Vent'anni
di carriera a rigorosa distanza dal grande circo della musica, tra
esperimenti e collaborazioni prestigiose. Alice ha aperto la strada
a una nuova generazione di artiste italiane: non più semplici
cantanti o mascotte, ma cantautrici complete. Paradossale, quindi,
che sia stata proprio l'istituzione della canzonetta nostrana, il
festival di Sanremo, a segnare la sua carriera. Un debutto con vittoria
nel 1981 con "Per Elisa", un gradito ritorno quest'anno con "Il
giorno dell'indipendenza". Ma che cos'è cambiato in questo
ventennio? "Tornare a Sanremo è stata un'esperienza molto
positiva. Il ricordo della prima volta mi ha sempre accompagnato
ma oggi il mio atteggiamento è cambiato, sono molto più
serena". Nel frattempo, ci sono stati i successi, quelli del suo
"Personal Juke Box", una raccolta di sedici classici del suo repertorio
più tre inediti, tutti ricantati e riarrangiati, con una
versione di "Chanson egocentrique" realizzata insieme
ai Bluvertigo.
Alice è sempre esile, nervosa, e maschera con la dolcezza
del sorriso la tensione di una personalità difficile. Una
personalità che è entrata più volte in rotta
di collisione con la macchina discografica. Ma oggi la cantautrice
di Forlì non ha problemi ad ammettere: "Sì, è
stata la mia etichetta a chiedermi di partecipare al Festival, ma
ho accettato volentieri. È stato divertente, ed è
servito ad allargare la mia visibilità, un po' penalizzata
dalle mie ultime scelte artistiche". Scelte che l'hanno portata,
di recente, a interessarsi alla musica sacra, con una serie di concerti
nelle chiese e un album, "God is my dj", concepito con
Francesco Messina. "Il progetto è nato durante la rassegna
della Musica nei cieli, a Milano. Non è dedicato alla musica
sacra, ma alla ricerca del sacro nella musica. D'altronde, è
stato proprio in chiesa che ho cantato per la prima volta. Avevo
quindici mesi, ed ero rimasta colpita dal presepio e dalle canzoni
natalizie, così mi sono messa istintivamente a cantarle.
Tutto è cominciato così...".
Come
il suo amico e maestro Franco
Battiato, Alice ha posto la spiritualità al centro della
sua esistenza: "Sono alla ricerca dell'aspetto spirituale in ogni
cosa. Mi ritiro a meditare per mezz'ora anche prima di un concerto:
ho bisogno di trovare un contatto interiore per poter andare incontro
agli altri". E di concerti Alice ne ha fatti molti, non solo in
Italia. "Fin dal 1981, ho cercato di puntare sul mercato internazionale.
E sono riuscita a far conoscere la mia musica in Europa e anche
in Giappone. In Germania, in particolare, ho sempre venduto più
dischi che in Italia". Una dimensione internazionale che le è
valsa nel 1987 il Goldenen Europa alla carriera, nonché diverse
collaborazioni di prestigio: Phil Manzanera (Roxy
Music), Steve Jansen Richard Barbieri e Mick Karn (Japan), Dave
Gregory (Xtc), Trey
Gunn (King Crimson),
Peter Hammill, California Guitar Trio. Ma c'è un artista
a cui Alice si è ispirata? "In realtà, non ho
mai avuto degli idoli. Forse il compositore che ho amato ed apprezzato
di più è Peter
Gabriel, ma non penso che mi abbia influenzato musicalmente".
Sono tanti i brani della cantautrice romagnola ad aver lasciato
il segno, da "Il vento caldo dell'estate" a "Una notte speciale",
da "Azimuth" a "Il tempo senza tempo", da "Nomadi" a "Visioni".
Ma proprio il pezzo dell'esordio e del successo sanremese, "Per
Elisa", è rimasto il suo classico per eccellenza. "Elisa",
nell'immaginario collettivo, è diventata la droga, che "ti
lascia e ti riprende solo quando vuole lei" e "riesce solo a farti
male". Un tema forte? Lei sorride e rivela: "Non l'ho scritta pensando
alla droga. Eppure ho ricevuto lettere meravigliose di ragazzi che
mi hanno scritto di aver smesso di drogarsi dopo aver ascoltato
la mia canzone. Può sembrare strano ma, in fondo, perché
dubitare che fosse vero? Un brano può essere stato scritto
con una certa intenzione ed essere poi letto in un altro modo. È
il bello della musica: significa che qualcosa è riuscita
a passare attraverso di te".
Alice
sa di aver attraversato una fase cruciale della canzone italiana,
anticipandone, in un certo senso, l'evoluzione: "Quando ho iniziato
a cantare, nel 1980, c'era il dogma della fedeltà al canone
tradizionale italiano, e l'ambiente era molto più diffidente
verso le cantautrici. Oggi, se vuoi essere competitivo,
devi essere attento a quello che succede nel mondo. E c'è
più spazio anche per le donne". Ma a Carla Bissi (questo
il suo vero nome) la musica leggera va sempre più stretta.
Ha tenuto concerti con l'orchestra sinfonica Arturo Toscanini, ha
cantato melodie di Satie, Faure' e Ravel, accompagnata dal piano
di Michele Fedrigotti. E dice di ascoltare ormai quasi solo musica
classica. Ma non sa ancora che cosa succederà nel prossimo
album: "L'importante è non ripetersi. È per questo
che amo le collaborazioni: ti aprono la mente".
|
 |