Danny Brown

Danny Brown

Il rapper che vuole morire da rockstar

Nato nella decadente Detroit, coinvolto nel consumo e nel traffico di droga, è lui il rapper che ha rinnovato l'interesse per l'hardcore-hip-hop, anche in un pubblico più orientato al rock, parlando della sua vita sempre a un passo dall'overdose

di Antonio Silvestri

Detroit, 1981: una ragazza di appena 17 anni e un sedicenne di origini filippine mettono al mondo Daniel Dewan Sewell. Il giovane padre si destreggia fra i dischi, la madre gli legge le fiabe in strofe, per farlo addormentare: musica e rime come omogeneizzati. A dare una mano alla famiglia Sewell ci sono le nonne di Daniel, facoltose e generose. Detroit non è una città facile. Il crimine è una sirena che conquista molti giovani della Motor City, stretti nella crisi che si protrae dagli anni 70: i due shock petroliferi (1973 e 1979) hanno obbligato a forti tagli del personale l'industria automobilistica e il sindaco Young, il primo nero nella storia della città, cerca disperatamente di far sopravvivere la metropoli ai Seventies. Negozi e hotel si svuotano, mentre il crimine germoglia nel degrado, nella disoccupazione e nella disperazione. Nel 1980 Detroit conta 1,2 milioni di abitanti: il 20% in meno rispetto al censimento di un decennio prima, oltre 600mila unità in meno dell'epoca d'oro del secondo dopoguerra.

A 18 anni Daniel inizia a spacciare droga, a 19 arrivano le prime accuse, per produzione, distribuzione e possesso di sostanze illecite. La prima di tante altre accuse, che lo costringono a una vita da fuggitivo. Arriva anche l'inevitabile detenzione, per 8 mesi, così nel 2007 quella che era una passione inizia a diventare l'unico appiglio per uscire da una spirale distruttiva. Daniel ha sempre voluto fare il rapper, ma non ha mai provato davvero a farne una professione fino a quando non si è ritrovato senza niente da perdere e con la fedina penale sporca. 

Ci ha già provato, nel 2003, con due amici di Detroit, Chip$ e Dopehead. Il progetto si chiamava Rese'vor Dogs e sfociò nell'esordio Runispokets-N-Dumpemindariva, un album che suona molto meno interessante della futura carriera di Daniel.
Quando decide di fare sul serio, nel 2007, inizia a produrre mixtape che rilascia in digital download e si fa chiamare Danny Brown. Il primo di questi lavori autoprodotti è Detroit State Of Mind (2007), a cui seguiranno Hot Soup (2008), Detroit State Of Mind 2 (2008), Detroit State Of Mind 3 (2009) e Detroit State Of Mind 4 (2010).

Sono mixtape che non lasciano il segno, nati sulla scia della scena alternative-hip-hop ma ancora imparentati con i classici, dal Wu Tang Clan a Nas, omaggiato in “Get Down” del primo Detroit State Of Mind, che contiene anche la marcia festosa e piena di ottoni di “Marching Band”. La seconda parte dei mixtape dedicati a Detroit totalizza appena 19 minuti, così che solo il terzo episodio, Detroit State Of Mind 3, segna un significativo balzo in avanti.
L’album si fregia di una produzione più curata, di uno stile che prende spesso le distanze dalla tradizione verso suoni propri del mondo alternative-hip-hop, provando spunti sci-fi, rinunciando in alcuni casi alla centralità del beat, sfruttando synth e persino qualche scampolo rock. Il flow di Danny Brown è diventato già capace di adattarsi a contesti musicali molto eterogenei. “Stupid” è già degna dei suoi classici, scorretta e fluida, tagliente e disorientante.

Nel 2008 c’è stato anche Hot Soup, pubblicato fra il secondo e terzo capitolo dedicato a Detroit. Un mixtape che ricorda da vicino, per proporzioni e professionalità, un vero e proprio album. Il suono ossessivo di “What Up Doe”, ricolma di bassi e di singhiozzi di synth, è già uno dei suoi classici. Nell’aprile 2014 Hot Soup verrà riedito come doppio Lp e con un 7” con alcuni brani bonus, in occasione del Record Store Day.

Detroit State Of Mind 4 non stupisce quando si adagia sullo stile morbido dei classici, ma nella veloce “Black”, un virtuosismo linguistico, già si vede la stoffa dei pesi massimi, peraltro su un beat duro e spigoloso come quelli di cui farà largo uso in futuro. Quando rappa su una evocativa musica orientale in “LoL” ricorda da vicino Aesop Rock, del quale raccoglierà in parte l’eredità. C’è già la sua capacità di costruire filastrocche infantili morbose, come in “Bag Back” e di rappare sui sample più assurdi, come quello che sorregge “Contra”.
Affilando le rime, Danny Brown impara a parlare in modo sempre più convincente e personale del suo travagliato rapporto con la droga, come spacciatore e consumatore.

dannybrown1Appena 8 giorni dopo, esce il suo vero esordio, The Hybrid (2010). L'album presenta al mondo il suo tono acuto e disturbante, tanto distante dalla voce virile degli altri rapper e marchio di fabbrica che conclude il lungo processo di maturazione stilistica. L’album è denso di versi taglienti, che alternano una malata declinazione del divertimento (“Need Another Drink”, “Exotic”) con una lugubre e disperata narrazione di una vita incrinata da delinquenza, dipendenze e ossessioni (“Shootin’ Moves”, “Generation Rx”).
Ritornano i profumi sci-fi (“Greatest Rapper Ever”, “New Era”) e si stende, per l’occasione, anche il primo ponte con il mondo rock in “White Stripes”, piena di riff ruvidi di chitarra. Danny Brown fa coesistere qualche richiamo ai classici con soluzioni aperte alla contaminazione e all’estetica alternative.

Nel settembre 2010, in compagnia del rapper Tony Yayo della G-Unit, registra il mixtape Hawaiian Snow. Questa volta la scena è da dividere con un compagno di rime, forse meno originale e sicuramente meno contemporaneo. Ne esce fuori un mixtape che non ha la forza creativa di The Hybrid, ma è prodotto in modo tale da rivaleggiare con proposte di artisti ben più famosi. Le folate di synth di “My Cup” sono forse il vertice dell’opera, che comunque anticipa poco del futuro di Danny Brown.

La G-Unit Records, che fa capo alla superstar del rap 50 Cent, è interessata a Danny Brown ma non riesce a trovare un punto d’incontro sul dress-code: Daniel veste jeans attillati che stridono con i vestiti larghi del resto della squadra. Anche per inezie simili, il music business si lascia sfuggire grandi artisti. 

In ogni caso, Danny Brown continua a pubblicare mixtape senza sosta. Nel 2010, oltre ai già citati, si aggiungono anche Browntown, una collaborazione col duo hip-hop Johnson&Jonson intitolata It's Art The Hybrid: Cutting Room Floor.
Il primo è una raccolta breve, musicalmente molto conservatrice, dove il rapper rinuncia alle sue estrosità, ricordando mostri sacri della East Coast come Notorious Big e Nas.  Giusto in “Demons And Angels” si fa spazio il suo timbro acuto, il suo stile allucinato.
It's Art è più coraggioso, seppure inconstante e spesso amatoriale. “Can't Find My Mind”, voce filtrata e giostre cacofoniche sullo sfondo, è una filastrocca accattivante, anche se prodotta approssimativamente. “Lemme Know”, un meccanismo torbido di bassi sporchi e suoni di synth vintage, mostra le potenzialità ma suona come qualcosa di quasi improvvisato. Il momento più interessante è “What Yo Name Is”, arpeggiatore ossessivo e voce sussurrata accoppiati a una serie di fruscii e glitch.

The Hybrid: Cutting Room Floor ripropone brani già editi in modo più o meno ufficiale, quelli scartati da The Hybrid. Fra i pezzi esclusi, la coinvolgente “Dance With Me” e la sensuale “Wake Up”, vicina alla sensibilità di Wyclef Jean. Si tratta di una delle tante occasioni in cui Danny Brown rende disponibile, in modo gratuito, la propria musica ai fan e, a conti fatti, di una raccolta per aficionados.

L'epoca dei mixtape, però, è ormai giunta al tramonto, visto  che Danny Brown è pronto per il grande salto e lavora alla scrittura del suo capolavoro. Ad agosto 2011 arriva infatti XXX, distribuito in free download e subito apprezzato da critica e pubblico. 
L’opera può sembrare, a un primo ascolto, abbastanza canonica, ma rivela più livelli di lettura, gioca di fino con la produzione, gode dell’ampio respiro dell’intera tracklist per veicolare i propri messaggi. Persino il titolo trae in inganno: “XXX” è il marchio dei contenuti pornografici, ma in questo caso è da leggersi anche come 30 in numeri romani. Il motivo è semplice: il rapper di Detroit compie trent’anni proprio nel 2011. Da questa lettura ambigua si percepisce subito uno degli aspetti più interessanti dell’opera, quella capacità di calare i temi dell’hardcore-hip-hop in una narrazione strettamente personale. Sì, perché XXX è un album ad altissimo contenuto di pornografia, oltre che di riferimenti alla droga e alla violenza, ma è soprattutto un’opera su come l’ossessione per il sesso e le sostanze proibite abbia reso cupa, desolante e ansiogena la vita di Danny Brown.
Sempre sull’età, poi, vale la pena soffermarsi per sottolineare come l’opera sia sostanzialmente tardiva per un rapper: Nas pubblica “Illmatic” a 21 anni, “Ready To Die” è lanciato sul mercato quando Notorious Big ha 22 anni e la stessa età aveva anche Snoop Dogg ai tempi di “Doggystyle”. Danny Brown, invece, arriva a The Hybrid ventinovenne, superando in termini anagrafici anche il tardivo esordio di Jay-Z, “Reasonable Doubt”, pubblicato quando il boss di Rock-a-Fella aveva quasi 27 anni. Inevitabilmente, avere trent’anni permette una visione della vita e del mondo differente, nel caso di Danny Brown un taglio sardonico a metà fra il divertimento, l’esasperazione e la disillusione.

dannybrown2I 19 brani si contraddistinguono per la brevità di molti episodi, ben al di sotto dei tre minuti, e per una eterogeneità stilistica garantita da un gruppo di produttori al servizio del rapper di Detroit. Il collante è Danny Brown, che nei testi si riconosce per le sue ossessioni e il suo piglio beffardo, nonché per il timbro acuto del suo flow. Pur lasco, c’è un filo conduttore che permette di considerare XXX un album con un tema portante, quello autobiografico: è una fotografia dell’autore al compimento dei suoi trent’anni. La doppia lettura del titolo è palesata dalla prima e dall’ultima traccia, rispettivamente “XXX” e “30”. In mezzo, brani sulla droga come “Blunt After Blunt”, l’edonismo disperato (“Party All The Time”), la città natale (“Detroit 187”, “Ewnesw”). Un microcosmo fosco, dove al trionfalismo dell’hip-hop si contrappone un’angosciante tensione, un vuoto entro il quale l’autore si muove sovraeccitato ora dagli stupefacenti, ora dal sesso più spinto, ora dall’ombra della morte.

Il quartetto iniziale è sensazionale. “XXX” si apre in un clima sci-fi, dai chiari richiami all’estetica futuristica degli anni 80, ma nonostante le linee di synth epiche, è un manifesto ansiogeno. In uno dei momenti più intensi, Danny Brown dice:

Say I'm getting old and times running out
Repeating instrumentals tryna figure patterns out
I never leave the house ain't slept in three days
Popping pills, writing, drinking and smoking haze

Quattro versi che fotografano l’ansia, la tensione e lo stile di vita malsano dell’autore, ben lontano dal mondo di agi, successi e comodità raccontato da altri rapper. La necessità di diventare finalmente un nome importante nella scena è, più che un sogno, l’unica via d’uscita da una spirale autodistruttiva. Sempre in “XXX”, infatti, troviamo il verso  “Cause if this shit don't work, nigga I failed at life”, un’amara considerazione su se stesso e sulla necessità di scrivere l’opera della svolta, pena cedere agli istinti suicidi e all’abuso di droghe. Sono meno di due minuti, ma è una delle opener più travolgenti che si potessero scrivere, un’introduzione nel mondo malsano di Danny Brown.
“Die Like A Rockstar” è l’inno autodistruttivo dell’opera, il più opprimente e claustrofobico. Mentre delineano l’ambiente dei synth deformanti e si fanno spazio bave psichedeliche, i versi sono un unico, lungo manifesto funebre, intriso di immagini turpi e di riferimenti a celebrità decedute. Una sequenza di eccessi verbali, di cinismo tagliente, di versi che diventano sempre più violenti, aggressivi e tragici. Nel finale Danny Brown sembra più esasperato che mai e, gettata la maschera del simpatico drogato di quartiere, veste quella dell’uomo intrappolato dalla vita, vittima dei propri eccessi e in costante dialogo con la morte. L’ultima strofa inanella una serie impressionante di versi caustici su celebrità trapassate per l’uso di droga, spazzolando l’immaginario pop statunitense: l’attore Chris Farley, il cantante dei Sublime Brad Nowell, il leader dei Nirvana Kurt Cobain, il batterista degli Who Keith Moon, il pittore Jean-Michel Basquiat, il guitar-hero Jimi Hendrix, la Playmate Anna Nicole Smith e il giovane attore River Phoenix (morto ad appena 23 anni). Quando si arriva alla fine, c’è spazio per l’ultima terribile sequenza di immagini: un’orgia all’inferno con pornostar morte di overdose (Teri Diver e Linda Wong) e l’identificazione con il giovane soprano Frankie Lymon (morto a 25 anni), il celebre attore australiano Heath Ledger, un riferimento in slang a John Belushi e infine il desiderio di drogarsi insieme a Brittany Murphy, l’attrice morta di overdose che molti appassionati di musica ricorderanno per "8 Mile". Inno all’autodistruzione di rara intensità, “Die Like A Rockstar” colpisce con il suo efferato cinismo e il suo piglio sardonico, mimetizzando sotto la violenza un attento disegno compositivo.
Impostato il tono dell’album, “Pac Blood” è la stangata al resto della scena, altri synth sci-fi, velocità raddoppiata e stile più classico, con altri versi da antologia che attaccano politici come Sarah Palin, bestemmiano la Madonna, ma tirano in ballo anche autori letterari come Rudyard Kipling, Maya Angelou, Charles Bukowski e Langston Hughes. Danny Brown frulla un immaginario popolare molto vasto, costruendo congegni metrici meticolosamente studiati.

dannybrown3Quarto brano e quarto stile, “Radio Song” vira verso un beat minimale, per una più leggera quanto improbabile canzone radiofonica. Saliti ormai sulla giostra, è tutto un susseguirsi di avvitamenti da capogiro. L’infetta musica da ballo di “Lie4”, con archi da thriller, lo vede affrettare i versi, in un’altra dimostrazione di mutevolezza, di flessibilità stilistica. L’arrangiamento onirico di “I Will” contrasta con quello apocalittico di “Bruiser Brigade” e anticipa quello ossessivo ed electro di “Detroit 187” e quello martellante di “Blunt After Blunt”. “Outer Space” è un virtuosismo, la dimostrazione di poter rappare su qualsiasi base, anche la più allucinata e asimmetrica. Una sfida raccolta anche dal bad-trip di “Adderall Admiral”, il cui strumentale potrebbe essere un severo brano d’avanguardia cacofonica.
Tutta questa varietà musicale e stilistica è funzionale a raccontare i vari aspetti della vita dell’autore, spesso con episodi curiosi come in “Scrap Or Die”, danza piena di tensione, mossa da suoni di attrezzi da meccanico, che racconta il furto dei materiali di valore dai quartieri abbandonati di Detroit.

La chiusura, “30”, è un incubo a metà fra il free-jazz e l’hip-hop, più vicina a Captain Beefheart o agli Us Maple che ai classici del genere. La chiusura non potrebbe essere più fosca, con lo straziante discorso a cuore aperto sull’ansia di non farcela e il desiderio, ogni volta che si droga, di andare in overdose e morire:

When I turned 28 they like what you gonna do now?
And now a nigga 30 so y'all don't think that hurt me
That the last ten years I been so fucking stressed
Tears in my eyes let me get this off my chest
The thought of no success got a nigga chasing death
Doing all these drugs in hopes of OD’ing next, Triple X

XXX racconta non solo la storia di Danny Brown, ma anche quella dell’incubo americano che si annida nel degrado delle città-fantasma, fallite a livello economico e sociale. In questo senso, Detroit non è così diversa dalla Cleveland radioattiva dei Pere Ubu.

Dopo un’opera di tale portata, iniziano a fioccare anche le collaborazioni. Un Ep, del 2011, è firmato da Brown e dal produttore Black Milk e si intitola, non a caso, Black And Brown. Pur breve e meno ambiziosa dell’opera cui segue, questa raccolta contiene la graffiante “Jordan VIII”, su un tappeto di bollicine sintetiche, e la divertente “Dada”, allucinata dai sample vocali.  

Nel 2012 una nuova collaborazione, con un collettivo di Detroit, si cristallizza nell'Ep Bruiser Brigade. Oltre a Danny Brown, partecipano gli ex-compagni dei Rese'vor Dogs, Chip$ e Dopehead, oltre a TRPL BLK, ZelooperZ e il producer SKYWLKR. Si tratta di due pezzi molto scuri, il secondo dei quali, “Jooky”, usa un curioso intreccio di archi assordanti per instillare tensione. I due brani sono poi proposti in altrettanti remix che ne stravolgono massicciamente il sound.

Appena 6 giorni dopo, Brown pubblica The Od Ep (2012).  La curiosa forma di pillola del vinile è la confezione per tre brani e i tre rispettivi strumentali. “The Baseline” è immersa in un’atmosfera desolante, in cui il beat rimbomba, mentre “Shouldn't Of” è assalita da orchestrazioni lugubri ed echi esotici. Si tratta di brani che seguono la scia di XXX, non a caso l’Ep è stato inserito in coda alla tracklist nell’edizione deluxe dell’album.

dannybrown4Finalmente nel 2013 arriva il seguito tanto atteso del suo capolavoro, con Old, forte di pezzi più veloci, creativi e densi di idee, che rendono l’ascolto entusiasmante e imprevedibile. In “The Return” affiora un sitar nel mezzo di un ballabile sensuale, mentre in “25 Bucks” si punta sul suono arioso del duo canadese Purity Ring per tratteggiare un asettico e desolante quadro futuristico, dalle sfumature dubstep. Poi si cambia ancora, con il balletto demenziale di “Wonderbread”, la synth-guitar psichedelica di “Gremlins”, la tensione trap/brostep di “Dope Fiend Rental”, il folk psichedelico di “Lonely” e il battito techno anfetaminico di “Red 2 Go”, uno dei brani più intensi e tesi dell’intera carriera.  “Kush Coma”, con A$ap Rocky e ZelooperZ, azzarda una trap con mitragliate di cassa, voci ectoplasmatiche e deformate, decisamente in contrasto con la chiusura di “Float On”, ballata hip-hop piuttosto canonica.
Old sembra poter mettere d'accordo tanto chi ha apprezzato l'intima confessione di XXX quanto chi preferisce il lato più party-oriented di Danny Brown, qui impegnato spesso in brani ricolmi di bassi, ritmi alla moda e produzioni adatte per esaltare gli impianti delle discoteche. Old non ha dalla sua il disegno ricercato dell’opera precedente e si configura più come un’esaltante esplorazione stilistica. Un album che punta molto di più sulle produzioni ricercate che sui testi, che questa volta sembrano meno ispirati. Lo conferma anche Danny Brown stesso, che in un’intervista a Xxl, cita i Radiohead per evidenziare quanto sia stato importante focalizzarsi su questo aspetto:

If 'XXX' was my 'OK Computer', then I'd have to make my 'Kid A' next. So I studied 'Kid A', and I took away that it's not so much about the lyrics as it is about the way the beats feel, so what drives this album is the production.

A differenza di XXX, Old viene diffuso nei comuni canali di vendita e porta Danny Brown a totalizzare 15.000 copie vendute nella prima settimana, arrivando al numero 17 della classifica statunitense di Billboard. Si tratta delle definitiva consacrazione, la dimostrazione che l’insicuro rapper di XXX ce l’ha fatta a trovare la via del successo.
Seguono tour promozionali e la partecipazione a concerti di celebrità come Macklemore & Ryan Lewis e persino per Eminem, al Wembley Stadium davanti a 100.000 persone. Ad inizio 2015 il suo nome si può considerare affermato nel mondo hip-hop, anche se inizia per Danny Brown un periodo di minore esposizione, che precede la pubblicazione di un nuovo album.

Nonostante il suo passato, è difficile non rimanere spiazzati quando nel 2016 esce Atrocity Exhibition. Pur ricordando la vena sperimentale affiorata in passato, nulla è paragonabile a quello che questi 15 brani propongono: una sequenza ininterrotta di esperimenti sbilenchi, di beat atipici, di arrangiamenti surreali.
Si è tanto parlato dei richiami post-punk, che sono presenti e contribuiscono a buona parte della playlist. Sembra però del tutto fuorviante citare solo questi, poiché l'opera si alimenta di un arsenale di stili che comprende il post-punk, ma ingloba anche gli esperimenti del noise-rock, la destrutturazione del ritmo propria del breakbeat e della jungle, le linee di basso sensuali ed elaborate del funk. Certamente potete ritrovare fra le pieghe dei brani i Joy Division ("Golddust") o i Talking Heads ("Dance In The Water"), ma ridurre il tutto a una fusione fra post-punk e hardcore hip-hop pare riduttivo.

dannybrown5"The Downward Spiral" è un dub-blues astratto e cacofonico, degno di una versione rarefatta e psichedelica degli Us Maple. "Rolling Stone" fa dialogare un basso profondo con linee vocali tetre e un synth da brividi: è un brano perduto in una nebbia angosciante, animata solo da allucinazioni inquietanti. "Really Doe", l'unico pezzo oltre i 4 minuti, sfrutta il tempo per far partecipare Kendrick Lamar, Ab-Soul e Earl Sweatshirt a una jam che si colloca a metà fra il thriller e la filastrocca macabra.
"Lost", con fiati messicani pigri e un campionamento vocale su base funk degno dei Soul Coughing, è un esempio lampante di come bastino 127 secondi a Danny Brown per scrivere un brano creativo, capace di distinguersi dal marasma di hip-hop che pure viene prodotto quotidianamente.
"Golddust" unisce i fiati sullo sfondo con un sample chitarristico assordante di "People From Out The Space" degli Embryo, in una delle fusioni più stravaganti dell'album. "Pneumonia" pesca a piene mani dall'industrial, crogiolandosi in un arrangiamento funebre. "Today" ricorda persino le voci più spettrali dei Residents, protagoniste sopra un pulsare angosciante. "Hell For It" chiude con una fantasia pianistica su detriti cacofonici.
Saltuariamente si riscopre l'anima più festosa, come in "Ain't Funny", comunque oppressa da un arrangiamento gonfio di bassi, e in "White Lies", filastrocca resa disturbante dalle voci modificate. "Dance In The Water" sfodera un trascinante ritmo tribale, con Danny Brown a urlare come una rockstar. "When It Rain" ha la cassa possente e la melodia ripetitiva, ma velocemente mostra la propria anima di inno da dancehall malato, alimentato da un senso del divertimento malsano e nevrotico. In questo contesto appare banale l'inno alla droga "Get Hi", sorta di riduzione all'osso dei Cypress Hill.
Sopra a tutto questo, sempre protagonista il timbro acuto di Danny Brown, capace di mantenere il tempo destreggiandosi su ritmi sbilenchi, deformi, latitanti o sovraffollati. Si parla, come già accadde in passato, delle sue ossessioni, paranoie, allucinazioni e ovviamente di droghe e sesso. Non si contano i rimandi, le citazioni di cultura popolare e di altri musicisti, a partire dal titolo dell'album, uguale a un brano dei Joy Division, ma anche identico al romanzo sperimentale di James Graham Ballard del 1970.

Danny Brown non è un profeta, né un fine interprete della società, un narratore dal respiro sociale o politico, ma quasi sempre i suoi testi svelano rimandi nascosti e doppie letture, come già accaduto in XXX.
Sfoggio di creatività, mai prolisso, Atrocity Exhibition è la versione incompromissoria di "The Life Of Pablo", imbevuta di dolore, ansia, tossicodipendenza e una vena artistica violenta, spiazzante, disorientante. Danny Brown ce l'ha fatta di nuovo, quando avrebbe potuto adagiarsi sul sound sofisticato di Old e costruirsi una nicchia sicura nell’hip-hop.

Quando ritorna nel 2019 con Uknowhatimasyin¿, siano davanti a un'inversione di rotta per il rapper di Detroit, visto che i riferimenti per i testi sono gli stand-up comedian e la musica richiama la tradizione del rap umoristico, da commento sociale più sarcastico e sardonico che banalmente comico o parodistico. Questo almeno secondo i propositi dell'autore. Perché dietro al microfono c'è sempre una persona psicotica, cresciuta in una città in deprimente decadenza come Detroit, con gravi problemi di tossicodipendenza mai veramente risolti. Alla fine, quindi, l'idea dello spettacolo comico viene traviata dalla mente tormentata di un musicista sull'orlo dell'abisso, nonostante l'apporto alla produzione dell'immarcescibile Q-Tip (anche executive) e di altri fuoriclasse come Flying Lotus faccia quello che la miglior produzione può fare per tenere a bada gli incubi del rapper. Inevitabile che il risultato ricordi più le spiazzanti, disturbanti battute del Joker di Todd Phillips interpretato da Joacquin Phoenix che l'esilarante Slick Rick o il celebre attore e comico Dave Chappelle.
È comunque il suo album più facile, aiutato dal modesto minutaggio, tenuto intorno alla mezz'ora, ma anche dalle eccellenti collaborazioni, dai Run The Jewels a JPEGMAFIA, passando per Thundercat. Chi voleva di più, magari un nuovo spiazzante e sperimentale album a tema, dovrà tuttavia aspettare il sesto album.

In attesa di Quaranta, l'ideale seguito di XXX sin dal titolo, arriva l'album collaborativo Scaring The Hoes, con il già citato JPEGMAFIA. È musica poco attraente, per niente sensuale, spesso cacofonica e disorientante, che “spaventa le ragazze”, per dirla in modo più delicato del titolo. I 14 brani in scaletta non concedono nulla all’immediatezza, unendo le produzioni assordanti e dense di JPEGMAFIA ai testi sarcastici, caustici e imprevedibili di entrambi i rapper. Alla ricchezza di suoni, idee e gag sparse nell'album si aggiunge l’alternarsi delle due voci, quella pigolante e irritante di Danny Brown, con le sue rime acide, e quella di JPEGMAFIA, dal timbro più grave e uno stile apparentemente più tradizionale, nonostante la stravaganza di tanti versi.
Nonostante la doppia firma, l’album è soprattutto una dimostrazione dell’estro creativo di JPEGMAFIA, principalmente come produttore di riferimento di un hip-hop rumoroso, glitchy, sperimentale e imprevedibile. Il contributo di Danny Brown è quello di un fuoriclasse della rima, a suo agio anche al centro degli assalti sonori imbastiti dal contitolare, ma in definitiva relegato, anche a causa del mix, al ruolo di spalla.

A fine 2023 arriva il momento di misurarsi con più maturità sul passare del tempo con il già citato Quaranta, intitolato così per la sopraggiunta quarta decade ma anche per la quarantena pandemica. Il clown al vetriolo di un tempo, riascoltato di recente anche in coppia con JPEGMAFIA, si spoglia spesso del suo urticante delivery acuto e febbricitante per aprirsi agli ascoltatori con commovente intensità già nell'opener che dà il titolo: una confessione notturna, decorata da una chitarra elettrica spettrale. A questo raccontarsi più intimo e pacato si affianca comunque il solito modo storto di intendere il rap come un esercizio disorientante e aggressivo, come nell'ossessiva “Tantor”, con The Alchemist che ci martella con un sample prog-rock, o nella bislacca “Jenn’s Terrific Vacation”, parabola amara della gentrificazione tra batteria jazz, sussurri e voci deformate. Può arretrare verso un sofisticato hip-hop con echi ottantiani come in “Ain’t My Concern” o immergersi in allucinazioni androidi, come in “Dark Sword Angel” con la sua affollata produzione di Quelle Chris e Chris Key, persino ammiccare ad un hip-hop ballabile e leggero quando arriva Bruiser Wolf per "Y.B.P.", seguendo traiettorie imprevedibili, ma il Danny Brown quarantenne ha bisogno di fermarsi a riflettere in “Down Wit It” e “Celibate”, tra mal d'amore e street life. Più che l'esplosione violenta di XXX, l'ultima parte della scaletta sembra scivolare verso un tramonto che porta ombre e malinconia, riflessioni sulle scelte fatte e su quanto si è perso negli anni.

Tutta la tensione si scioglie, tra nostalgia e un barlume di dolce felicità, nella conclusiva "Bass Jam", un ricordo d'infanzia raccontato in un'atmosfera musicale ipnagogica, tra spazzole e cori angelici. È il finale toccante di Quaranta e la conclusione di un percorso musicale e forse anche umano iniziato numerosi anni prima, la chiusura di una lunga crisi che ha portato Danny Brown ad un passo dal perdere tutto, compreso se stesso, e che ora rimane viva nelle cicatrici emotive. La foto di copertina è, così, uno specchio delle contraddizioni e della complessità di quest'album e di uno dei più grandi rapper viventi.

Danny Brown

Discografia

DANNY BROWN
Detroit State Of Mind(mixtape, autoprodotto, 2007)
Hot Soup (mixtape, autoprodotto, 2008)

Detroit State Of Mind 2(mixtape, autoprodotto, 2008)

Detroit State Of Mind 3(mixtape, autoprodotto, 2009)

Detroit State Of Mind 4(mixtape, autoprodotto, 2010)
The Hybrid(Rappers I Know, 2010)

Browntown(mixtape, autoprodotto, 2010)
The Hybrid: Cutting Room Floor(mixtape, autoprodotto, 2010)
XXX(Fool's Gold Records, 2011)
The Od Ep(Ep,Fool's Gold Records, 2012)

Old(Fool's Gold Records, 2013)

Atrocity Exhibition(Warp, 2016)

Uknowhatimasyin¿(Warp, 2019)

Scaring The Hoes(Peggy/Awal, 2023; con JPEGMAFIA)

Quaranta(Warp, 2023)

RESE'VOR DOGS
Runispokets-N-Dumpemindariva (Ren-A-Sance Entertainment, 2003)

DANNY BROWN E TONY YAYO
Hawaiian Snow(mixtape, autoprodotto, 2010)

DANNY BROWN E JOHNSON&JONSON
It's Art(mixtape, autoprodotto, 2010)

DANNY BROWN E BLACK MILK
Black And Brown(Ep, Fat Beats Records, 2010)

BRUISER BRIGADE
Bruiser Brigade(Ep, Scion A/V e Fool's Gold, 2012)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Danny Brown su OndaRock

Danny Brown sul web

Sito ufficiale
Facebook
Testi