Black Dice

Black Dice

Il rituale del caos

Un poderoso excursus sulle nuove prospettive della sperimentazione sonora basata sulla rilevazione e la manipolazione delle sorgenti naturali. Un frullato sonico che ingloba il noise-rock tradizionale e perviene al non-ritorno di collage elettro-acustici, alea, industrial, poesia primordiale

di Michele Saran

Black Dice è il nome di un quartetto di Providence, Rhode Island, composto da Bjorn Copeland (chitarra), Hisham Bharoocha (batteria), Eric Copeland (voce) e Sebastian Blanck (basso). Raggiunto un assetto stabile nella primavera del 1997, i ragazzi si propongono dapprima come un feroce e sguaiato combo dedito a sperimentazioni harsh, dalle fondamenta ben piantate nella scena noise-no wave newyorkese della prima metà degli 80. A questo si deve aggiungere l'apporto dei live set, scomposti e violenti al punto da miscelare forme-canzoni irriconoscibili a manipolazioni di sorgenti sonore. In pratica, tutto l'anelito novecentesco riassunto in un quartetto rock: l'alea, l'evento irripetibile, il caos e la melodia.

Nel 1998 la band trasloca a New York, dove incontra Aaron Warren, futuro nuovo bassista. È proprio qui che le loro intenzioni ricevono il loro rituale d'iniziazione: aprire, rielaborare, sformare, scolpire, usare sorgenti sonore e sampler fino allo sfinimento, in libere associazioni di timbri e campioni casuali.

Dopo Black Dice, un primo 7" su Troubleman Unlimited, la band scioglie gli indugi. I riferimenti artistici si fanno eccellenti (Aube, Merzbow e i grandi rumoristi nipponici, da Melt Banana a Boredoms, ed europei, da Chrome a Cows), le sperimentazioni abbracciano passato e presente del rock creativo fino a confondersi l'uno nell'altro, la fede poetico-stilistica si assesta su distorsioni dei volumi, dei range, dei pitch, a modificazioni caotiche (ma razionalissime, quasi cerebrali) delle dinamiche.
I Black Dice si autoproclamano poeti lucidissimi, quasi gelidi, del caos primordiale: illusionismi sintetici, furibonde evoluzioni di masse elettroacustiche, paludi di eventi acustici primitivi. La casualità zen di John Cage ha trovato una delle più importanti valvole di sfogo dei 2000.
Il 7" su Troubleman Unlimited è dunque il primo di una serie mini-cd, Ep et similia (quasi un rituffarsi nell'epoca delle sperimentazioni post-belliche della musique concrète di Pierre Schaeffer e della Darmstadt elettro-acustica stockhauseniana, degli études che precedevano il capolavoro), il debutto della band di Providence possiede soprattutto un retrogusto acerbo di truce hardcore monstre (solo "Rereading" è una remota anticipazione del futuro).
Untitled, il 7" dello stesso anno, è ancor più furibondo (al limite del grindcore).

#3 è il trampolino di lancio della loro ricerca. Le prime undici tracce sono schizzi a chiaroscuro su carta filigranata Sonic Youth era Kill Yr. Idols e Boredoms post-Pop Tatari concatenati da un labirinto di scosse di feedback, urla, ronzii, sibili e una batteria epilettica (che però non riesce a sfondare il cliché del free-form caotico degli illustri predecessori). Sebbene già foriera di interessanti sviluppi, questa suite noise è ancora sconclusionata.
La seconda traccia è furia cieca che trasuda rigagnoli hard-rock: un solo riff ripetuto con ostinazione accompagnato dal drumming più granitico. Ma prima della fine c'è il colpo gobbo: abrasioni fluttuanti e mistiche, ostinati di feedback, linea ritmica inceppata come un meccanismo lasciato a sé.
Mancano ancora le disgregazioni dadaiste della loro prima maturità, manca la coscienza che animerà le opere successive; le evoluzioni compositive o sonore di sorta - pur già significative - affondano le mani nel noise storico e ne variano le regole solo a latere. Ma le basi della strabiliante evoluzione dei Black Dice stanno tutte qui.

Seguono Semen Of The Sun e i volumi della serie Chimes In Black Water, primi segni di collaborazione con i ricercatori sonori del Michigan, i Wolf Eyes di Nate Young. Il successivo mini Cold Hands possiede una dichiarazione di intenti artistici fin dall'immagine di copertina. Un ritratto, forse una donna, e una magrittiana metamorfosi: è il corrispettivo visivo dell'unione mostruosa - ma naturalissima - tra primitivismo e astrazione, il primo segno dell'arte dei Black Dice.
Un ronzio soffuso e un carillon avariato avviano senza fretta la title track; il baricentro è un crescendo drammatico di macchine ad alto voltaggio (notare l'uso di elementi semplici fatti reagire in soluzione straniante) che gonfia fino a diventare sfumatura allungata, descrizione insistita dei mille intarsi di uno spettro elettromagnetico.
"Smile Friends" inizia a stento per poi liberarsi in una corsa forsennata in cui l'indiavolata massa di voce e chitarra sembra trovare un accordo che, però, diverge ancora in nuove tempeste soniche. "The Raven" è una piece strumentale che importa la sezione ritmica degli Swans in stato di shock e in delirio cacofonico da conati di feedback e balbettii dannati (ancora il retaggio hardcore), quasi una sorta di agonia fugaziana.
"Birthstone", di più e meglio, si basa su un sovracuto lancinante d'isterismi noise, scrosciate di piatti e lamenti in lontananza, paesaggio sotterraneo ricolmo d'allucinazioni scioccanti, di sibili quasi orrorifici (le soundscape del miglior Penderecki sono a un passo da qui).
Questo mini è dunque un buon passo in avanti, pur nella mancata concretizzazione delle arditezze che lo pervadono; ma le ampie volute drammatiche di "Birthstone" sono già autentica delizia per i timpani.

Nell'agosto del 2001 esce uno split che vede sullo stesso supporto sonoro i compagni di label Black Dice e le Erase Errata.
"Untitled #5.5", il brano dei Nostri della prima facciata, si apre su fruscii concreti e spettrali deformazioni di lenti paranormali, una sorta di gemellanza tra le sperimentazioni per oscilloscopio di Aube e le graticole dei Throbbing Gristle; dopo un tam-tam tribale e nuove raccapriccianti deformazioni di mostriciattoli umanoidi (forse la prima ricezione di segnali Residents), rumori acquatici di palude chiudono in sinistro fermento il pezzo.
I pezzi firmati dalle Erase Errata ("The Shade" e "French Canadia") sono due sbandate in lo-fi basate su riff in cortocircuito e contrappunti di basso dal sapore Beefheart, degna prosecuzione di "Other Animals" (2001).
Tassello importante per interiorizzare l'evoluzione Black Dice, questa brevissimo disco propone tanto una rinnovata sensibilità compositiva quanto un intelligente uso di nobili riferimenti che scaturiscono quadretti di magma umorale. Quattro minuti quattro di totale, intensa autonomia creativa

Black DiceBeaches & Canyons, il debutto su lunga distanza dei Black Dice, è così un piccolo miracolo: cinque libere composizioni, allo stesso tempo riassunto e compimento definitivo delle uscite brevi, e tanta maestria nel modellare timbri primigeni. Ben lontani dalle schizofrenie dei primi lavori, qui lo stile si fa austero, programmatico, quasi universale: l'immensità del mare, assurto a trapasso dell’esistenza, come bisogno primordiale.
Il call-and-response tra campi sonori che apre "Seabird" incontra tripudi motoristici e giungle di sorgenti sonore. Contorni calcati da accompagnamenti tribali e vocalizzi voodoo rendono la dimensione del viaggio sofferto, degli avvicendamenti che accorpano evoluzioni di entità viventi.
"Things Will Never Be the Same" comincia con mareggiate sintetiche e prosegue con ululati opalini che si levano alti in trapassi trasfigurati; uno splendido uso della produzione porta a un crescendo impercettibile ma inesorabile, e a una detonazione accompagnata da un tribalismo da raptus mistico. È dinamica impazzita, uno shoegaze di presenze umane; gli infelici di "Not Available" che hanno finalmente visto la luce.
Un free-form per macchine smerigliatrici Red Crayola apre "The Dream Is Going Down"; ancora una lamentazione di stampo Residents, un dialogo di mugugni indecifrabili e timbri liquidi di diversa viscosità, portano a un accelerando che diventa straordinaria danza catartica. L'arte dei Black Dice diventa potente ristrutturazione dei suoni primari.
Il prodigioso omaggio a "Not Available" continua con le sonorità glaciali intonate dai fiati di "Endless Happiness"; c'è poi una musique concrète di palude e una sinfonia per filtri acustici che sfibra gli ottoni lasciandoli decantare nell'in(de)finito, in un generale effetto lisergico. La straordinaria sensibilità della band è uno strumento a tutti gli effetti, che porta a estendere per la restante parte della suite uno spiegato campione di risacca. È il colpo di genio del disco: un estatico rimirare il luogo magico del trapasso infernale appena compiuto, in spirituale comunione con l’elemento naturale, essenza della vita per antonomasia, misterioso moto universale.
Nella psichedelica "Big Drop" i ragazzi di Providence tornano a suonare meno ambiziosi ma non meno imponenti: esplosioni in serratissima sequenza di feedback e batteria, baccanali di farfugliamenti urlati, cascate di rumore bianco; fino a che tutto non coccia contro la brusca, drammatica interruzione che chiude il disco, il silenzio improvviso.

Con questo disco, i Black Dice si dimostrano ensemble dalle sostanziose capacità creative, inventori di marchingegni della psiche ambientale, attenti e sensibili osservatori-rielaboratori degli arcani meccanismi naturali. Beaches & Canyons è un costrutto di grandi volute narrative e poetiche, un saggio di primitivismo sonoro tra i più esaltanti.

I Black Dice realizzano poi Lost Valley, un 3" nell'estate del 2002 - pubblicato come strenna natalizia per i fan del gruppo -, una sorta di disco volante dalle forze primitive che sbilancia definitivamente i giochi del quartetto, verso un recupero di tutta una serie di modelli musicali che non potrebbero essere più diversi fra loro.
Solo due brani, "Lost Valley" e "Head Like A Door", il primo dei quali si configura come un'estesa divagazione crossover, che assembla e riprocessa in un fascinoso continuum sonoro i virtuosismi percussivi degni del free-jazz, l'elettronica di più moderna concezione, i riti percussivi propri di comuni post-psichedeliche come i Crash Worship e una dose inaudita di poliritmi africani.
I loro non sono in ogni caso patchwork senza capo né coda, quanto piuttosto riassorbimenti post-psichedelici di sostanze rinvigorenti. Testimonianza ne è il secondo brano, "Head Like A Door": adagiato su ampie coltri ill-ambient al principio, esplode poi nei riff disumani della chitarra alla Chrome e in sfuriate harsh electronics degne dei rumoristi giapponesi.

L'anno dopo, Black Dice e Wolf Eyes si uniscono in un album-collaborazione che coniuga alla bell'e meglio le cifre stilistiche d'entrambi i collettivi: rumore manipolato, feedback chitarristici, vortici di suono concreto, ricordi industrial captati nel tempo dagli 80 trapassati, sfrigolii e brusii incomprensibili (e talvolta gratuiti). Il tutto in sette brani senza titolo, dai quali sporge il metal, poi l'hardcore, e ancora riposizionamenti inaspettati della metallurgia industriale di Mnemonists e Throbbing Gristle, per comporre una lunga suite, un affresco dalla tinte kraut-rock dei 70 e il rumore rock degli anni 90. Quello che potrebbe essere un anello mancante tra due grandi ere del soundsculpting manca soprattutto di decisione.

Cone Toaster, il mini del 2003, prevede una rivisitazione del dancefloor nella filosofia dei Pil, una gelida techno che si muove al di sopra di una psichedelia mefitica (la title track). Il retro è rappresentato dal remix da parte di Yamatsuka Eye (eYe) dei Boredoms di "Endless Happines", una delle prodezze di Beaches & Canyons qui in versione pseudo-new age (il solo rumore delle onde del mare occupa più di un terzo della traccia).
Abbandonate per un istante le arditezze di Beaches & Canyons, i Black Dice si danno alla piacevolezza frivola.

Ancora un'opera in collaborazione, di nuovo minore, stavolta con gli Animal Collective (in cui entrambe la band si prodigano a riprocessare liberamente un materiale di partenza, intitolato "Wastered"), attesta il periodo di transizione. La joint-venture con gli Animal Collective serve a lanciare anche il progetto Terrestrial Tones (composto di Eric Copeland e Dave Portner, gli addetti al rumore delle rispettive congregazioni), via Blasted, Dead Drunk, e specialmente il tour de force di "Oboroed" (2005).

Il discorso maggiore riprende piuttosto con Miles Of Smiles, secondo Ep in meno di un anno e mezzo, che anticipa di pochi mesi l'uscita di Creature Comforts. Nella sua volontà di collegare le evoluzioni stilistiche all'urgenza di imprimere nuove conquiste di stile, è uno dei punti più affascinanti del decorso artistico dei Black Dice; se paragonato al precedente Cone Toaster, questo Ep assolve meglio la funzione di congiunzione tra i due long-playing.
Ecco allora due lunghe tracce, la prima delle quali è un humus impressionistico di ambient notturni, di paludi stagnanti che si ampliano; le percussioni soffuse e misteriose, poliritmiche, stemperate da xilofoni di contorno, danno vita a una "danza di natura", fino all’esplosione di un nuovo frastuono di suoni schizofrenici-stratificati di trombe e di pennellate naturalistiche.
La seconda ("Trip Dude Delay"), improntata un synth fluttuante, è uno dei rari momenti melodici della carriera della band, un quadro quasi pastorale per note di organo a conferire mood liturgico, ma poi travolto da un impressionante tsunami di rumori urlanti e di mareggiate distorte. È un post-catastrofe (l'Itaca di ogni naufrago ancora stordito dagli echi delle sirene) che è comunione di primitiva bellezza, ritorno all'innocenza sognata e perduta.
In quest'opera complessa, breve ma di mirabile sublimazione artistica (ai limiti del barocco), la sintesi additiva dei Black Dice lambisce vertici insperati.

Il secondo album dei Black Dice, Creature Comforts, nettamente più introverso del predecessore, stupisce sia per il piglio, che per gli accenti di sintesi electro che stordiscono l'ascoltatore fin dal primo ascolto. Dopo la descrizione ascetica del mare, l'attenzione passa all'esplorazione di corpi orrendamente deformati.
"Cloud Pleaser", come ogni preludio operistico che si rispetti, anticipa gli sviluppi successivi: un motivetto-cantilena popolare immerso in sinistri vibrato da martello pneumatico, enuncia una claustrofobica condizione d'impotenza. La successiva "Treetops" è animata da sorgenti sonore (trombette carnevalesche e allarmi industriali) che confluiscono in una sarabanda post-atomica.
L'interludio "Island" prepara il terreno ai ruggiti distorti di "Creature", il fulcro semantico del disco: un suggestivo tripudio di versi subanimaleschi dal fine descrittivismo e dall'accattivante mimesi, le cui percussioni, meno compatte, non però arrivano a intaccare il decorso evolutivo del brano.
"Live Loop" è un'altra pausa di riflessione che prelude al nuovo tour de force, "Skeleton": un dub sconquassato da suoni tridimensionali e deliri da oltretomba, uno still life di radiazioni che sformano i timbri e li rendono riverberi anfetaminici: i Black Dice usano stereofonie e canali come un macellaio sotto Lsd. "Schwip Schwap", terzo interludio, è uno scherzo elettro-acustico che traghetta alla conclusiva "Night Flight", jam di rumori orbitanti attorno a un synth, tra rombi cingolati in avaria e dilatazioni da chiesa gotica (corrispettivo del rumore di onde di Beaches & Canyons, che qui si dissolve in maniera rassicurante).
Soprattutto, in questo Creature Comforts c'è più compenetrazione (artefatto e natura), più comprensione per l’ascoltatore, più pedagogia musicale; non più flusso di sensazioni sconvolgenti, ma mosaico composito, scintillante e articolato di impressioni naturalistiche. I Black Dice cominciano già ad aprire nuove porte.

Appurata la compartecipazione nei confronti dell'ascoltatore, la band di Rhode Island con Broken Ear Record (registrato senza Baroocha, nel frattempo dedicatosi alla carriera solista) mette a punto un frutto più aderente alle nuove aspirazioni. L'iniziale "Snarly Yow", una personale versione di pulsazione r'n'b, quasi dei Ministry travestiti da Kylie Minogue, con intermezzi di radiazioni rumoristiche che sterilizzano progressivamente il groove, ne intensificano il contrappunto apocalittico da post-Modern Dance Pere Ubu-esca.
Procedendo con l'ascolto, s'ipotizza che la volontà dei Black Dice sia la compattezza di formato, pur sottoposta alla prova della variazione. A volte è pura dimostrazione d'ingegno di rielaborazione. In "Heavy Manners", una stordita chitarra hawaiana in loop e un bofonchiare umanoide sono sfaldati dalle folate acide del campionatore che ne estrae nuovi rantoli distorti. "Twins", un pow-wow con timbri carnascialeschi e un battimani sporadico, sbarella nella semplice metamorfosi di suoni. "ABA" è una breve parentesi isolazionista, con synth oscillante e click a scandire.
In altri casi, come per "Street Dude", ci si immerge in un vortice noise che ingloba una base drum'n'bass e un vociare in loop. La ripresa della base trasporta a un nuovo innalzamento della dinamica stereofonica e a una seconda disintegrazione sonica. La miscela di "Smiling Off" è quasi Tackhead-style: afro-beat pungolante con cicalecci impertinenti di feedback e del sampler, cortocircuito di cibernetica astratta, invocazioni aborigene. Il tutto si riempie di echi, di giochi di contrappunto, di miscele atonali. Completa la collezione il balletto sci-fi di "Motorcycle", con battiti radioattivi, vocalizzi di ossessi in levare, campioni sardonici senza meta.
Disco a schemi ritmici, a incastri compositivi, che organizza partiture a corrente alternata tra materia e anti-materia, arrischia mirabilmente ripetitività e imprevedibilità. Repertorio timbrico invidiabile. Primo album dei Black Dice dopo la comparsa di alcuni brani ("Wastered" e "Endless Happiness") nel secondo volume della compilation della Dfa, risalente al novembre 2004 (il primo, del 2003, è introvabile), e assoluto rafforzamento della loro singolarità all'interno della compagine di James Murphy e Tim Goldsworthy.

Manoman, di nuovo un disco su corta distanza serve ai Black Dice a catalizzare le idee e a proiettare nuovi orizzonti.
"Manoman", fa proprio questo. C'è dapprima un poliritmo materico in levare che si fa via via pattern-contenitore di striature, deformazioni, decorazioni multicolore; poi il tutto diviene trance acidula che ha scatti hardcore nell'ordine dei decimi di secondo; infine, il poliritmo si scompone tra battimenti e giochi intricati.
Le restanti "Gore" e "Toka Toka", oltre a suonare come outtake di Broken Ear Record, sono pure tessiture minimali che variano per addizioni (accumulazioni talvolta ridondanti) di caciare distorte e radiazioni irrequiete. "Gore", in particolare, stilizza la distanza tra post-punk e industrial nel giro di qualche minuto.
Non molta struttura, intenzione scarsa. Soprattutto, dopo (già) diversi numerosi tentativi d’imitazione e svariati remix, sembra che i Black Dice vogliano remissare la loro stessa ragione sociale, senza la vera capacità di rielaborazione à-la Black Dice. L’inconveniente di questa fase è la possibilità che il caos sonico sfumi in confusione stilistica.

Il batterista Hiram Bharrocha (già collaboratore di nomi di spicco della scena avant-noise) lascia quindi il gruppo e avvia la carriera solista con Full Bloom, a nome Soft Circle, con cui rivisita sostanzialmente la musica del gruppo maggiore alla luce di vagiti etnici (ma anche teutonici, tribali e pseudo-ballabili), attenuandone notevolmente l’impatto cacofonico ed esaltandone le decorazioni timbriche.

Con Load Blown la transizione al formato facilitato è completata. Le peregrinazioni di Broken Ear Record hanno assunto l'aspetto pressoché definitivo di organismi retti, assemblati con maestria e vivificati con nitore.
"Scavenger", con le sue figure minimali sampledeliche ad incastro, appioppa una base in avaria con congas, frasi di chitarra hawaiana e battiti eterei. Il poliritmo della seguente "Drool" si accolla il rischio di far sentire la mancanza di Bharoocha, ma impagina un tema di concertina folk-popolare su sciame oscillante ultrasonico, a sdoppiarsi in polifonia, e in una sospensione ovattata.
Quindi "Bananas" (sarabanda di lacerti stereofonici), "Roll Up" (minimal techno liofilizzato), Kokomo (motorik industrial-tronico), "Bottom Feeder" (libere speculazioni sulla velocità del repeat di un sample, vedi "Neu! 2"), sono tracce fascinose e accomodanti, ma che non riescono ad andare oltre la ormai consueta variazione supersonica.
È il primo disco dei Black Dice a puntare tutto o quasi sulla suggestione (e l'accessibilità) dei suoni. Il senso è comunque compiuto: se Creature Comforts e Beaches & Canyons erano le opere di cuore e cervello, oltre che di feeling, qui ci sono pancia e budella. Non è, a dirla tutta, la loro specialità. La cura del groove, quella che sta al livello inferiore, è talvolta aggrovigliata, troppo insistita, macilenta e boriosa, e non fa decollare le composizioni.

I Black Dice intanto portano i loro live show anche in Italia (notevole quello tenutosi l'8 marzo 2008 all'Unwound di Padova). È forse in questo contesto che la loro arte si riscopre intransigente: i loro muri di rumore aleatori trovano un compromesso di confine tra vorace improvvisazione e calibrata casualità.

Eric Copeland lancia la sua carriera solista con Hermaphrodite (2007), un tentativo sorprendente di riduzione avant-noise orientata alla fruibilità, tanto danzereccia quanto - persino - cantabile ("Scumpipe", "Wash Up", "La Booly Boo"). Questo disco è la dimostrazione della latente non-seriosità delle ultime emanazioni noise-rock, ben distante da intellettualismi di sorta. A Hermaphrodite è poi seguito un Ep di completamento, Alien In A Garbage Dump (2008), con la lunga title track, e un Cd-r sperimentale, Rgag (2009). Dopo i due vasti collage di Strange Days (Post Present Medium, 2010), Copeland dà, con i 17 minuti di "Spangled" (tratto da Waco Taco Combo, 2011), il suo maggiore saggio di alea nello stile della scuola di Darmstadt, una musicalità subliminale ottenuta da campioni, loop e cut-up. "B.Y.O.B." (2012) è un singolo in collaborazione con Dj Dog Kick. In Joke in the Hole (DFA, 2013) impiega il suo usuale flusso di campioni sovrannaturali e caotici reinventandosi producer techno e hip-hop, purtroppo senza la sfrontatezza del miglior Fatboy Slim.

I Black Dice frattanto tornano al disco vero e proprio con Repo, un'opera che conferma la tendenza sempre meno visionaria e sempre più concentrata sul livellamento di effetti sonori. Al contrario di Creature Comforts, qui la maggiore tensione si ha nei brevi siparietti campionati; alcuni brani mostrano trucchi ormai desueti ("Lady TV", "Glazin"), mentre altri sono semplicemente soprassedibili ("Vegetable", "Ten Inches").
Il loro stile tipico riprende forza in "La Cucaracha", in "Chicken Shit" (tanto digitale quanto poliritmico) e in "Ultra Vomit Craze", teoricamente la loro prima hit.
È l'opera "urbana" della band, che però si dimentica un semplice fatto: l'urbanità l'avevano già descritta in passato, passandola al vaglio digitale e reinventando una preistoria mostruosa; qui si aggirano in quella stessa "urbanità", limitandosi a disquisire con pungente arguzia.

Nel primo disco non prodotto dalla fida Paw Tracks, Mr. Impossible (2012), campeggia una copia giocherellona della loro estetica di suoni trans-naturali.

Una delle realtà più appassionanti degli anni 2000, i Black Dice hanno finito col crogiolarsi nei loro stessi giochi sonori, credendosi nuovi maestri di pittura sonora a tutto tondo, ma in realtà finendo per scovare un limite inquietante: il cortocircuito di un microcosmo acustico che tende a implodere in se stesso. La loro rimane in ogni caso una ricerca con pochi precedenti, che si affianca agli altri grandi sperimentatori del decennio (gli Animal Collective, il cui "Spirits They’re Gone" può davvero competere con il mostro sacro Beaches & Canyons), e ha già mietuto diverse esperienze entusiasmanti, da Fuck Buttons a Gang Gang Dance, da Sightings a Wolf Eyes. Se da una parte c'è una credibile prosecuzione dell'antropologia irriverente dei Residents, tanto aggiornata quanto riveduta e corretta (alla luce delle nuove tecniche, dell'era del terrorismo e della crisi economica), dall'altra i Black Dice sembrano polverizzarla in luogo di un sacrifio propiziatorio per una nuova idea di poesia sonora, un excursus nello spaziotempo che incrocia fuori-sincrono, timbri deformati, macchinari in avaria, umanità traviate, vagiti robotici, sciabordate marine e palpiti strozzati. Se la natura è in realtà una dissonanza colossale, i Black Dice ne hanno trovato una credibile chiave descrittiva.

Eric Copeland prosegue la carriera con la tipica prolificità di un producer. Masterbater (2013) è un mini che contiene soltanto gli 11 minuti di "Masterbater", il lavoro più ambizioso dell'ultimo periodo (in realtà un altro collage più o meno casuale di basi elettroniche). Gli Ep Ms Pretzel (2014) e Logo My Ego (2014) contengono fantasie più espressive (il pastiche afro-techno "Ms Pretzel", il big-beat di "SXIXO") ma anche robotiche derive rave. Nuove allucinazioni subliminali folk-ancetrali permeano i techno di Jesus Freak (2015): "Elephant", "Multiball", "Jamaican Nighbor". La degenerazione insita in Black Bubblegum (2016), il suo album pop, ricorda quella degli ultimi Residents.

I Black Dice frattanto si riaffacciano con un 45 giri commercialotto, "Big Deal/Last Laugh" (2016).

Copeland dà ancora Brooklyn Banks (2016), Courtesy Professionalism Respect (2017), Goofballs (2017), Trogg Modal vol. 1 (2018) e vol. 2 (2019). La fitta serie di album scadenti prosegue con Dumb It Down (2020).

Natty Light (2019), raccolta dei primi singoli del periodo hardcore, precede Mod Prog Sic (2021), primo disco lungo dei Black Dice in quasi una decade. Come per l'ultimo Copeland, anche la compagine di base si accontenta di una musica per rave alternativi, a partire da una "Bad Bet" basata su una delle loro tipiche sonate esotiche malsane. "Downward Arrow", "Swinging" sono danze robotiche noiosette ("Big Chip" si affida al battito hip-hop). In "Tuned Out" compaiono briciole del loro vecchio soundsculpting analogico-digitale di voci sub-umane e ritmi post-tribali, ma in maniera triviale e diluita, vieppiù asservito a un mash-up di musichette da ballo anni 50 (mambo, limbo etc). Meglio una "White Sugar" in cui il big-beat vecchio stampo si arricchisce di poliritmi deformi e mascherate vocali grottesche. Le meno ovvie sono le più brevi: lo swing di "Plasma" e la samba di "Jocko". Ma questa è più che altro una raccolta di modeste creazioni casalinghe che di certo non spicca nel marasma delle autoproduzioni Bandcamp (che loro stessi vent'anni prima avevano preconizzato).

Black Dice

Discografia

BLACK DICE

Black Dice (mini, Gravity, 1998)

5

Untitled (mini, Vermin Scum, 1998)

5

#3 (mini, Troubleman Unlimited, 2000)

6,5

Semen Of The Sun (mini, Tapes, 2000)

6

Cold Hands (mini, Troubleman Unlimited, 2001)

7

Beaches & Canyons (Dfa, 2002)

7,5

Lost Valley (mini, Tigerbeat6, 2002)

6,5

Cone Toaster (mini, Dfa, 2002)

5

Miles Of Smiles (mini, Dfa, 2004)

7

Creature Comforts (Dfa, 2004)

7

Broken Ear Record (Dfa, 2005)

7

Manoman (mini, Dfa, 2006)

5,5

Load Blown (Paw Tracks, 2007)

6

Repo (Paw Tracks, 2009)

5

Mr. Impossible (Ribbon Music, 2012)

4

Natty Light (antologia, Jabs, 2019)

6

Mod Prog Sic (FourFour, 2021)5
BLACK DICE & ERASE ERRATA
Split (Troubleman, 2001)

6,5

BLACK DICE & WOLF EYES

Chimes in Black Water voll. 1-3 (American Tapes, 2001-2002)

6

Wolf Eyes & Black Dice (Fusetron, 2003)

5


BLACK DICE & ANIMAL COLLECTIVE

Wastered (mini, Paw Tracks, 2004)

6

TERRESTRIAL TONES
Blasted (Psych-O-Path, 2004)

5

Oboroed/Circus Lives (mini, Uuar, 2005)

6,5

Dead Drunk (Paw Tracks, 2006)

6

SOFT CIRCLE

Full Bloom (Eastern Developments, 2007)

6

ERIC COPELAND

Hermaphrodite (Paw Tracks, 2007)

6,5

Alien In A Garbage Dump (mini, Paw Tracks, 2008)

5

Rgag (mini, autoproduzione, 2009)

6

Strange Days (Post Present Medium, 2010)6
Waco Taco Combo (Escho, 2011)6
Joke in the Hole (DFA, 2013)5
Jesus Freak (L.I.E.S., 2015)5
Black Bubblegum (DFA, 2016)4
Goofballs (DFA, 2017)4
Trogg Modal vol. 1(DFA, 2018)4
Trogg Modal vol. 2 (DFA, 2019)4
Dumb It Down (Post Present Medium, 2020)4
Pietra miliare
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