Inspiral Carpets

Inspiral Carpets

Madchester, Farfisa e poesia

Una delle band fondamentali della stagione Madchester, insieme a Charlatans, Happy Mondays e Stone Roses. I quattro album storici degli Inspiral Carpets segnarono il pop-rock britannico a suon di riff d'organo elettrico, groove irresistibili e dinamici intrecci vocali

di Federico Romagnoli

Quando si parla di Madchester, la famigerata scena un po' dance e un po' rock psichedelico che interessò l'Inghilterra a cavallo fra anni Ottanta e Novanta, i primi gruppi a venire nominati sono Stone Roses e Happy Mondays, seguiti a ruota dai Charlatans. Gli Inspiral Carpets, per quanto senza dubbio i più celebrati dopo i tre di cui sopra, appartengono già a una categoria inferiore se si considera l'apprezzamento critico e il riscontro fra gli attuali fruitori di musica alternativa.
Una piccola distorsione storica, visto che nessuna fra le band di cui sopra ha pubblicato quattro dischi di fila capaci di segnare quella scena. Gli Stone Roses si bruciarono poco dopo l'album di debutto, gli Happy Mondays si rivelarono totalmente incapaci di gestire il successo di "Pills 'n' Thrills And Bellyaches", mentre i Charlatans rimasero aggrappati al filone solo per un paio di dischi, benché epocali.
Per quanto la storiografia rock oggi faccia di tutto per ignorarli, sarebbe ormai giunto il momento di riservare un posto di prima classe agli Inspiral Carpets. La cui carriera inizia a Oldham a metà anni Ottanta e prosegue per circa un lustro in maniera alquanto travagliata, con una lunga serie di pubblicazioni minori, ora per etichette alternative, ora autodistribuite. La formazione iniziale conta Stephen Holt (voce), Craig Gill (batteria), Graham Lambert (chitarre) e Clint Boon (tastiere). Quest'ultimo sarà il vero artefice del loro suono, un alchimista capace di giostrarsi equamente fra i suoni fantascientifici delle tastiere elettroniche e i flashback nostalgici dell'organo Farfisa, uno dei più tipici degli anni Sessanta psichedelici. 
 
Nel dicembre del 1987 la band, rimpolpata dal bassista David Swift, registra undici canzoni. Si tratta di una prova generale, che verrà pubblicata solo un anno e mezzo più tardi col titolo di Dung 4, esclusivamente su cassetta, per sfruttare il momento di crescente popolarità pur non disponendo ancora di un album vero e proprio. Il suono è una via di mezzo fra il pop psichedelico dei primi Echo and the Bunnymen, anche se con l'organo elettrico in primo piano, e l'indie pop della famosa compilation C86, influenzato dalle chitarre del folk rock anni Sessanta. Anche la qualità audio viaggia sugli standard C86, alquanto bassini, trattandosi spesso di materiale registrato in presa diretta. Quasi tutti i brani verranno incisi di nuovo, con un budget decisamente superiore, per l'inserimento nelle prime pubblicazioni ufficiali della band, tuttavia il loro potenziale è già pienamente intuibile e le melodie travolgenti. 
 
Nel luglio del 1988 esce il primo Ep, Plane Crash, contenente cinque brani. La formula decolla, con titoli come "Keep The Circle Around" e "Garage Full Of Flowers" che sfoggiano un garage rock mai sentito prima. È potente e serrato, ma non esprime né la furia, né la propensione alla caciara tipica delle band revivalistiche degli anni Ottanta. Grazie alle armonie vocali ariose e all'eco assume viceversa un tono sognante, quasi epico, rotto soltanto dalla divertente cover di "96 Tears", capolavoro proto-punk pubblicato oltre vent'anni prima dai Question Mark and the Mysterians. 
 
Il secondo Ep, Trainsurfing, esce nel marzo 1989. La formazione è stravolta: Holt e Swift se ne sono andati per formare i Rainkings. Al loro posto Tom Hingley, dal timbro vocale sorprendentemente simile a quello di Julian Cope, e Martyn Walsh, i cui massicci giri di basso sarebbero diventati uno dei marchi di fabbrica del quintetto. Nel frattempo Boon ha assunto sempre maggior peso come seconda voce: i brani sono tutti fortemente segnati dai suoi adorabili controcanti nasali. Se "Butterfly" e "Causeaway" proseguono la formula del garage pop da sfondamento, "You Can't Take The Truth" mostra il lato più introverso degli Inspirals, pur senza rinunciare alle frenetiche sincopi della batteria e ai mulinelli di chitarra. Il testo è un triste quadretto in cui il protagonista si dimostra incapace di accettare la fine di una relazione: "Those words you wrote to me, they didn't mean a thing/ They were just stupid jokes, I think you're one of them".
 
Fra il maggio e l'agosto dello stesso anno vengono pubblicati due singoli, "Joe" e "Find Out Why", canzoni capitali per la chiusura del cerchio: è qui che le tastiere di Boon, organo in primis, prendono una volta per tutte il sopravvento, fra riff ripetuti ossessivamente e frasi melodiche memorabili. La chitarra di Lambert si sposta in sottofondo a tracciare e riempire le trame dell'arrangiamento, ritagliandosi un ruolo sì fondamentale, ma decisamente meno vistoso rispetto a quello dei soliti chitarristi rock. Nessuno dei due brani contiene suoni collegabili al mondo della dance, ma sono entrambi sfacciatamente ballabili: la house non li ha ancora sfiorati, tuttavia la loro mentalità sembra già sposarne il credo. Verranno in seguito raccolti nell'Ep Cool As Fuck.
 
inspirals_clint_boonNell'ottobre del 1989 tocca a un altro singolo, "Move", che sfiora la top 40 britannica e convince la Mute a metterli sotto contratto. Con una label potente a sorreggerli la visibilità aumenta a dismisura. Il successivo marzo è la volta di "This Is How It Feels", che aggancia subito la top 20, grazie anche all'evocativo video, ambientato su una collina brulla e ventosa spersa in qualche parte dell'Inghilterra.
Brano di una delicatezza irripetibile, rimane a tutt'oggi l'inno degli Inspirals e uno dei motivi con cui chiunque identifica la stagione Madchester. Le tastiere dal tono pastorale e il ritmo circolare dei tamburi sostengono Hingley, che canta frasi dall'alto contenuto emotivo, per quanto interpretabili su più livelli: "Husband don't know what he's done, kids don't know what's wrong with mum/ She can't say, they can't see, putting it down to another bad day". Potrebbe trattarsi di una donna depressa, il cui malessere non è compreso dai propri famigliari, così come di un marito che maltratta la consorte. 
La verticale crescita di popolarità è confermata dalla memorabile copertina che Melody Maker gli dedica il 14 aprile del '90: maglie larghissime e colorate, caschetti da British invasion, luce sparata in faccia. La settimana successiva esce il tanto agognato album di debutto, Life, che si fionda al numero 2 in classifica.
Oltre ai due singoli che l'hanno preceduto, contiene una manciata di brani destinati a diventare veri e propri santini per i loro fan: "Directing Traffik" (con la strofa scioglilingua, il possente riff di basso e i raffinati arpeggi di Lambert, sepolti dal mixaggio eppure capaci di rendersi protagonisti), "Song For A Family" (forte presenza del pianoforte, batteria a tutto volume e saliscendi melodici degni dei Teardrop Explodes), "Monkey On My Back" (tiratissimo bozzetto di manco due minuti), "Sackville" (marcia schiacciasassi con il basso modificato da improvvise iniezioni elettroniche).
È però soprattutto l'album di quell'acrobazia che risponde al titolo di "She Comes In The Fall". Cambia andamento come se fosse prog, ma il suono è radicato nel garage rock; è ballabile come da tradizione Madchester, ma è occupata in più tratti da tamburi marziali e solenni; è fresca e perfettamente calata nel proprio tempo, ma ha un sentore antico a causa di alcune armonie, sia vocali sia strumentali, che rimandano alla musica celtica. In meno di cinque minuti riesce a sposare quelle che in apparenza sembrano contraddizioni insanabili e a commutarle in una delle melodie più emblematiche dell'epoca.
 
Il 25 agosto la band tocca l'apice, quando suona come headliner al festival di Reading davanti a una folla sterminata. Nel frattempo sul mercato americano esce un nuovo singolo, "Commercial Rain", incisione ex novo del brano che in origine apparve sul lato B di "Joe". Non si dimostra una scelta particolarmente felice, considerando che la lunga introduzione dissonante avrebbe ucciso il potenziale commerciale di qualsiasi canzone, eppure la densità dei suoni ne fa uno dei momenti più creativi della band. Nonché la loro prima aperta commistione con la musica dance.
In novembre vede la luce l'Ep Island Head, che contiene quattro nuovi pezzi. Spiccano "Biggest Mountain", in cui la loro vena celtica viene prepotente alla ribalta, e "Weakness", nuovo gioiello di pop psichedelico con tastiere e cori stratificati in maniera maniacale, piccolo antipasto di ciò che sarebbe giunto di lì a breve.
 
È l'aprile del 1991 quando giunge nei negozi il secondo album, The Beast Inside. Nel complesso è un disco molto meno abbordabile del primo, graziato da una grande ricerca sui suoni e da diversi brani di natura sperimentale. Ciononostante è difficile spiegarne la performance commerciale un po' anemica, visto che almeno il singolo di lancio, "Caravan", con tanto di pianoforte house, è di un'orecchiabilità assoluta. L'ingresso al numero 5 sarebbe anche apprezzabile, se non fosse che tre settimane dopo il disco è già scomparso dalla classifica.
L'improvviso calo di popolarità a distanza di neanche un anno non verrà mai del tutto digerito dalla band, e ancora oggi la sensazione è che Boon e soci lo considerino l'album con cui si diedero la zappa sui piedi. Si potrebbe indicarlo come una sorta di "Dog Man Star" (Suede) che non è ancora stato rivalutato. Perché a dispetto di quanto ne possano pensare gli stessi autori, si tratta del loro disco più ricco di idee e suoni, e in sostanza di uno dei capolavori dimenticati della musica britannica.
Dopo il sopra citato singolo e la piacevole "Please Be Cruel", sulla falsariga del precedente album, arriva il primo shock. Introdotta da spettrali suoni di tastiera, "Born Yesterday" cala gli Inspirals nelle atmosfere del rock gotico. Il testo, altrettanto rarefatto, mescola schegge e fotogrammi da cui traspaiono le incomprensioni della vita di coppia.
La title track è il loro apice incontrastato sul fronte celtico: una marcia poderosa che si dispiega fra suoni di campane, assoli d'organo, arpeggi folk, linee di basso dal sapore progressivo, armonie vocali vecchie quanto i dolmen e una diffusa atmosfera da rito pagano.
La mistura pop/ambient di "Niagara" abbatte gli steccati, rinunciando alla batteria e distendendo tastiere angeliche per sette minuti. La voce si perde in un mare di eco mentre affronta un testo sulla solitudine tutt'altro che incoraggiante ("Winter's warmth brings sadness, comfort Kathy through madness/ See the beauty of the falls, Tony never saw it all"). 
"Mermaid" torna al pianoforte house e alle giravolte della sezione ritmica, mentre "Further Away" prende il suono garage rock che ha reso celebre il quintetto e lo sfalda in una jam di quasi quattordici minuti, attraversandone ogni sfumatura possibile (dall'intermezzo minimalista al finale furibondo).
Chiude in bellezza un numero ambient strumentale, "Dreams Are All We Have".
 
Dopo un periodo di pausa, utile per riordinare le idee, la band inizia a lavorare al terzo album, Revenge Of The Goldfish, che esce nell'ottobre del '92. Pur fermandosi al numero 17, trova in "Dragging Me Down" un singolo di buon successo. Diventerà uno dei brani più richiesti durante i concerti, convincendo la band della bontà dell'operazione. L'arrangiamento è al perfetto crocevia fra garage rock e musica house, il giro di basso debordante, il ritornello trionfale: cosa chiedere di più a un pezzo pop alternativo?
Dismesse le ambizioni e la cupezza del disco precedente, la scaletta mette in fila una serie di ritornelli a presa rapida, senza un attimo di respiro: "Generations", "Saviour" e "Little Disappeared" sono dei power pop d'assalto, "Two World Collides" rallenta la velocità ma ne guadagna in pathos, "Here Comes The Flood" è più o meno il loro brano Western. Tutto il disco è pervaso da una coralità che ricorda quella dei Rem e suona quasi come uno scambio di favori, visto che proprio l'anno prima Michael Stipe e soci avevano pubblicato "Radio Song", in pieno stile Madchester.
 
Nell'anno sabbatico 1993 la band pubblica soltanto un singolo, "How It Should Be", che passa praticamente inosservato. Un peccato, perché è uno dei loro pezzi più spediti e grintosi in assoluto (elementi in cui gli Inspirals non hanno peraltro mai lesinato), avrebbe meritato ben altra fortuna. 

inspiralsA ogni modo, nel marzo del '94 sembra arrivare un piccolo rilancio: il nuovo album, Devil Hopping, li riporta in top 10. Nel complesso è un disco più variopinto del precedente, pur senza rinunciare alla forma canzone più immediata. 
L'irresistibile "Saturn 5" è una sorta di "I'm A Believer" per l'epoca britpop, mentre la tambureggiante "I Don't Want To Go Blind", tinteggiata con tastiere da compilation chill out, sembrerebbe parlare proprio di ciò che suggerisce il titolo. Se "Uniform" ha una delle loro strofe più pacate, di tutto tranne che di pacatezza si può parlare per "I Want You", forse il loro brano più duro di sempre, a un passo dal noise rock. Pubblicato come singolo, avrà come ospite la voce distorta di Mark E. Smith dei Fall, tuttavia sono in molti a ritenere che la versione dell'album, con il solo Hingley, abbia più respiro e sia tutto sommato migliore. 
Purtroppo, con la rivoluzione britpop ormai inoltrata, la Mute non mostra più fiducia nel progetto Inspiral Carpets e li scarica verso la fine del 1995, dopo averne pubblicato una raccolta. E dire che diversi fra i suoni presenti su Devil Hopping sembravano mostrare la volontà di tentare la strada del nuovo pop britannico. 
 
La band si scioglie subito dopo essere stata lasciata a piedi dalla label, per poi riformarsi nel 2003. Per l'occasione viene pubblicata la compilation Cool As. Sul primo disco tutti i singoli della band (sette dei quali mai inclusi in alcun album), sul secondo una selezione delle loro migliori B-sides. Oltre ai brani più noti, emergono alcune sorprendenti versioni alternative, fra le quali "Directing Traffic" (qui senza k), dal suono nettamente più ruvido, e "Sackville", senza il famigerato riff di organo elettrico, ma con un inedito, superbo arrangiamento corale.
Nel complesso si tratta di un'antologia indispensabile, dato che riunisce per la prima volta sotto un unico titolo una gran quantità di canzoni di difficile reperibilità, eppure fondamentali per la storia della band. Da rimediare quindi anche se già si possiedono tutti e quattro i loro dischi principali.

Per anni la ritrovata formazione va in giro a riproporre le vecchie hit, fino al 2011, quando Hingley decide di mollare di nuovo. A sorpresa lo sostituisce il cantante dei primordi, Stephen Holt, con cui la band aveva mantenuto buoni rapporti. Dopo tre ulteriori anni di concerti e un paio di singoli, viene annunciata la pubblicazione di un nuovo album, Inspiral Carpets, per l'ottobre del 2014. 
Ciò che si percepisce sin dal primo ascolto è il budget con cui l'album è stato registrato, sufficiente a consentire un prodotto professionale e senza pecche di forma, ma comunque lontano dal dispiego di forze che rese possibile la cura dei lavori storici. Laddove la velocità viene mantenuta a livelli sostenuti, ci si diverte comunque non poco, per quanto la voce di Holt non sia capace delle sfumature di quella di Hingley. "Spitfire", "You're So Good To Me" e "Calling Out To You" sono graffianti garage rock, con l'organo elettrico più abrasivo che mai e crescendo corali avvincenti come un tempo. Certo lo spirito esploratore che li animava un tempo è ormai andato, certo nei tratti più lenti si fatica a tenere viva l'attenzione, certo il suono è forse eccessivamente omogeneo. Tuttavia la bontà di alcune melodie riesce a far perdonare i pur evidenti difetti, inoltre si tratta di brani perfettamente mescolabili ai vecchi classici durante le esibizioni dal vivo, come dimostrato dagli ultimi concerti della band, in cui non si riscontra alcun calo di tensione.

Oggi gli Inspiral Carpets sono dei gloriosi sopravvissuti. Hanno rappresentato una delle stagioni più turbolente del rock inglese, quella che impattò con la musica house e soprattutto con una quantità spropositata di droghe, come forse mai prima. La generazione dell'ecstasy, dello smile e dei rave. Ma anche la generazione della malinconia, quella che impregnava la periferia inglese e la fascia più bassa della classe lavoratrice, uscita a pezzi dagli anni Ottanta. La malinconia che si respira in un film come "24 Hour Party People", nella scena in cui Tony Wilson è costretto a chiudere i battenti del suo storico locale, The Haçienda, spezzando una volta per tutte il sogno di chi era cresciuto in quel periodo di memorabili ibridazioni fra dance, rock e visioni psichedeliche.

Inspiral Carpets

Discografia

Plane Crash(Ep, Playtime, 1988)
Trainsurfing (Ep, Cow, 1989)
Dung 4(demo, Cow, 1989)
Life(Mute, 1990)
Cool As **** (Ep, Mute, 1990)
Island Head(Ep, Mute, 1990)
The Beast Inside(Mute, 1991)
Revenge Of The Goldfish (Mute, 1992)
Devil Hopping (Mute, 1994)
Cool As (antologia, Mute, 2003)
Inspiral Carpets (Cherry Red, 2014)
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

This Is How It Feels
(videoclip da Life, 1990)

Spitfire
(videoclip da Inspiral Carpets, 2014)

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