I'm Dying (live, da "If You're Feeling Sinister", 1996) 
Sleep The Clock Around (live, da "The Boy With The Arab Strap", 1998)
There's Too Much Love (live, da "Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant", 2000)
I'm A Cuckoo (da "Dear Catastrophe Waitress", 2003)
Legal Man (live, da "Push Barman To Open Old Wounds", 2005)
Funny Little Frog (da "The Life Pursuit", 2006)
The Magic Of A Kind Word (live, da "The BBC Sessions", 2008)
I Want The World To Stop (live, da "Write About Love", 2010)