Basandosi
su poche ma importanti costanti generali, quali la ricerca colta
e la sperimentazione del tutto personale, negli ultimi tre decenni
Franco Battiato ha pubblicato un gran numero di album divaganti
nei piu' disparati campi, dal
progressive rock all'avanguardia, dalla musica classica e sacra
all'elettronica, passando soprattutto per un anomalo tipo di composizione
pop sospesa fra divagazioni intellettuali e tendenze commerciali.
Nato
a Jonia (provincia di Catania, Sicilia) nel 1945, attorno ai diciannove
anni Battiato si trasferisce a Milano. Dopo qualche anno di gavetta
ottiene i primi contratti discografici; fra il 1965 e il 1969 pubblica
cinque o sei 45 giri di non considerevole successo. Si tratta di
semplicissime e commercialissime canzonette d'amore o d'influenza
beat (tra l'altro neanche scritte da lui), secondo il filone seguito
dalla quasi totalità della musica italiana del periodo. La molla
del cambiamento scatta durante l'edizione del 1968 di "Un Disco
per l'estate", celebre manifestazione canora radiofonica dell'epoca:
Battiato si accorge di essere del tutto estraneo al contesto che
lo circonda e, con ammirabile coraggio, rompe senza esitazione ogni
contratto che lo lega a quel mondo discografico falso e deplorevole.
Segue un breve periodo di profonda crisi personale, superato solo
con l'aiuto di due nuovi fortissimi interessi che da lì in poi caratterizzeranno
il suo modo di essere e di concepire l'arte musicale: il sufismo
dei mistici mediorientali (non a caso la cultura araba sarà il centro
degli studi universitari del compositore nel decennio successivo)
e la musica elettronica. Alla fine dei 60 si avvia infatti all'esplorazione
dei sintetizzatori (fu dunque il primo in Italia e tra i primi nel
vecchio continente, almeno per ciò che riguarda il semplice ambito
rock) e della musica concreta contemporanea. Compiuta la prima delle
sue innumerevoli trasformazioni, quella cioè da giovane e mediocre
cantante a sperimentatore e leader radicale della nascente seppur
povera scena underground italiana, Battiato dà vita fra il 1971
e il 1972 al suo primo 33 giri, il rivoluzionario Fetus, pubblicato
tra l'altro per una piccola casa discografica alternativa. Atmosfere
elettro-acustiche, uso talvolta violento e sconsiderato del synth
VCS3 e piccoli movimenti d'avanguardia caratterizzano questo oscuro
album; dovette di certo trattarsi d'un vero e proprio shock per
la vergognosamente arretrata scena leggera nazionale, già a partire
dall'immagine di copertina (impressionante foto di un feto).
Fra tristi
melodie dal sapore mediterraneo arrangiate con strumenti elettroni
analogici ("Una Cellula", "Energia, Mutazione"), pezzi surreali
(la meravigliosa "Fetus" e la spietata "Cariocinesi") e scontri
chitarra-sintetizzatore con contaminazioni campionate ("Fenomenologia",
"Anafase" e l'ottima "Meccanica"), il disco risulta essere un viaggio
psichedelico con balzi dal microscopico della cellula all'infinito
dello spazio, ispirato tra l'altro da "Il Mondo Nuovo" di Aldous
Huxley (a cui è dedicato). Battiato delinea così un concept album
in forma ibrida, sospeso fra canzone e acerba "kosmische musik".
La
distruzione del formato canzone ha seguito nel secondo Pollution
(1973), un vero e proprio lavoro di "progressive
rock d'avanguardia", sospeso fra interrogativi esistenziali
e la questione dell'inquinamento, che si riflette musicalmente con
la "contaminazione" di matrice elettronica. L'album si
apre con il valzer campionato de "Il Silenzio Del Rumore"
su cui si stende la voce recitante del nostro, confluente poi nel
breve ed emblematico "31 Dicembre 1999 - Ore 9", con la
batteria ad accompagnare squarci di chitarra elettrica distorta
e ascesa di organo, fino alle esplosioni belliche finali. I tre
brani che seguono rappresentano forse uno degli apici più originali
della musica rock sudeuropea: "Areknames", con partitura
e testo distorto rispettivamente suonato e cantato al contrario,
si stende fra dure melodie per VCS3; in "Beta" frasi apparentemente
demenziali e brevi effetti vibranti circondano il vuoto (non quello
"cosmico" di
Schulze o Froese, ma quello "mentale" di Battiato),
presto però colmato da cinque sublimi minuti in cui basso, batteria
e piano (filtrati attraverso il VCS2) incrociano eterei effetti
vocali; in "Plancton" l'antitetica lotta chitarra acustica
vs. sintetizzatore raggiunge il suo apice formale, prima di essere
spezzata da un finale elettro-etnico. I principi di fisica cantati
nella title-track e il pianto di "Ti Sei Mai Chiesto Quale
Funzione Hai?" chiudono questo gioiello indiscusso del rock
sperimentale.
Forte
delle nuove esperienze internazionali che sta accumulando in questo
periodo, come i concerti in supporto di
Brian Eno,
Magma,
Tangerine Dream, Ash Ra Tempel,
John Cale e
Nico ed altri, e soprattutto in base alle lezioni fattegli privatamente
dal maestro e amico Karlheinz Stockhausen, già dallo stesso 1973
Battiato si converte a una forma d'avanguardia persino più intellettuale
e intimista. Verso il finire dell'anno pubblica uno dei suoi massimi
lavori, Sulle Corde Di Aries.
Convergono
incredibilmente in questo nuovo, serissimo lavoro la sperimentazione
ripetitiva, un'elettronica alquanto sofisticata e soprattutto una
particolare forma di musica acustica che si rifà notevolmente alla
tradizione araba. E' giunto il tempo di "costruire qualcosa
di nuovo", e Battiato lo fa eliminando chitarre, bassi e batteria
in favore di fiati, oboe, violoncello, mandola, calimba e piano
preparato.
I
sedici minuti della suite "Sequenze E Frequenze" dettano
i parametri del nuovo stile (mai più ripreso in alcun altro album):
due linee di sintetizzatore rapiscono i sensi dell'ascoltatore avvolgendosi
magistralmente fra loro, fino alla sovrapposizione della voce dell'autore
a delineare immagini d'indescrivibile bellezza. Il pezzo continua
poi con tredici (lunghissimi!) minuti di estasi musicale, durante
i quali i ritmi colorati ma ipnoticamente ripetitivi degli strumenti
più tradizionali e delle percussioni si uniscono a un continuo background
di programmazione elettronica. Il suono sembra più volte sfumare
e concludersi, ma in realtà la sua marcia non ha fine; la musica
diventa strumento di dissoluzione dell'ego e di esplorazione di
nuove dimensione mentali. Completano il disco lo strumentale "Aries"
e le due meravigliose "Aria Di Rivoluzione" e "Da
Oriente Ad Occidente", riproponenti in piccolo la struttura
di base del primo pezzo.
A seguire,
con una nuova inversione di tendenza, Battiato dà vita al quarto
e probabilmente ultimo capolavoro della sua prima discografia sperimentale,
l'inquietante Clic (1974), totalmente dedicato alla persona
e all'opera di Karlheinz Stockhausen. Abbandonate definitivamente
le istanze da puro musicista di art rock, Battiato sforna sette
brevi e inusuali composizioni quasi tutte strumentali di elettronica
sperimentale. Atmosfere sospese fra il tetro e l'ultraterreno ("I
Cancelli Della Memoria", "Il Mercato Degli Dei", "Nel Cantiere Di
Un'Infanzia"), movimenti elettronici ("No U Turn", "Propiedad Prohibida")
e collage rumoristico-sonori in stile John Cage ("Rien Ne Va Plus:
Andante", "Ethika Fon Ethica") caratterizzano questa piccola opera
curata in ogni particolare dal suo autore, che si alterna al piano,
all'organo, agli strumenti elettronici e all'effettistica. Nessun
pezzo si eleva più degli altri, ma da citare sono soprattutto la
tristissima "No u turn", unico brano anche cantato, in cui una parte
incisa al contrario e una normale sono fra loro incastrate, e "Propiedad
Prohibida", dove una piccola orchestra di strumenti elettronici
in stile "musica cosmica" è sfruttata per creare un andamento straordinariamente
incalzante fino a convergere in un coinvolgente assolo finale di
violino.
Da
trasformista quale è, Battiato si avvia comunque ad abbandonare
quasi del tutto l'elettronica. Compie un breve tour per l'Italia
meridionale come tastierista dei Telaio Magnetico (gruppo formato
per l'occasione con alcuni amici della scena alternativa della penisola)
dalle cui registrazioni verrà pubblicato venti anni dopo (1995)
un album live (si tratta di improvvisazioni dal sapore vagamente
cosmico). Dello stesso periodo è il disco M.elle Le "Gladiator"
(1975), inferiore comunque agli standard del compositore. Circa
dieci minuti di campionamenti e sovraincisioni (ma molto piu' duri
e disarmonici di quelli di "Clic"), che fanno poi
luogo a circa venti discontinui minuti di suoni d'organo, registrati
nella cattedrale di Monreale. Non si comprende a pieno se M.lle
le Gladiator rappresenti una grossa e pretenziosa idea mal riuscita,
o se al contrario sia semplicemente un disco fatto di "riempimenti
sperimentali" volti a mascherare, se non la mancanza di idee,
quanto meno la fase transitoria dell'autore.
Passato
poi dalla piccola etichetta d'avanguardia Bla Bla alla grande Ricordi
(che paradossalmente sembra dargli persino maggiore libertà musicale!),
questo misterioso artista conosciuto da appena un migliaio di persone
si dedica, almeno per due o tre anni, alla composizione classico-avanguardista
colta. Trascorre le giornate chiuso in casa davanti al pianoforte
nel tentativo di dar vita a nuove forme sonore e frequenta musicisti
di classica (soprattutto il pianista Antonio Ballista, esecutore
delle registrazioni su disco delle composizioni di Battiato di questo
periodo, e Giusto Pio, suo maestro di violino e futuro collaboratore
agli arrangiamenti degli album di musica pop dal 1979 fino al 1991).
I risultati di tale ricerca
musicale sono documentati nell'album Battiato (1977). Il brano "Za"
regala diciannove minuti di ossessiva e durissima musica per solo
pianoforte, con effetti di amplificazione acustica e variazioni
lentissime. E' l'autore stesso a fornire una breve descrizione del
pezzo nella copertina del Lp: "Apparentemente povero.
Quasi
completamente formato da un accordo. Volutamente percussivo (non
vi viene mai usato il pedale di destra). Divide e sottrae risonanze
con una tecnica di rilascio. Necessita di un ascolto che definirei
meta-analitico, a favore di una non-spazialità a-temporale."
Il lato B del disco presenta il raffinatissimo collage di "Cafe'-Table-Musik"
(nome tratto dai "Coffee-table-books", espressione con
cui Proust definiva i suoi libri). Il canto del soprano Maria Salvetta
e alcune brevi parti recitate si intervallano a soavi frammenti
pianistici.
Di
minore importanza l'album Juke Box (1978), concepito come
colonna sonora di un film tv italiano del periodo ma poi rifiutato
dagli autori dello stesso. Si tratta di sei brani per piano, violini,
soprano e coro. Niente di straordinario, ma molto divertente è il
pezzo di chiusura "Telegrafi", nel quale il violino solo
di Giusto Pio viene "sbattuto" in modo più che straziante
per oltre sei minuti e mezzo, fino all'esaurimento mentale dello
sfortunato ascoltatore.
Le
lezioni pianistiche di "Za" sono portate all'apice dalle
due lunghe parti che compongono l'ultimo vero album propriamente
sperimentale di Battiato, dal titolo L'Egitto Prima Delle Sabbie
(1978). Nella title-track (brano vincitore del premio internazionale
Karlheinz Stockhausen di quello stesso anno), una stessa veloce
"frase" di pianoforte è ripetuta decine e decine di volte
all'infinto senza alcuna variazione, tranne che nella lunghezza
delle pause; è probabilmente questo il massimo esempio della capacità
di Battiato di creare atmosfere ipnotiche e marcatamente meditative.
Il secondo lungo pezzo "Sud Afternoon" mette invece in
risalto la componente notevolmente percussiva, quasi maniacale,
del suono del pianoforte.
Ma
improvvisamente Battiato mette in atto forse uno dei più grandi
mutamenti di stile e di genere che la storia della musica ricordi.
La differenza che passa fra L'Egitto Prima Delle Sabbie e
il successivo lavoro è a dir poco sconcertante.
Quelle de L'Era Del Cinghiale Bianco
(1979), pubblicato per la Emi, sono vere e proprie orecchiabilissime
canzoni pop! Ma che pop! Abbandonata del tutto l'avanguardia, Battiato
trasferisce la propria sperimentazione colta nell'ambito del formato
canzone, scoprendosi così perfetto cantautore intellettuale. Nel
bene o nel male il genere coniato dal siciliano - e portato avanti,
seppur in continua fase di mutamento, nel decennio successivo -
fonde in maniera personalissima musica per molti e musica per pochi;
ciò non è però risultato di una mera mediazione: paradossalmente
egli sforna canzoni piacevoli all'orecchio come mai se ne erano
sentite, ma nel contempo più intellettuali di quanto si fosse mai
sentito. Si potrebbe forse trovare nel
resto della storia della musica qualcosa che assomigli vagamente
a ciò, ma in Italia lo "stile Battiato" era e ancora e'
qualcosa d'inarrivabile (l'esistenza di ben pochi "allievi"
sta oggi a dimostrarlo). Composizioni orecchiabili sono proposte
con arrangiamenti ricchi nel segno della contaminazione e dell'originalita'.
Eppure sono i testi a risultare fortemente impressionanti: evidenziando
in sostanza un nuovo approccio con la dura lingua italiana, Battiato
delinea una forma di "pseudo-psichedelia" riflessiva;
si tratta essenzialmente di pezzi sospesi fra meditazione filosofica
ed esoterismo, spesso accompagnati da continue citazioni "fin
troppo" elevate e da "bombardamenti" di immagini
evocative, talvolta evidentemente disconnesse fra loro.
Il
culmine di tale forma canzone si trova proprio nel primo Lp del
nuovo corso. L'Era Del Cinghiale Bianco è una scatola pop
che dà l'impressione di tendere a più punti, dal jazz-rock alla
musica sacra, ma che (è questa la particolarità) resta sempre e
solo musica pop. La tittle-track unisce riff di chitarra elettrica
e violino a un incessante battito di batteria, anche se a toccare
l'ascoltatore è proprio la voce in falsetto dell'autore, che partendo
dal vuoto si estende a dipingere un "Oriente virtuale"
(come proprio Battiato lo ha poi definito).
E'
in effetti lo stesso "Oriente" evocato nel finto-rock
di "Strade Dell'Est", mentre "Magic Shop" è
una dura riflessione sulla commercializzazione di arte, cultura
e soprattutto religione.
Dopo
l'andamento classicheggiante dello strumentale "Luna Indiana",
arriva la parte meditativa dell'opera. "Il Re Del Mondo"
(titolo da uno scritto di Guénon) è il capolavoro del disco: basso,
batteria, tastiere, pianoforte e violino accompagnano magistralmente
questo pezzo visionario e malinconico (epocale l'avvio della prima
strofa: "Strano come il rombo degli aerei da caccia un tempo/
stonasse con il ritmo delle piante al sole sui balconi.").
"Pasqua Etiope" è una preghiera pop in latino e greco
incentrata su melodia per oboe. Chiude "Stranizza D'Amuri"
che, oltre alla particolarità di essere in dialetto siciliano, è
forse l'unica semplice canzone d'amore (nel senso stretto e puro
del termine) che si può attribuire alla sconfinata opera del musicista.
Il
successivo Patriots (1980), pur nella sua originalità, è
notevolmente inferiore. La musica diventa più orecchiabile, ai limiti
della canzonetta radiofonica; gli arrangiamenti meno soavi ma ugualmente
complessi, con un più marcato uso di chitarre elettriche e suoni
elettronici. I testi si fanno stranamente più ironici, ma non perdono
il loro carattere evocativo. L'unico pezzo di effettivo rilievo
è comunque la geniale critica sociale di "Up Patriots To Arms",
dove la voce in falsetto di Battiato canta con tono rassegnato la
stupidità dei popoli, sorretta da un accompagnamento perfetto, dalla
sezione ritmica fino alle tastiere in sottofondo.
Sebbene
già da un paio d'anni abbia abbandonato la pura sperimentazione,
è solo nel 1982 che Battiato passa dallo stato di musicista underground
a quello di popstar, con l'album La Voce Del Padrone (1981).
Sette canzoni praticamente perfette e intelligenti e, cosa non da
poco, orecchiabili e persino ballabili. Tutte le carte in regola
(qualcuno più colto direbbe "piani di lettura") per piacere
a chiunque, insomma.
Musicalmente
il disco si presenta come "pop", ma riaggiornato con spruzzate
di quello che la scena musicale degli anni precedenti aveva prodotto,
dal punk all'elettronica, dalla new
wave fino alle trovate "classicheggianti" dovute in
gran parte alla collaborazione stretta con il maestro Giusto Pio,
autore delle musiche insieme allo stesso Battiato.
I
testi sono un geniale pastiche di letteratura, musica, pubblicità,
politica, filosofia, religione.e non ci è dato sapere fino a che
punto si tratti di puro nonsense o di sapienti accostamenti.
Certo è che Battiato non ha paura a mischiare citazionismo alto
e basso: dai "Minima moralia" di Adorno (che in "Bandiera
bianca" diventano "Immoralia") ai "Figli delle
stelle" di Alan
Sorrenti, dal "Cantami o diva" a "Il mondo è
grigio/ il mondo è blu", di Nicola di Bari.
La
critica sociale è spietata e alcuni testi, letti oggi, anticipano
lucidamente e clamorosamente gli anni 80, cosiddetti del "riflusso",
con il rampantismo, la crisi delle ideologie e la rincorsa al denaro
ed al benessere ("Siamo figli delle stelle/ pronipoti di sua
maestà il denaro"): d'altronde lo sventolio della bandiera
bianca dell'omonima canzone (anch'essa una citazione, dall' "Ode
a Venezia" di Arnaldo Fusinato, del 1849) non è altro che un
segno di resa da parte del cantautore nei confronti della società,
qualcosa di simile alla metafora del ritorno del "cinghiale
bianco" di un paio di album anteriore.
Non
mancano nemmeno la denuncia sociale, seppur velata d'ironia (".quei
programmi demenziali/ con tribune elettorali", "Quante
squallide figure che attraversano il paese/ Com'è misera la vita
degli abusi di potere") e le punzecchiature, anche in questo
caso più sarcastiche che convinte, verso la musica ("A Beethoven
e Sinatra preferisco l'insalata/ A Vivaldi l'uva passa che mi dà
più calorie", ".e sommersi soprattutto da immondizie musicali",
"Non sopporto i cori russi la musica finto rock la new wave
italiana il free jazz punk inglese/ neanche la nera africana").
E'
grazie a questo mix che Battiato scala le classifiche, ma convince
anche la critica, anche se nell'album, oltre ai tre brani più celebri
e tuttora indimenticati ("Bandiera bianca", "Cuccurucucù"
e "Cerco un centro di gravità permanente"), sono presenti
alcune canzoni più raffinate e meno giocose, come "Gli uccelli",
elegante e poetica descrizione del volo, "Segnali di vita",
riflessione sul tempo e lo spazio che anticipa molto del Battiato
che verrà, e "Sentimiento nuevo", pezzo atipico del suo
repertorio, praticamente un inno all'amore fisico, seppur disseminato
di citazioni classiche.
Meglio
andrà successivamente (ad esempio con
Caffé
De La Paix
e L'imboscata), con dischi però più cervellotici che
piaceranno più alla critica che al pubblico: La
Voce Del Padrone resta un esempio quasi unico, nella discografia
italiana, di album che è riuscito a mettere d'accordo tutti.
Più
che pop tendente a essere colto, quella della trilogia "Cinghiale/Patriots/Padrone"
assomiglia a musica colta che si traveste perfettamente da musichetta
pop. Battiato ha stravinto la sua più grande sfida: fare "volutamente"
musica commercialissima senza però perdere la dignità culturale
del proprio operato, anzi semmai rafforzandola. In tal senso, proprio
La Voce Del Padrone può essere considerato l'esperimento
meglio riuscito del compositore siciliano, un'opera quasi inimitabile.
Non a caso nei lavori successivi egli farà le cose migliori solo
quando cercherà vie alquanto diverse.
Infatti,
gli album immediatamente successivi, che tentano di mantenere una
parte della formula, presentano risultati più mediocri. L'Arca
Di Noè (1982) è una sorta di breve concept album pessimistico,
in alcuni punti apocalittico, dove persistono le melodie facili,
ma gli arrangiamenti variegati del precedente disco sono sostituiti
da un'uniformita' sonora tendente a un'elettronica ritmica ma pacata.
"Radio Varsavia", "L'Esodo", "New Frontiers"
e soprattutto "Voglio Vederti Danzare" rappresentano il
culmine di un album poco brillante, ma quantomeno piacevole.
"La
Stagione Dell'Amore" è invece la canzone che porta al successo
il disco Orizzonti Perduti (1983), forse più "cantautorale"
e, seppur nella sua invettiva intellettuale, commerciale. I meriti
di questo periodo della carriera di Battiato vanno probabilmente
ricercati solamente nell'introduzione di computer e tecnologie nascenti
nella creazione di canzoni di consumo di massa, nell'opposizione
all'oppressione musicale del mercato anglosassone, oltre che a poche
altre trovate più bizzarre, come ad esempio l'uso di un coro di
madrigalisti in ambito pop (vedi ad esempio La Voce Del Padrone
e L'Arca Di Noè).
Pregi
e soprattutto limiti del genere tornano definitivamente in Mondi
Lontanissimi (1985). Sospeso fra spunti fantascientifici ("NoTime
No Space", "Via Lattea"), momenti d'intimismo ("L'Animale"),
pezzi da cantautore ("Risveglio Di Primavera", "I
Treni Di Tozeur"), elettro-pop ("Chanson Egocentrique")
e simili, Battiato sforna un album di canzoni che entrano come niente
fosse nell'orecchio degli ascoltatori, anche di quelli che non ne
comprendono le sempre elevate divagazioni culturali.
Con
gli album in lingua spagnola Ecos De Danza Sufies (1985)
e Nomadas (1987), Battiato inizia intanto a farsi conoscere
anche in Sud America e nella penisola iberica (tanto che negli anni
Novanta sarà costretto a riproporre in castigliano gran parte dei
suoi dischi), mentre il corrispondente in inglese Echoes Of Sufi
Dances (1985) avrà minore successo.
Il
maestro Stockhausen gli aveva fatto notare qualche anno prima che
non poteva continuare a fare il cantante oltre i 40 anni. Non a
caso proprio a quell'età Battiato dà inizio a una carriera
parallela di compositore colto (non che da artista pop non lo sia,
la differenza è che adesso egli cerca talvolta di fuggire dal formato
canzone). L'occasione per inaugurarla è l'originale opera classica
in tre atti Genesi (1986), in realtà caratterizzata
in gran parte da sonorità sintetiche ed elettroniche.
Il
ritorno alla canzone è ora tutt'altro che commerciale: Fisiognomica
(1988) apre una serie di dischi del cantautore siciliano influenzati
dalla musica classica e sorretti da un nuovo crescente desiderio
di spiritualità, tanto che il musicista sarà destinato a evolversi
nei primi anni 90 in cantautore-filosofo avverso al consenso di
massa.
L'album
ha tanti spunti notevoli (tipo le ballate "E Ti Vengo A Cercare"
e "Secondo Imbrunire", che fondono canzone d'amore e tematica filosofico-esistenziale,
o l'arrangiamento variopinto de "Il Mito Dell'Amore", che parte
da sequenze per tastiera per sprofondare in passaggi pianistici,
possenti cori lirici e finale con assolo di chitarra elettrica e
organo da chiesa), ma il culmine è nel brano finale "Oceano Di Silenzio",
che unisce tastiere e orchestra in un andamento calmissimo e ipnotico,
e che già anticipa le magiche sonorità del successivo album
Come
Un Cammello In Una Grondaia. Prima
andrebbero però citate altre due uscite discografiche: il doppio
live Giubbe Rosse (1989), che sembra chiudere definitivamente
il periodo commerciale dell'autore, e Benvenuto Cellini -
Una Vita Scellerata (1990), trascurabilissima colonna sonora
di un film-tv italiano di quell'anno.
Come
Un Cammello In Una Grondaia (1991), registrato agli Abbey
Road, è una sorta di rivoluzione stilistica. Abbandonate la varietà
di musica e testi che lo aveva reso famoso, Battiato dà ora sfogo
alla propria religiosità e all'incessante desiderio intellettuale
in modo semplice, elegiaco. Ne risulta però un album difficile,
dove il canto è accompagnato dalla malinconia del pianoforte, oltre
che da rari e impercettibili accordi di tastiera che confluiscono
nel procedere continuo e ipnotico dell'orchestra nazionale di Londra.
Ci sono quattro lieder classici (Wagner, Martin, Brahms, Beethoven)
che servono appena a far numero, e altrettanti nuovi brani del cantautore.
In "Povera Patria" e nella title-track, la tranquillità della musica
è in antitesi con le quanto mai esplicite invettive politiche e
sociali espresse. I pezzi più degni di nota sono però i due sublimi
brani mistici e religiosi: la riflessione de "Le Sacre Sinfonie
Del Tempo" e la preghiera direttamente rivolta a Dio de "L'Ombra
Della Luce".
Intervallando
canzoni colte e lavori più classici, Battiato giunge alla seconda
esoterica opera Gilgamesh (1992), meno elettronicamente
filtrata della precedente "Genesi", ma sicuramente alquanto
pretenziosa.
Dopo
l'ormai storico "concerto di Baghdad" con l'orchestra
nazionale irachena (trasmesso in mondovisione e ancora reperibile
in Vhs), l'autore torna in Italia sorprendendo di nuovo tutti con
uno dei migliori lavori della sua carriera: Caffè
De La Paix (1993), che riprende ottimamente le innovazioni
del Battiato pop degli anni 80, filtrandole però con i vortici di
misticismo che lo assalgono in questo periodo.
Batteria,
basso, chitarre, tastiere e computer, definitivamente reintegrati,
vanno a incrociare gli strumenti classici e talvolta persino quelli
tradizionali arabi, formando così uno straordinario esempio di world
music in formato canzone. Alle ormai solite quasi a-ritmiche espansioni
tastieristico-orchestrali con testo mistico ("Sui Giardini Della
Preesistenza", "Ricerca Sul Terzo", "Haiku") si intervallano una
serie di efficacissime ballate variamente arrangiate, fra tradizione
e modernità. Oltre al classico arabo "Fogh in Nakhal", ci sono la
colorata "Caffè De La Paix", che tratta della reincarnazione (vero
credo del cantautore) e il nuovo slancio religioso di "Lode All'Inviolato",
con andamento incalzante.
I capolavori del disco sono però la quasi magniloquente
"Atlantide", forte di ritmiche incalzanti e rigurgiti
d'elettronica, e l'apparentemente più quieta "Delenda Carthago".
Dell'anno
successivo sono il poco importante live Unprotected (1994),
la cui mediocrità è risanata solo dall'ottima scelta dei brani presenti,
e il nuovo classico Messa Arcaica (1994), composizione religiosa
per soli, coro e orchestra, portata in giro per le chiese (non solo
cattoliche) d'Italia, e di non trascurabile successo.
Nello
stesso anno, in occasione dell'ennesima opera "Il Cavaliere
dell'Intelletto" (mai pubblicata), nasce la collaborazione
con l'anziano filosofo siciliano Manlio Sgalambro, che da quel
momento in poi sarà autore di quasi tutti i testi di Battiato. Comincia
così una nuova eclettica fase del cantautore siciliano, piena di
veri e propri "voli pindarici" per quanto riguarda i generi
intrapresi.
La
bizzarra collaborazione ha inizio quasi per caso con l'album L'Ombrello
E La Macchina Da Cucire (1995).
In
esso i testi filosofico-deliranti di Sgalambro - che nel comporre
riprende gli stilemi intellettualistici collaudati da Battiato,
talvolta in modo persino più enfatico - si associano alle pesantissime
atmosfere elaborate dal musicista, venendo a formare un disco omogeneamente
noioso. I pezzi migliori sono comunque le apocalittiche "Piccolo
Pub", "Breve Invito A rinviare Il Suicidio" e la
title-track. Sorprende invece l'incedere elettronico di "Tao"
e soprattutto il modo poetico e aulico di descrivere il desiderio
sessuale in "Fornicazione".
Passato
alla Polygram dopo 16 anni presso la Emi, Battiato riprende in mano
la chitarra elettrica e a partire da essa delinea l'album che definitivamente
gli ridona il contemporaneo appoggio non solo di critica, ma anche
di pubblico: L'Imboscata (1996) incrocia la migliore tradizione
di cantautore intellettuale di Battiato con l'uso delle chitarre
elettriche.
Notevole
anche l'appoggio di Sgalambro, con i suoi testi in italiano elevato
che sfiorano però il plurilinguismo (inglese, francese, portoghese,
tedesco.). Comunque gran parte delle canzoni fanno a stento da semplice
cornice ai pochi pezzi realmente ben riusciti. "Di Passaggio"
è una riflessione sul "panta rei" di Eraclito che si stende
su lunghi riff di chitarra elettrica.
"La
Cura", un altro dei grandi successi commerciali, è una meravigliosa
e aulica confessione d'amore sospesa fra utopia intellettuale e
ricerca della propria essenza; ma è anche il pezzo meglio orchestrato
fra tutti. Il rock di "Strani Giorni" unisce le aspre
fughe chitarristiche di Battiato e di David Rhodes (gia' al servizio
di
Peter Gabriel) a due diverse linee di canto, l'una in italiano,
l'altra in inglese. Per il resto ci sono solo sofisticate ballate,
ma con qualche spunto improvviso un po' più originale (tipo l'andamento
alterno di "Serial Killer" e le digressioni pianistiche
e vocali in "Ein Tag Aus Dem Leben Des Kleinen Johannes").
Intanto
Battiato continua l'esplorazione delle chitarre elettriche e, adottandone
la componente più aspra, delinea un altro notevolissimo album, Gommalacca
(1998), che ne rappresenta uno dei massimi successi di vendita,
ma nel contempo paradossalmente uno dei più arditi esperimenti.
Ricco di suoni duri incentrati sulla magniloquenza
della chitarra elettrica, di contaminazioni elettroniche, di distorsioni
e sovraincisioni, ma pur sempre nei comunissimi limiti della canzone,
Battiato conia una sorta di "techno hard-rock intellettuale",
certamente di notevole impatto, seppur forse leggermente manieristico.
Nel complesso il disco non è unitariamente bello, e diversi pezzi
potevano essere del tutto scartati (magari a favore dei tre buoni
inediti contenuti nel singolo "Il Ballo Del Potere" dello
stesso anno). Ma, prese singolarmente,
diverse composizioni impressionano in più punti. Ad esempio la riflessione
con accompagnamento "metallaro" de "Il Mantello E
La Spiga", o l'apparentemente soave "Casta Diva",
in cui "acuti" di chitarra elettrica accompagnano gli
acuti campionati di Maria Callas, senza dimenticare "Auto Da
Fe'", incentrata sull'interazione fra la stessa chitarra elettrica
e il sintetizzatore. I veri gioielli del disco, però,sono
"Il Ballo Del Potere" e "Shock In My Town".
La prima unisce percussioni d'andamento tribale con impressionanti
cori campionati, melodie nascoste, e evocazione più forti del solito,
calando però il tutto in un'atmosfera fra il futuristico e il lievemente
ridondante. L'altra è invece il massimo esempio delle enormi capacità
d'arrangiamento del cantautore italiano: a un riff di chitarra in
sottofondo si sovrappongono una valanga di suoni e distorsioni,
dall'orchestra ai cori spettrali, dall'ottima linea di basso agli
spunti elettronici; il testo, invece, è un vero e proprio "viaggio
con la mescalina", fra oscure visioni e valanghe di immagini;
è lo snervante ma raffinato caos urbano di Battiato, sintetizzato
nella falsa rima distorta che attraversa e percuote periodicamente
l'intero brano: ".shock in my town..Velvet
Underground.".
A
testimoniare la varieta' di stili che l'autore - ormai ultra cinquantenne
- sa intraprendere in modo disinvolto c'è il passaggio dai synth
e chitarre elettriche di Gommalacca ai soli pianoforte e
quartetto d'archi che lo accompagnano in Fleurs (1999), raffinato
"concept cover album" composto (oltre che da due inediti)
da dieci canzoni d'amore altrui, soprattutto risalenti agli anni
50 e 60, e appunto arrangiate per ensemble da camera. Questo curioso
disco è quindi musicalmente molto unitario, sebbene contenga brani
non sempre vicinissimi fra loro, come il classico "Era De Maggio"
del poeta napoletano Salvatore Di Giacomo e "Ruby Tuesday"
dei
Rolling Stones (in realtà, il fine di Battiato sembra proprio
quello di farci scoprire le vicinanze fra tali canzoni). Per la
maggior parte si tratta comunque di un tributo a un paio di autori
italiani del passato (l'appena defunto
Fabrizio De André e Sergio Endrigo) e ad alcuni corrispondenti
francesi (Charles Aznavour, Jacques Brel etc.).
Ma
le sorprese non sembrano finire, dato che con un nuovo colpo di
coda Battiato fugge ancora una volta il formato canzone e su commissione
del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino incide per la Sony i sette
movimenti sperimentali che compongono il durissimo Campi Magnetici
(2000).
E'
un momentaneo ritorno alle tendenze avanguardiste dei primi 70,
ora però filtrate dall'esperienza di 25 anni di scorrazzamenti musicali
e dall'uso della moderna tecnologia analogica. In un periodo di
alto successo popolare, Battiato dà vita sottovoce al suo lavoro
più inascoltabile. Si incontrano in esso continui flussi elettronici,
campionamenti impazziti, centinaia di note "sparate" in
pochi secondi, improvvisi attacchi di percussioni, languidi incisi
lirici e pianistici, parti recitate che trattano di scienza, melodie
celate, e così via in uno scontro fra "suoni primordiali"
e andamenti da bizzarra ma serissima musica computerizzata.
Comunque,
il migliore dei sette movimenti è "The Age Of Ermafrodites",
quello che in effetti maggiormente evidenzia il contrasto fra parvenze
di orecchiabilità e musica inascoltabile. L'album è in fin dei conti
solo un esempio dell'ecletticità dell'autore più che una nuova totale
adesione all'avanguardia, dato che le pubblicazioni immediatamente
successive sono più tendenti alla normale canzone leggera.
Ferro
Battuto (2001), che vede ospiti Natacha
Atlas in un paio di brani e Jim Kerr dei Simple Minds ai cori
del pezzo di apertura, sembra convergere a più punti senza però
trattarne nessuno come si deve, risultando quindi alquanto deludente.
C'e'
il solito pop elevato ("Bist Du Bei Mir" e "Il Cammino
Interminabile" le più accettabili), le solite riflessioni intimiste
("La Quiete Dopo Un Addio" o "Lontananze D'Azzurro"
da una poesia di Schopenhauer) e qualche "scherzo musicale",
tipo la cover rallentata di "Hey Joe" (omaggio però a
Jimi Hendrix e non alla canzone) o le atmosfere jazzate di "Scherzo
In Minore" e quelle elettroniche della lunga ghost-track.
Fleurs
3 (2002) rappresenta il seguito poco ispirato dell'omonimo di
tre anni prima (si tratta di una anomala "trilogia forzata", dato
che il secondo capitolo non è mai stato progettato). Rispetto a
esso, il nuovo disco è volutamente meno raffinato, sia nella scelta
delle canzoni d'amore (per lo più pop italiano dei decenni passati
come Sorrenti, Lauzi, Paoli e Adamo, rivisitato col solito piglio
intellettuale), sia negli arrangiamenti (al quartetto d'archi si
affianca la sezione ritmica e l'elettronica, in un contesto complessivamente
commerciale).
Nel
2003 Franco Battiato ha anche esordito nel cinema, firmando la regia
del film "Perduto
Amor". Un anno dopo, esce il suo nuovo album, Dieci
Stratagemmi.
* Contributi di Davide Bassi ("La Voce Del Padrone")
Intervista
a Franco Battiato
di
Claudio Fabretti
Te
lo immagini rigido, distaccato, serioso. E invece Franco Battiato
è tutto l'opposto. In quasi 45 minuti d'intervista, il musicista
siciliano dispensa ironia e buon umore, a conferma di una ritrovata
serenità. "Una stabile precarietà" più che
un "centro di gravità permanente", come ha tenuto a precisare.
Fatto sta che il Battiato del Duemila ha subìto una trasformazione
che lo ha portato a cercare un maggior contatto con il pubblico.
E la risposta è arrivata con il successo dei suoi ultimi tour e
dei sui più recenti lavori, forti anche della presenza di ospiti
d'eccezione, come Natacha
Atlas e Jim Kerr (Simple Minds), in "Ferro Battuto".
E il pubblico ha particolarmente apprezzato anche la sua divagazione
di "Fleurs", il suo primo disco di cover. "Un'idea
nata in Spagna, in qualche teatro d'opera dove ho fatto dei recital
- racconta -. Visto che si trattava di teatri di tradizione, ho
pensato di fare una sorta di lideristica leggera, con un programma
diviso in due parti, con tutto quello che c'e' nel disco (tranne
le due cover di De
Andre'). Dopo un po' di tempo, ho visto la reazione di vari
pubblici e mi sono detto che forse potevo riuscire a documentare
questa storiella. In realta', comunque, la prima idea e' nata in
Sicilia, durante la prima estate catanese che dirigevo: sia sindaco
che assessore alla Cultura volevano a tutti i costi che facessi
un concerto; io non volevo, loro insistevano, finche' ho detto:
cantero' tre o quattro brani non miei. Interpretai quattro canzoni,
tra cui "La canzone dei vecchi amanti". In Spagna trasferii questa
idea: dieci canzoni invece di quattro e concerto diviso in due tempi.
Cosi' e' nata l'idea che sta alla base di Fleurs".
In quel disco ci sono anche due cover molto "sentite" di due classici
di De Andre'. Che
cosa ha rappresentato De Andre' per la canzone d'autore italiana?
Credo che soprattutto per "La canzone dell'amore perduto" ho realizzato
un buon arrangiamento. Ero un ascoltatore di Fabrizio, negli anni
Sessanta nella mia stanza ascoltavo le sue ballate, che avevano
un sapore di novita'. Lo ricordo con l'affetto di un suo ascoltatore,
piu' che di un collega.
E il progetto-tributo a Robert Wyatt?
Robert Wyatt negli
anni Settanta era un nostro contemporaneo, era uno di noi. Cercavamo
di fare ognuno la propria sperimentazione; chi in Italia, chi Germania,
chi in Francia, chi in Gran Bretagna. Facevamo parte tutti di un
stesso movimento, che veniva poi chiamato "kosmische musik"
o "progressive"
a seconda dei Paesi. Eravamo tutti dentro quella frenesia di nuovo
che ci investi'. Il mio e' stato un piccolo omaggio a un grande
artista spesso sottovalutato.
Ha detto che voleva "alzarsi dal tappeto", per cercare di rivolgersi
a un pubblico piu' vasto. Che cosa intendeva dire?
Per cantare un certo genere di canzoni bisogna essere in piedi,
per cantarne altre bisogna essere seduti... A me poi piace cambiare,
non mi pongo il problema della fedelta' a se stessi. Comunque, anche
quando sto seduto mi sento a mio agio, e per cantare un certo genere
di canzoni utilizzo le mani piu' che il corpo.
A proposito del rapporto con il pubblico, è cambiato qualcosa
oggi nella figura del cantautore? Una volta era chiuso nel suo eremo,
isolato dai mezzi di comunicazione e si esprimeva solo attraverso
i dischi, oggi e' ancora possibile?
No, oggi il mercato e' assolutamente spietato. Succede che se una
persona sta fuori e' "fuori" veramente, in qualche modo non
esiste. Io non mi creo il problema, perche' fortunatamente potrei
fare a meno di fare questo mestiere oggi. Mi piace farlo, continuo,
ma sono sempre all'erta. Mi posso permettere anche il lusso nel
prossimo disco, chissa', di fare cose terribili...
Il sodalizio con il professor Sgalambro va avanti ormai da sei anni.
In che modo i testi di Sgalambro hanno cambiato il Battiato musicista?
Adesso abbiamo un affiatamento che prima non c'era. Credo che si
veda anche sul palco, nei concerti. Ho sempre scritto i miei testi,
sono sempre stato un cosiddetto "cantautore", addirittura per molti
pezzi ho scritto prima i testi e poi li ho musicati. Ora ho chiuso
quel periodo. Non amo ripetermi, cosi' anche nell campo di quella
musica parallela che faccio e che potremmo chiamare classica: ho
scritto una Messa Arcaica che per me rimane una vetta della mia
produzione, ma non mi mettero' a fare una messa bis. Devo affrontare
altri messaggi e altri materiali. L'arrivo di Sgalambro mi ha fatto
fare i conti con una prosa che ti puo' sembrare non naturale come
la tua, ma nello stesso tempo mi ha dato un a diversita' di approccio
al mio lavoro e mi ha fatto superare problemi nuovi nella scrittura
musicale.
La ricerca del sacro e' uno dei temi principali della sua opera
da sempre. In una canzone diceva perfino "cerco di inseguire il
sacro quando dormo". Puo' raccontare a che punto e' arrivata la
sua ricerca?
Ho alle spalle trent'anni di meditazione, quindi mi posso ritenere
forse un "professionista"... E senza non potrei piu' vivere. Dovunque
io viva, sento il bisogno di ritirarmi. Lo faccio due volte al giorno,
come gli antichi egizi: mi ritiro all'imbrunire e al mattino prima
di fare colazione e dopo aver fatto le abluzioni mattutine... Non
e' mai cambiato mai il sapore di questa dimensione metafisica (che
poi per me e' fisica), dai primi tempi a oggi, sono cambiate
le tecniche, ma il sapore resta identico.
Una ricerca che pero' non si sposa alla fede in una religione
esistente...
L'atteggiamento religioso e' la prima tappa di una ricerca
del sacro, diversamente non si puo' entrare in quelle zone, bisogna
lasciare un po' di zavorra fuori, insomma.
Insomma, una "religione universale"...
Assolutamente si'. Le parrocchie mi hanno sempre spaventato. Amo
i veri mistici , e non i burocrati. E tutto sommato un mistico
alto del monachesimo occidentale e' vicino a un monaco buddhista,
anzi sono identici.
Un po' di tempo fa aveva detto che sognava "la fine del mondo occidentale".
Che cosa andrebbe seppellito? E c'e'invece qualcosa da salvare?
Il mondo occidentale ha fatto dei passi eccezionali nel campo della
scienza e della tecnica. Da questo punto di vista l'Occidente e'
intoccabile. Un po' meno per quello che ha dimostrato nell'aspetto
esteriore: non ha pazienza, non si dedica, non ha voglia di studiare,
punta a fregare gli altri. Tutte nostre specialita'. Il problema
e' che ormai abbiamo contagiato il mondo...
Gia', la pazienza e la lentezza. Due altri temi fondamentali della
sua opera. Ma e' possibile "rallentare la vita", anche per chi fa
il suo mestiere?
Io vivo cosi'. Anche quando vado in giro difficilmente inseguo il
tempo. Ci sono le stanchezze di una tournee, quando ti sposti per
trecento chilometri al giorno. Non le posso sottovalutare. Pero'
per quella mezz'ora in cui mi ritiro ritrovo il mio mondo.
Un mondo fatto soprattutto di silenzio, come ribadisce in canzoni
come "Un'altra vita" e "Un Oceano di silenzio"...
Gia', il silenzio per me e' come l'ossigeno: e' vita.
Lei e' stato uno dei primi a parlare di commercializzazione della
religione, preconizzando l'avvento di "buddha sui comodini"
o di "rubriche aperte sui peli del Papa" (Magic Shop, 1980). C'e'
il rischio oggi di un supermarket della spiritualita' con new age
e fenomeni affini?
Dio che sconforto... In genere non mi interessano i "fenomeni".
Come non sono interessato al movimento cattolico, non mi interessa
quello new age. A me piace parlare con un cattolico, con un buddhista.
Ma che cos'e' il buddhismo? Vallo a sapere con tutto quello che
si e' scritto.... Buddha ha lasciato solo tradizione orale. E con
Cristo e' un po' la stessa cosa. Lo sfruttamento della spiritualita'
e' un problema di chi lo fa. Mi ricordo da bambino un episodio:
mio padre, in piazza, fu avvicinato da un amico che gli diceva:
"Ho visto padre non so come si chiama che mangiava carne di venerdi',
e io dovrei credere in Dio?". Possibile mai che la fede si riduca
a questo? Ognuno deve fare la sua strada, gli altri faranno quello
che vogliono. Cosi' come non vado in chiesa perche' quella liturgia
non mi affascina, ma non posso fare come Savonarola e andare li'
a dire "tu andrai all'inferno"...
Che cosa e' rimasto dell'esperienza con Baghdad dopo quello storico
concerto in terra irachena?
Lasciammo un segno indelebile nel loro mondo. A scuola, fino a poco
tempo fa, si sentivano le cassette con la mia musica, si studiavano
le mie canzoni. Poi fu un rapporto umano molto toccante, che ho
cercato di portare avanti negli anni lavorando con associazioni
come "Un ponte per Baghdad". Ma certo gli interessi contro cui fare
i conti erano enormi. Abbiamo portato dei bambini all'ospedale di
Parma, piccole cose, quando dietro ci sono colossi che hanno interesse
a mantenere certe situazioni. Sono loro che creano le guerre.
Ha mai temuto di essere strumentalizzato da parte del regime iracheno?
No, di questo non mi e' mai importato niente. D'altronde mi dicevano
"vai dal diavolo" e io rispondevo "perche' qui e' il paradiso?".
Di recente ha collaborato con Csi,
Bluvertigo e
altri nuovi musicisti italiani emergenti. Crede che ci sia stata
negli ultimi tempi una crescita della musica italiana d'autore?
Si', e anche notevole. Ho sentito diversi gruppi interessanti,
molti ragazzi che stanno facendo strada. C'e' piu' spazio, il pubblico
si e' allargato e anche la realta' musicale italiana e' piu' complessa.
Sono entrati in classifica gruppi che solo due-tre anni fa non potevano
neanche sperare di essere nei primi cinquanta!
Ha ancora rapporti con teatri e festival culturali italiani? E come
giudica questa esperienza?
Lo considero un "servizio", che per me e' soprattutto un divertimento,
e qua e la' riesce a dare dei risultati importanti. Abbiamo ospitato
personaggi come Sakamoto
e David Byrne.
E per Bjork, sempre
a Fano, sono venuti da tutto il mondo...
In
"Shock in my town", uno dei suoi pezzi piu' recenti, ricorrevano
le parole "Velvet Underground". Solo un ritornello divertente o
un omaggio a una band storica?
Un po' tutti e due, in relta' era un pezzo allucinante, una sorta
di delirio urbano. Comunque, posso dire di aver conosciuto alcuni
musicisti dei Velvet
Underground. Nel 1975 sono stato in tour in Francia con Nico
e John Cale (la prima
cantante e uno dei musicisti-chiave dei Velvet, ndr). C'erano problemi
molti forti tra loro due, per l'invidia di John
Cale verso Nico, che era la beniamina del pubblico. E poi notevoli
problemi di droga da parte di lei. La prima volta che la vidi mi
chiese se avevo visto "mister powder". "Chi e'?", le chiesi
ingenuamente. Mi fece un segno inequivocabile aspirando con il naso...
"No, non ce l'ho", le risposi... Poi una volta al mitico Bataclan
di Parigi, Nico si stava truccando. Io sussurrai: "Cazzo, ma
questa c'ha cinquant'anni!". Lei mi guardo' dallo specchio e mi
disse: "Veramente qualcuno di meno"... Restai immobile. Poi mi spiego'
che era stata due anni a Roma e capiva bene l'italiano.
Un'ultima curiosita': tornera' mai a cantare con Alice?
Per ora non credo, ma non si puo' mai sapere...
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