Mekons

Mekons

Punk-folk in trincea

Portabandiera del post-punk militante di Leeds, membri attivi del Red Wedge, il cuneo rosso che lottò in difesa dei minatori e contro le politiche di Margaret Thatcher, i Mekons sono soprattutto una formidabile rock band, capace di spaziare dal punk al folk, dal blues al country. Per Lester Bangs sono stati addirittura "la band più rivoluzionaria del rock'n'roll". Ripercorriamo la loro lunga carriera, cercando di fare luce in una sterminata discografia

di Amerigo Sallusti

“GB 84” è un giallo, un thriller poetico e apocalittico, surreale e realistico, fantasioso ed enigmatico, opprimente e liberatorio, lirico ed esplosivo. Lo ha scritto David Peace, famoso per una quadrilogia sul West Yorkshire; quattro romanzi anch’essi difficilmente catalogabili, noir e socialmente impegnati, rivoluzionari nello stile, con una trama che aggredisce come una pugnalata. In “GB 84” ci racconta lo sciopero dei minatori inglesi nell’anno (dello scorso secolo) indicato del titolo; e poi le violenze della polizia, la corruzione dei burocrati del sindacato con le loro miserie morali; il cinismo del governo della signora Thatcher, la Lady di ferro. Con due voci narranti che si intrecciano e si rincorrono sino alla fine che ci spiegano come tra il 1984 e il 1985 in Gran Bretagna si combatté l’ultima guerra civile tra, da una parte, i proprietari delle miniere e dell’altra i minatori.
Con i minatori si schierarono senza remore i Mekons. Da soli, come band, e collettivamente nel Red Wedge, l’associazione di musicisti a sostegno della lotta dei miner fondata dal menestrello Billy Bragg.

Qualche mese prima, però, i nostri avevano partecipato alla registrazione della compilation “They Shall Not Pass”, con in copertina un minatore stilizzato in un chiaro impeto di ribellione. I Mekons vi incisero “Fight The Club” e “This Sporting Life”. Anche le altre band, dai Redskins (con “Lean On Me” e “Unionize!”) ai Three Johns (“Pink Headed Bug” e “Two Minute Ape”), erano tutte, come loro, in prima linea nel sostegno nazionale e internazionale a questa epica lotta. “Fight The Club” sono i Crass, un po’ più morbidi, meno rochi, ma con la stessa urgenza di comunicare, così come il secondo pezzo inframezzato qua e là da cori che sembrano quelli dei minatori, con una tessitura musicale fitta, che non lascia spazio al respiro: tutto è cinetico, fulmicotone condensato: chitarra, basso e batteria. Punto.

Quel disco fu prodromico alla nascita del Cuneo Rosso (Red Wedge). Nome preso in prestito da un quadro di El Lissitzky (“Il cuneo rosso batte le armate bianche”) per declamare in maniera netta da che parte si stava nella fase più dura degli scioperi dei mineworker. Vi parteciparono (ai concerti e ai benefit in generale) Style Council, Communards, Heaven 17, Prefab Sprout, Elvis Costello, Tom Robinson, Beat, Lloyd Cole, The The, Captain Sensibile e ovviamente i Mekons, che si esibirono più di una volta davanti alle miniere in lotta e occupate; spesso in compagnia del collettivo anarcopunk Crass.

MekonsL'album Fear And Whiskey del 1985 segna il ritorno a un lavoro completo per la band di Leeds. L’anno è “dettato” dal forte coinvolgimento emotivo nella vicenda operaia sopra descritta. Fu infatti quell’intensa partecipazione a rimettere insieme i componenti del gruppo che da tempo non provavano né incidevano alcunché di nuovo.
Lo stile musicale non è più quello immediato e scarnificato degli esordi : un punk-rock ostile e fulmineo. Ora i suoni sono più mediati; maggiormente riflessivi. Inoltre la country-music ne pervade quasi ogni solco. Ed ecco allora steel guitar con echi continui del Chicago blues, accompagnate pervicacemente dall’armonica a bocca.
Le tematiche sono caratterizzate da un filo conduttore uggioso, quasi tetro. Un’umanità devastata, senza più speranze. Taluni suoni gutturali rappresentano al meglio questo climax. Nessuna speranza, nessun futuro. “Trouble Down South” è l’album: una base elettronica simile ai migliori Wall Of Voodo, voci che si rincorrono alla Dead Can Dance, violini a legare l’intera matassa musicale. In “Country” ritroviamo i Mekons che amiamo, con cori a ricamare la splendida voce di Jon Langford e le chitarre che sprizzano note che corrono libere. In “Abernant” la batteria è punk, il basso anche e la chitarra fa da contrappunto armonico. Senza fiato, “one, two, three, four…; one, two, three, four…”, mentre in “Last Dance” ci sono i fratelli Pogues e i cugini Members: un punk-rock sgraziato che balla con la tradizione folk dei pub di Dublino.

La band si formò in coda al 1977: Jon Langford, Kevin Lycett, Mark White, Andy Corrigan e Tom Greenhalgh. Tutti studenti dell’Università d’arte di Leeds. Dalla stessa compagine, tra l’altro, “germogliarono” Gang Of Four e Delta 5 (ma questa è un’altra puntata). Il nome deriva dal protagonista di un fumetto molto diffuso negli anni 50 e 60. Un soggetto malvagio, proveniente dalla galassia profonda.
Il primo singolo fu “Never Been In A Riot” (parafrasando e sbeffeggiando i Clash di “White Riot”, come del resto fecero i Crass – compagni d’armi nel sostegno ai minatori in sciopero- declamando nel loro secondo album: “We Are Crass Not Clash”). Mentre il primo album completo, The Quality Of Mercy Is Not Strnen è un vero capolavoro di preveggente post-punk al fulmicotone. Bassi rallentati, chitarre che deragliano; batteria sincopata e voci spesso stridule. Suoni addirittura, in alcuni frangenti, cacofonici in stretta correlazione col vetriolo del Pop Group. Testi, seppur sarcastici, da battaglia.
L'apertura è affidata al brano che dà il titolo all’album. Voci che sono uno strumento musicale, prima singolarmente poi in coro a inseguire una batteria “sbilenca” e una chitarra che scavalca i tempi ritmici. Poi “Heart And Soul”, Jon Langford che urla sguaiatamente insieme agli strumenti con tempi medio-veloci. Punk allo stato puro, quello comunitario e animalista della grande Londra del 1980. Nei due minuti e undici secondi di “Spoons No More” c’è il concentrato della deindustrializzazione di Leeds e delle altre città operaie inglesi, attuata dalla Lady di Ferro: la chitarra stride e riverbera; la batteria è claudicante quasi disomogenea dal/nel pezzo, il basso sottile, ma tenace come un filo d’acciaio.

Come il seguente The Mekons, più Rip Rig and Panic che Pop Group nelle dissonanze. Quindi più funky sbilenco e incerto alla James White che free-punk d’attacco alla Dna, per restare a New York.

Mekons Story chiude il primo capitolo della band di Leeds. “Letter’s In The Post” dura un minuto e 15 secondi: sono proprio i Ramones della terra d’Albione. Poi, “Where Were You”: attacca la chitarra, lenta, come la tortura della goccia d’acqua cinese, quindi accelera ed entra la batteria, infine basso e voce che talvolta ricordano i primi Devo, metronomici e meccanici. Questo è il dato comune a tutti i pezzi dell’album. Immediato e senza fronzoli.

È d’obbligo ricordare, sempre per quanto riguarda la prima fase produttiva, la partecipazione nel 1980 alla compilation “Mutant Pop”, seminale raccolta di new wave – da prendere in senso lato - che vide insieme da Leeds, Mekons e Gang Of Four, da Edimburgo Scars e Flowers e da Sheffield 2*3 e Human League. I nostri suonano due pezzi da annali: “Weeks e “Where Were You”. Il primo con chitarre e basso che stridono, che cozzano l’un contro le altre per poi ricomporsi con le due voci donna/uomo a ricreare l’amalgama. Il secondo ricorda sonorità new wave sul genere dei primissimi Cure e Sound. Con una voce profonda e malinconica, proprio come quella del vocalist dei Sound Adrian Borland.

Due anni prima, nel 1978, i Mekons erano stati tra i protagonisti della grande marcia dell’autunno 1978, organizzata da Rock Against Racism (RAR), organizzazione anti-razzista nata nel 1976 a seguito dei crescenti episodi di violenza nei confronti della comunità nera e caraibica da parte dei militanti del fascista National Front.
In quell'autunno, per l’appunto, 100.000 persone parteciparono alla marcia da Trafalgar Square sino a East London, dove si svolse un festival musicale all’aperto in Victoria Park, organizzato dal RAR e dall’Anti-Nazi League. Al concerto, insieme ai Mekons, parteciparono: Clash, Buzzcocks, Steel Pulse, X-Ray Spex, Ruts, Sham 69, Generation X, Tom Robinson Band, Stiff Little Fingers, Misty In Roots. Non sarà quindi un caso se da li a poco Bob Marley scriverà “Punky Reggae Party”, scorrendo i nomi dei partecipanti.

Proprio sul margine del primo capitolo Mekons, i due sostanziali gerenti della band, Jon Langford e Tom Greenhalgh, diedero vita ai Three Johns. Drum machine e anticapitalismo. Chitarre taglienti e liriche alla Carlo Marx. Basti per tutte le composizioni l’intramontabile “English White Boy Engineer” a riassumere la descrizione sociologico-scientifica della società americana divisa in classi razziali.

Tra il 1987 e il 1991, i Mekons sfornano, di fatto, un album all’anno con un paio di perle tra questi: So Good It Hurts del 1988 e The Curse Of Mekons del 1991.
Il primo è contraddistinto da liriche di ribellione, ma questa volta intimiste. Talvolta luci soffuse, accompagnate però sempre da omogenei agglomerati di basso, chitarra e batteria. Con l’aggiunta del banjo, in talune inserzioni. Le voce preponderante è quella di Sarah Corina, coadiuvata da quella di Kate Ex (degli olandesi EX) che darà il là a un lungo sodalizio musical/politico. L’iniziale “Revenge” esemplifica al meglio i tratti generali distintivi di questo bellissimo album. Tocca quindi a “Fantastic Voyage” un pop-rock schietto, con un Hammond in sottofondo. “Heart Of Stone” vede la voce di Sally Timms protagonista, per un rock’n’roll puro e distillato.
The Curse Of Mekons apre con “la musica del mondo” di “100% Song”, tra armonica a bocca, fisarmonica, percussioni a mano e cori alla Tom Tom Club. Con “Waltz” siamo nella cantata alla Pete Seeger-Woody Guthrie. Né più, né meno. La voce è ancora una volta quella della parte femminile del gruppo. Così, con questa poesia scorre per intero “la puntina sul solco”, come si diceva un tempo.

Non va dimenticato anche Honky Tonkin’ del 1987, album caratterizzato da una sorta di minimalismo country. Hillibilly meets Violent Femmes and Hank Williams. In questo caso le tematiche saranno esplicitamente schierate: no all’energia nucleare e all’olocausto atomico. “I Can’t Find My Money” è il brano che posiziona lo stile. I Clash di “Sandinista” insieme al David Byrne più esotico sono le coordinate stilistiche. “Sleepless Nights” ricorda invece il Paisley Underground di Dream Syndicate e Green on Red. “Hole In The Ground” prosegue su questa falsariga, ma con sterzate verso il cow-punk alla Steel Pool Bath Tube.

Quindi, The Mekons’ Rock’n’roll del 1989. Apre le danze “Memphis, Egypt”, con chitarre epiche e corali voci della “London’s Burning” degli 80. “Cocaine Lil” è riflessiva, intimista. Se nella precedente le chitarre esplodevano, qui implodono, ricamano dentro con una voce alla pari. In “Amnesia”, ritroviamo una new wave- psichedelica della miglior fattura, vicina ai territori dei Teardrop Explodes del buon Julian Cope. A seguire “Someone”: 2.44 minuti di pop-rock alla Smiths-Housemartins, per un pezzo leggero e inebriante.

Mekons - Jon LangfordDalla metà dei Novanta sino alle soglie dei 2000 sono preponderanti due progetti paralleli che in entrambi i casi vedono Jon Langford in qualità di mentore, sempre supportato da Tom Greenhalgh.
Il primo, di nome Waco Brothers, è una band di schietto country-punk. Con sede a Chicago, dove da anni Langford risiede. Nove album all’attivo e una freschezza musicale sbalorditiva. Con una serie di live-act da lasciare a bocca aperta. Come se Johnny Cash suonasse con i Clash di “Sandinista”.
Su tutti i lavori, svetta “Electric Waco Chair” del 2000.
Il secondo progetto si intitola Pine Valley Cosmonauts. Un cover group di canzoni e melodie country e hillibilly. Con la partecipazione di leggende del punk quali la summenzionata Kat Ex e Alejandro Escovedo (leader dei Nuns, gruppo proto-punk di San Francisco e in seguito dei country-punk Rank and File di Austin). Ad oggi, sei album. Su tutti, il primo "Misery Loves Company: Songs Of Johnny Cash": banjo e armoniche a bocca. Struggente.

Tra i due progetti paralleli, i nostri infilano nel 1996 un nuovo album a nome Mekons, The Edge Of The World. L’apertura con “Hello Cruel World” è semplicemente struggente: la voce di Jon Langford è nasale e lirica allo stesso tempo, la fisarmonica è perfetta così come chitarra e batteria, incisive e precise. Rock impegnato e sicuro di sé. “The Letter” mette in mostra una voce decadente, ma un violino che conduce con decisione, languida decisione. “Forsaken” è un “rappato” ubriaco, bianco. La batteria è sempre marziale. Sembrano i Fall. In “South Of The Border” riappare l’allegria e la ritmica scanzonata dei vecchi tempi: i Dubliners sono tra noi.

Nel 2000 è la volta di Journey To The End Of The Night. Tre titoli: “Last Week Of The War”, “Power And Horror”e “Something To Be Scared Of”. Quasi a presagire l’11 Settembre dell’anno successivo: guerre e terrore, carestie e povertà. L’incipit è una batteria tenue, che stenta a entrare, poi lo fa, prepotentemente insieme a una slide-guitar ed il basso a coprire. “Power And Horror” comincia bluesy e si palesa Kinks. La conclusione è rock'n'roll, dall’inizio alla fine, con spudorati richiami a Bo Diddley.

Nel 2002 i Mekons tornano ai vertici della loro arte con un capolavoro: Oooh! (Out Of Our Heads). Il folk è ormai l’ossatura della loro musica. Si percepiscono, infatti, i riverberi dei due maestri, Woody Guthrie e di Peete Seger, già in precedenza incontrati nello scorrere dei brani e nella poesia dei testi. Quasi un concept-album.

Natural del 2007 prosegue sullo stesso binario apocalittico di “Journey”. Guerre umanitarie, bombe intelligenti... l’uomo che soggioga la terra… un decalogo. Si comincia con “Dark Dark Dark”, un country-punk irriverente à-la Violent Femmes-Blasters; e poi è la volta di “Burning In The Desert Burning”, Tinariwen meets Clash, con un testo da battaglia, basso e batteria implacabili. E infine “Perfect Mirror”, una ballad triste e sconsolata: batteria al rallentatore, basso in secondo piano e chitarre vellutate.
Lo scorrere degli anni non li ha cambiati. Il “Do it yourself” rimane indelebilmente la bussola per i loro repentini e spesso ondivaghi movimenti attraverso gli spartiti musicali. Le liriche sono, come sempre, caustiche, ma spesso profonde. Lo spirito libero e “guerrigliero” permane. La voglia di irridere anche. Ma sempre con intelligenza.

Tratti caratteristici che si ritrovano anche nell’ultimo Ancient And Modern del 2011. “I Fall Asleep” è un balzo all’indietro ad ascoltare i “migliori” Mekons, quelli di Fear And Whiskey, per intenderci: melodia gallese ed energia nord-irlandese, i Pogues che si innestano sul folk tradizionale. “Geeshie” è una ballata da pub, con il violino che conduce e le voci di Jon Langford e Sally Timms che si alternano senza mai sovrapporsi, per farle meglio svettare e godere. “Honey Bar” prosegue su questo stilema con l’aggiunta dei cori e di strumenti tradizionali: davvero avvolgente. “The Devil At The Rest”, infine, ritorna all’ultimo amore di Langford, il country rock.

Non si ferma, dunque, la corsa di una delle più longeve formazioni della prima ondata post-punk britannica. “Il gruppo più rivoluzionario della storia del rock’n’roll”, li ha esaltati il critico Lester Bangs. E per celebrarne la leggenda, è stato realizzato anche un documentario musicale, “Revenge Of The Mekons”, diretto da Joe Angio.

Mekons

Discografia

The Quality of Mercy Is Not Strnen (Virgin, 1979)
Devils Rats and Piggies a Special Message From Godzilla (Red Rhino, 1980)
It Falleth Like Gentle Rain from Heaven - The Mekons Story (CNT Productions, 1982)
The English Dancing Master (Ep, CNT Productions, 1983)
Crime and Punishment (Ep, Sin, 1985)
Fear and Whiskey (Sin, 1985)
Slightly South of the Border (Ep, Sin, 1986)
The Edge of the World (Sin, 1986)
Honky Tonkin' (Sin, 1987)
New York [tape] (ROIR, 1987)
So Good It Hurts (Twin/Tone, 1988)
The Dream and Lie of ... (Ep, Blast First, 1989)
Original Sin (Sin, 1989)
F.U.N. '90 (Ep, Twin/Tone/A&M, 1990)
The Mekons Rock'n'Roll (Twin/Tone/A&M, 1990)
The Curse of the Mekons (Blast First, 1991)
Wicked Midnite/All I Want (Ep, Loud Music, 1992)
Millionaire (Ep, Quarterstick, 1993)
I Love Mekons (Quarterstick, 1993)
Retreat From Memphis (Quarterstick, 1994)
Mekons United (Touch and Go, 1996)
Pussy, King Of The Pirates (with Kathy Acker, Quarterstick, 1996)
Where Were You? Hen's Teeth and Other Lost Fragments of Unpopular Culture (antologia, Quarterstick, 1999)
I Have Been to Heaven and Back: Hen's Teeth and Other Lost Fragments of Unpopular Culture (antologia, Quarterstick, 1999)
Journey to the End of the Night (Quarterstick, 2000)
Out Of Our Heads (Touch & Go, 2002)
Oooh(Out of Our Heads) (Touch & Go, 2002)
Punk Rock (Touch & Go, 2004)
Heaven & Hell (2cd, antologia, Cooking Vinyl, 2004)
Natural (Quarterstick, 2007)
Ancient And Modern (Bloodshot Records, 2011)

Jura, by the mini-Mekons with Robbie Fulks (Bloodshot Records, 2015)

Existentialism (Bloodshot Records, 2016)

It Is Twice Blessed, by the Mekons 77 (Slow Things, 2018)
Deserted, (Bloodshot Records, 2019)
Exquisite, (autoprodotto via bandcamp, 2020; vinile by Glitterbeat Records, 2022)
Pietra miliare
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