Moonspell

Moonspell

Gotico al chiaro di Luna

Discendenti portoghesi dell'hard-rock a tinte nere dei Black Sabbath e del death-doom dei Paradise Lost, i Moonspell hanno saputo far rivivere quelle suggestioni in chiave epica e romantica, alternando black humour, introspezione e identità storica. Con un tocco di malinconia tipicamente lusitano e infatuazioni per i Depeche Mode e per il black-metal

di Alessandro Mattedi

Solitamente il gothic-metal viene associato a regioni del Nord europeo, da cui provengono numerose formazioni che hanno contribuito non solo a crearlo, ma anche a istituzionalizzarlo e a popolarne le numerose varianti (da quelle più dure e oltretombali fino a quelle più melodiche e sinfoniche).
Fu già nel 1991 che gli inglesi Paradise Lost definitivamente unirono il death-metal, oscuro e feroce, al doom-metal, cadenzato e opprimente, chiamando il tutto "gothic-metal". Subito dopo ci fu un fiorire di gruppi, che hanno caratterizzato il genere, provenienti in gran parte proprio dalle regioni più settentrionali; ad esempio, dall'Inghilterra gli Anathema, dai Paesi Bassi i primi Gathering, dalla Svezia i Tiamat, dalla Norvegia i Theatre Of Tragedy.
Tuttavia, una delle formazioni più creative e variopinte in questo ambito proviene da un paese latino, precisamente dal Portogallo: si tratta dei Moonspell, capitanati dal cantante Fernando Ribeiro. Il loro merito principale è di avere saputo trovare un punto di equilibrio tra il romanticismo, l'umorismo macabro, l'introspezione e l'erotismo sul piano lirico; la melodia solenne, le atmosfere più cupe, l'estremismo sonoro, le divagazioni elettroniche e un lato musicale più ancestrale e folkloristico sul piano musicale. Ma va loro riconosciuta in modo particolare la capacità di aver amalgamato il tutto in maniera compatta e genuina, secondo una personale inclinazione portoghese, dando al gothic un originale tocco neolatino che anche nei momenti più deboli svetta come carisma rispetto alla gran parte delle pubblicazioni sulla scena. Nel corso di 25 anni di carriera, i Moonspell hanno evoluto il loro stile, percorrendo coordinate differenti, che illustreremo di seguito.

Formatisi nel 1992, i Moonspell sono anche una delle formazioni del "dark pesante" più complete, visto che nel corso della loro carriera discografica hanno esplorato numerose atmosfere e influenze per arricchire il proprio bagaglio sonoro: rievocando le ambientazioni preistoriche e poi quelle post-industriali, passando per quelle medievali, spaziando dai suoni più veloci e abrasivi a quelli più cadenzati, dagli inserti folkloristici a quelli elettronici, dai tributi più dolci a quelli più provocanti, fra momenti aggressivi e, ultimamente, anche timidi abbozzi orchestrali.
Oltre alle origini neolatine, c'è un'altra peculiarità che li contraddistingue rispetto alla stragrande maggioranza delle formazioni gothic-metal a loro contemporanee: il fatto che i loro esordi non attinsero direttamente dai riff e dalle ritmiche del doom-metal, bensì dai suoni del più estremo black-metal norvegese. Sono in particolare i Bathory a influenzare il gruppo sin dai primi lavori. 
Anche l'immagine dei Moonspell prende spunto dal black-metal, infatti durante i loro primi anni adottano dei soprannomi "da battaglia" e si divertono a scattare foto promozionali tra antichi castelli, contemplando le tradizioni pagane, tutte azioni su cui in seguito ci scherzeranno su come "ragazzate".
Il modo in cui i primi Moonspell esplicitano tematiche che citano l'anti-Cristianesimo, l'occultismo e persino il satanismo tramite testi e titoli dei brani si rifà invece agli statunitensi Morbid Angel - che forniscono anche una riconoscibile influenza death-metal - oltre che ai padri dell'heavy-metal Black Sabbath (che per primi tinsero l'hard-rock di nero) e agli inglesi Venom (che portarono quelle tinte nel sound abrasivo dei Motorhead). 

Sotto il nome di Morbid God, i portoghesi incidono le iniziali demo Anno Satanæ e Serpent Angel prima di cambiare nome. Sono delle demo di stampo death-black molto ingenue e giovanili - soprattutto nei testi e nei titoli, che sembrano quasi scimmiottare quelli dei Morbid Angel ("Goat On Fire", in particolare, fa sorridere) - ma abbastanza ispirate nelle melodie e nei riff più aggressivi. Verranno in seguito ri-registrate nel 2007 migliorandone notevolmente gli arrangiamenti, le atmosfere e la carica melodica. La formazione è composta da Fernando Ribeiro alla voce, Duarte Picoto alle chitarre, Mike Gaspar alla batteria, Pedro Paixao alle tastiere e Sergio Crestana al basso.

Quando nel 1994 viene rilasciato l'Ep Under The Moonspell è già evidente il forte cambiamento dato dall'introdurre anche influenze provenienti dagli svizzeri Celtic Frost, dal gothic-metal e da un maggiore peso del death-metal nello stile del gruppo. Il risultato è qualcosa di furioso e intenso, permeato di spirito dissacrante verso la religione, che gioca a strizzare l'occhio all'estetica satanista e all'occultismo per divertimento, con titoli in un latino scorretto e riferimenti sarcastici ad Allah o all'erotismo. Il canto-ruggito di Ribeiro è quello di un demone furioso, che viene a sprazzi accompagnato da un soprano femminile per generare un contrasto da "la bella e la bestia", soluzione stilistica ripresa proprio dai Celtic Frost, così come dai primi Paradise Lost e Gathering. I riff, veloci e abrasivi, si alternano a suoni tribali e folkloristici che edificano un'atmosfera inquietante e gli inserti di tastiera non ammorbidiscono ma anzi esaltano l'aspetto "sulfureo" del lavoro. Ci sentiamo a nostro avviso di segnalare come brano più notevole soprattutto "Opus Diabolicum", un intrigante compendio di riff thrashy, assoli taglienti, inserti d'archi, tastiere atmosferiche. Tutto sommato, un Ep talentuoso, che nei suoni prende il meglio dal death-metal (le ritmiche più dure e intense) e dal black-metal (i riff più ronzanti), nonostante le liriche banali possano farlo prendere meno seriamente.

La definitiva trasformazione in un gruppo gothic-metal, che ha pienamente appreso la lezione dei Paradise Lost sapendo al contempo darle una propria impostazione personalissima e un tocco un po' più sabbathiano nel riffing, arriva l'anno successivo con la pubblicazione di Wolfheart. Il disco è prodotto dal polacco Waldemar Sorychta, che stava contribuendo in quegli anni a definire il suono di alcuni importanti gruppi gothic-metal (in particolare nel 1994 cura anche l'ottimo "Wildhoney" dei Tiamat, con il quale c'è qualche contatto in alcune atmosfere e con cui sono condivisi i particolari rintocchi della batteria dai suoni duri e secchi), ed è edito da Century Media, una delle più importanti etichette metallare.
È un debutto sensazionale e poliedrico che consacra immediatamente i Moonspell fra le formazioni metal più talentuose degli anni 90, mostrandone tutta la sorprendente maturità compositiva. Fin dall'iniziale "Wolfshade (A Werewolf Masquerade)" il gruppo coniuga certosinamente arrangiamenti eleganti, atmosfere oscure, chitarre brucianti, digressioni melodiche e romantiche che lasciano spazio a fraseggi crepuscolari più orrorifici. "Of Dream And Drama (Midnight Ride)" mette in luce anche l'aspetto più libero e spontaneo del gruppo, con il piano boogie-woogie volutamente fuori posto e l'entusiasmante assolo bluesy/garage. 

La poesia di quest'album non è tanto a livello lirico-tematico, dove i Moonspell sono ancora un po' istrionici e mossi dall'ardore giovanile più che dall'interiorizzazione dei contenuti, ma è data dal modo in cui vengono miscelate caratteristiche differenti. Il gruppo portoghese mostra di saper coniugare l'aggressività del metal estremo e gli umori della musica dark con un'anima rurale e malinconica tipicamente portoghese, dando al tutto un'aura evocativa e solenne, quasi da poema epico che incontra la letteratura romantica e quella gotica.
La "poesia" narrata nel disco è atipica, fatta di villaggi celtici, boschi oscuri, folklore sovrannaturale, delitti misti a pene d'amore ("Love Crimes") e un pizzico di teatralità, il tutto vissuto da un bestiale quanto anonimo protagonista, incantato dal chiaro di Luna. A far da collante, un'attitudine primitiva e ancestrale, rappresentata al meglio da due canzoni: la strumentale "Lua D'Inverno", un duetto tra un bucolico flauto di pan e un'inquieta chitarra acustica, ma soprattutto "Trebaruna", una ballata in lingua portoghese guidata dalla cornamusa e dalle cavalcate di pedale di batteria, che il gruppo dedica a un'antica divinità del popolo dei lusitani ("Trebraruna filha da Dor/ Guerreira sagrada, Deusa do Amor"; "Trebraruna figlia del dolore/ Guerriera consacrata, Dea dell'Amore").
Come spirito, Wolfheart è non solo un'opera gothic-metal, ma praticamente un album folk-metal, vicino per attitudine ai Bathory (adorati da Ribeiro, grazie alla loro capacità di fondere black-metal, atmosfere epiche e spirito folk). Tuttavia tra le influenze del disco non mancano i colori tenebrosi dei Black Sabbath e dei Paradise Lost, oltre a tutta la letteratura dell'orrore e dell'occulto ottocentesca. La tematica dell'uomo-lupo è trasversale lungo tutto l'album, si ricollega tanto ai romanzi sui lupi mannari quanto ai miti antichi dei guerrieri che si trasformavano in belve durante la battaglia. Ribeiro alterna linee vocali in un canto ruggito mutuato dal death-metal, il cosiddetto growling, a una voce pulita baritonale, suadente e profonda. Il suo canto pulito è atipico, con un accento che può risultare un po' insolito e ostico a chi è abituato alle voci anglosassoni o scandinave, ma si rivela estremamente personale. Il suo growling è molto potente e incisivo. Ribeiro, insomma, interpreta canoramente il lupo mannaro della leggenda che si trasforma nelle notti di Luna piena. Nelle antiche leggende est-europee la figura del lupo mannaro si confondeva anche con quella del vampiro, ed è con la letteratura ottocentesca, letta avidamente soprattutto da Ribeiro, che le due creature si separano definitivamente e acquisiscono molte delle caratteristiche che le distinguono. Per questo non stupisce che vi sia anche un episodio transilvanico con "Vampiria", fatto di tastiere oscurissime, imponenti e inquietanti percussioni gotiche e di un testo che richiama la seduzione di una creatura non-morta ("Vampiria, you are my destiny/ My only love and true destiny/ Vampiria.../ You're a beast, evil one").
Fa seguito inevitabilmente "An Erotic Alchemy", che - tra tastiere avvolgenti e bassi intermittenti - esalta il contrasto della tematica cara della sensualità macabra, tanto seducente quanto violenta. I suoni e le melodie presentati in questi due brani possono sembrare un cumulo di cliché stilistici per rievocare il tormentato amore vampiresco che piace al pubblico neo-gotico, se non fosse che sono stati brani come questi dei Moonspell a costruire la forma musicale di questo stereotipo, da cui poi hanno attinto in massa numerose formazioni, senza però mantenere la carica passionale ed eroica di Ribeiro. Sul finire, ecco "Alma mater", ultimo gioiello del disco, che sfocia in una catarsi che coniuga folklore, gotico e modernità. 
Wolfheart è una delle pietre miliari del gothic-metal tutto e un punto di riferimento imprescindibile per ogni formazione che volesse cimentarsi nel genere. In patria è un'istituzione, addirittura nel 2010 il servizio postale portoghese ne ha tratto un francobollo ufficiale, parte di una serie dedicata ai capolavori del rock del paese.

Un anno più tardi esce Irreligious, introdotto dai campionamenti di versi di monaci eremiti medievali come già era stato fatto da formazioni dark-ambient come i Raison d'Etre, per poi sviluppare un contesto tematico che si riallaccia all'età contemporanea, mettendo da parte gli antichi villaggi lusitani. Il titolo e i testi simboleggiano una chiara presa di posizione anti-religiosa, reinterpretata sia dal punto di vista più intellettuale che da quello più istintivo.
È un album stilisticamente omogeneo e composto con molta cura per i dettagli, ma meno poliedrico e soprattutto meno spiazzante del suo predecessore, come a standardizzare la musica dei Moonspell. Non mancano comunque le pennellate di classe, soprattutto sul lato vocale e nei testi più maturi, e in generale anche il gusto teatrale del gruppo appare più consapevole.
Dal punto di vista chitarristico si segnala la partenza di Duarte Picoto e l'arrivo di Ricardo Amorim, che rimarrà per sempre nel gruppo, caratterizzandone i riff con un taglio più immediato e diretto. L'album ad ogni modo si rivelerà un grande successo di pubblico e critica, vendendo molto soprattutto in Germania.
Tra i pezzi più riusciti, il primo singolo dei Moonspell, "Opium" (riferimento al concetto di oppio dei popoli), nonché la successiva "Awake", imponente, enfatica, epica, con un ritornello riuscitissimo, in cui Ribeiro coniuga un feroce ruggito a un canto pulito, romantico e passionale. Da segnalare anche la presenza di un sample di alcuni versi recitati da Aleister Crowley, celebre poeta e occultista, noto soprattutto per l'immagine satanista che lo accompagnava.
Il binomio "Opium" e "Awake" forma un unicum tematico, tanto che nel missaggio la prima traccia sfocia direttamente nella seconda. Fra i brani più celebri del disco, riproposti spesso in sede live, ci sono anche "A Poisoned Gift", guidata dai bassi penetranti e dalle tastiere angoscianti, la hit melodica "Raven Claws", col suo duetto dolceamaro che strizza l'occhio al soul nella controparte femminile, e "Herr Spiegelmann", con le sue melodie gorgheggianti di chitarra e organo. Da notare "Subversion", che invece è una breve parentesi synth-goth, non particolarmente incisiva, ma che anticipa alcuni esperimenti di successive formazioni gothic-metal, compresi gli stessi Paradise Lost che il genere lo hanno avviato.
Capolavoro dell'album è però "Full Moon Madness", commovente, trascinante, a calare il sipario con eleganza sulla rappresentazione drammatica dell'opera.

Passa ancora solo un altro anno, subentra il talentuoso bassista Sergio Crestana e viene pubblicato Sin/Pecado. Il titolo è un gioco di parole: "sin" non vuol dire solo "peccato" in inglese, ma anche "senza" in portoghese. "Senza peccato" è quindi il concetto portante del concept, da intendersi però non come espressione di purezza, ma come rifiuto dell'idea di considerarsi peccatori e quindi dell'autorità religiosa. Questa volta vengono rappresentati i conventi e i monasteri dell'America Latina per metaforizzare la società attuale (e in particolare il Portogallo, che colonizzò il Brasile). Liricamente si mantiene lo spessore poetico di Ribeiro consolidato con Irreligious, e la sua predilezione per un certo tipo di sensualità dolente, raffinandolo con l'ispirazione data dalla lettura di testi filosofici e di narrativa contemporanea, che nutrono riflessioni più attualizzate. In più il talentuoso vocalist introduce anche una piccola vena ironica che si diverte ad abbattere gli stereotipi.
Stilisticamente, invece, i Moonspell sperimentano un maggiore utilizzo dell'elettronica a contorno delle canzoni, mentre gli arrangiamenti suonano più puliti e moderni, con vari effetti di contorno a impreziosirli. Chitarre e batteria si fanno meno catchy, più impetuose e monolitiche, citando più spesso i fraseggi dei Black Sabbath. La voce di Ribeiro abbandona quasi del tutto il growling per dedicarsi a un canto pulito e malinconico, che si ispira a quello di Dave Gahan dei Depeche Mode, nonché a Nick Cave e a Vincent Cavanagh degli Anathema (che in simultanea si stavano evolvendo in un gothic-metal molto atmosferico, prima di abbandonarlo). Più di tutto, è evidente come i Moonspell abbiano introdotto nella loro musica una componente influenzata dalla darkwave degli anni 80 e inizino a rielaborarla con il loro personale approccio.
Il capolavoro dell'album è probabilmente "2econd Skin", un crogiolo di chitarre magmatiche e assoli taglienti, un inno depechemodiano in chiave metal. Anche la successiva "Abysmo", con i suoi corposi muri di chitarra e il canto à-la Gahan, è un brano notevole, e ci sentiamo di segnalare verso il finale anche "Dekadance" fra i pezzi migliori.
"Fleshold" è una parentesi ethno-ambient che trasporta i Dead Can Dance alle soglie del nuovo millennio; anticipa poi la pregevole ballata dark "Magdalene", con un elegante equilibrio tra elettronica ed elettroacustica. "EuroticA" prosegue il filo del discorso di "An Erotic Alchemy" e "Posioned Gift", stavolta trasportandolo in lidi electro-industrial, ma è meno riuscita. Nel finale dell'album ci si riavvicina di più all'esordio: "Let The Children Cum To Me", con le sue cantilene e i tripudi di grancassa, gioca sul contrasto tra suoni liturgici e il titolo ironicamente blasfemo per spezzare il clima evocativo; "The Hanged Man" è una mesta e struggente ballata acustica con contrappunti di voce femminile.

Sin/Pecado incassa una buona accoglienza da parte del pubblico, che però generalmente tende a preferirgli Irreligious, più vicino al gusto della frangia dark del metal. La critica musicale invece è quasi unanime nell'elogiare la voglia di cambiamento dei Moonspell, soprattutto rispetto a molte altre formazioni gothic-metal che in quegli anni stavano iniziando a riciclare stilemi stantii e banali.
Contemporaneamente, i membri dei Moonspell pubblicano l'unico disco del side-project Dæmonarch, una raccolta di brani black-metal composti da Ribeiro quando aveva 16 anni. Non è insolito per molti musicisti metal, nel momento in cui sentono di voler voltare pagina, dar vita a progetti paralleli più legati al passato (in questi stessi anni, ad esempio, i Katatonia fanno altrettanto con gli October Tide).

Col successivo The Butterfly Effect (titolo riferito alla teoria del caos), nel 1999, i Moonspell fondono doom-metal, industrial-metal e synth-rock in un monolite corposo e oscuro, reso ancora più opprimente dall'accordatura particolarmente ribassata dei riff, dalle distorsioni noisy, dal ritorno dello spietato growling alternato a un canto pulito suadente, che cita sempre Dave Gahan e in parte Marilyn Manson (quest'ultima influenza emerge anche nella sezione ritmica e nell'effettistica elettronica di contorno, assieme anche al relativamente affine percorso solista di Glenn Danzig e in parte ai My Dying Bride di "34,788%… Complete").
Non mancano parentesi soft, come in "Can't Bee", con i suoi mesti arpeggi pur spezzati da un'esplosione distorta centrale, oppure nella ballata dark "Disappear Here", a metà tra Jeff Buckley e Nick Cave, o anche nell'ibrido synth-pop/death-metal di "Adaptables". Si tratta di un proseguimento del discorso intrapreso col precedente disco, che si inoltra in territori più oscuri e cavernosi. Gli arrangiamenti, invece, sono quasi tutti farina del sacco del tastierista Pedro Paixão.
Per certi versi il lavoro si pone in antitesi allo spirito selvaggio degli esordi, anche nei brani più feroci ("Angelizer"?) o in quelli che inseriscono percussioni tribali ("Lustmord", forse il più riuscito di tutti). Al senso epico dei primi album e al connubio di poesia romantico-macabra ed erotismo, stavolta, viene contrapposto uno spirito ben più sardonico e dissacratorio (ad esempio, "Soulitary Vice", con riff a metà tra Black Sabbath e Marilyn Manson, ritmiche trascinanti e un titolo che è tutto un programma). La conclusione è affidata a "K", uno strumentale d'atmosfera, a metà tra elettronica, acustica e percussioni tribali, che sfocia poi in un'outro rumoristica. 
The Butterfly Effect è un album molto meno immediato dei precedenti, con suoni che risultano "anomali" rispetto ai canoni del gothic, tanto che non si può dire sia un disco perfettamente riuscito. Le chitarre di Amorim qui non suonano in stile Moonspell e molti brani sembrano più dei filler con cui sperimentare riff ed effetti inediti in maniera fine a sé stessa. La scena lo recepisce negativamente, anche perché i fan di vecchia data sono più tradizionalisti e refrattari a certe sonorità, mentre contemporaneamente il gusto del pubblico dark-metallaro più mainstream, in Europa, si sta orientando soprattutto verso formazioni gothic-metal molto melodiche o sinfoniche, anche se non tutte di grande spessore artistico.

Darkness And Hope esce nel 2001 e stilisticamente rimescola un po' l'atmosfericità cadenzata e le linee vocali di Sin/Pecado con i suoni corposi e distorti di The Butterfly Effect, ma rielaborando il tutto in chiave relativamente più easy-listening. Fin dall'iniziale title track, stavolta, sembra che i Moonspell siano influenzati anche da gruppi come i Sisters Of Mercy, i Tiamat di "Skeleton Skeletron" e i Type O Negative, aggiungendovi una spolverata radiofonica vicina agli H.I.M. per certi versi. Il risultato è un gothic-metal orecchiabile e influenzato tanto dal doom-metal melodico quanto dal goth-rock; ma, seppur non rivoluzionario, il risultato è comunque personale. Le atmosfere sono crepuscolari, urbane e malinconiche, accompagnate sempre da suoni moderni che si discostano dagli esordi per proseguire il discorso degli ultimi dischi. C'è però molta meno elettronica, relegata a contorno di brani costruiti soprattutto sulla voce calda e profonda di Ribeiro, con anche le chitarre che si sviluppano per la maggior parte del tempo in muri sonori d'accompagnamento. Il lato chitarristico è in effetti un po' deludente. Gli arrangiamenti sono abbastanza lineari e ruotano attorno ai ritornelli, sempre molto melodici, a volte quasi solenni. I testi tornano a mostrarsi molto caratterizzati dal punto di vista poetico e abbandonano le escursioni nello humor nero. Fra gli episodi più notevoli, "Nocturna", soprattutto nell'assolo accattivante, l'hard-rock atmosferico di "Ghost Song" e la power-ballad hard-blues "How We Became Fire".
Complessivamente viene da dire che Darkness And Hope risulta complementare a The Butterfly Effect, nel bene e nel male: laddove quest'ultimo peccava nel gusto compositivo a fronte dell'intrigante rinuncia ai formalismi, faticando a concretizzare il relativo sperimentalismo, Darkness And Hope invece suona più canonico e prevedibile, ma offrendo pezzi meglio bilanciati e dalle melodie vocali meglio curate. È un album più per nuovi fan, ma il pubblico metal più tradizionale non lo accoglie positivamente perché lo bolla come troppo "commerciale". Il suono è caldo e corposo, ottenuto dal produttore Hiili Hiilesmaa, già noto per aver collaborato con gruppi finlandesi come gli Amorphis (rispetto ai quali si tenta - invano - di riprodurre il sound psichedelico ma melodico del loro capolavoro "Elegy") o gli H.I.M. (coi quali in effetti vi è qualche affinità in più).
Le varie versioni del disco contengono bonus track differenti, tutte delle cover notevoli: "Os Senhores Da Guerra" del complesso folk portoghese Madredeus, "Mr Crowley" di Ozzy Osbourne solista (qui spicca soprattutto la superiorità canora del timbro di Ribeiro) e "Love Will Tear Us Apart" dei Joy Division.

Nel 2003 esce The Antidote. Il concept racconta di un ragazzo e una ragazza che nascono, vivono e si annullano in Portogallo, ed è lo stesso del libro omonimo (pubblicato in contemporanea al disco) dello scrittore José Luís Peixoto. Il titolo fa riferimento tanto all'alchimia rinascimentale quanto alla farmacognosia moderna, e nelle parole di Ribeiro non vuole indicare una cura a un veleno ma la duplice natura delle sostanze: un veleno in certe occasioni può fungere da medicinale, così come un antidoto o un farmaco può essere tossico. L'idea si rifà al contrasto di oscurità e speranza del precedente disco e rimanda anche alla celebre espressione dell'alchimista Paracelso per cui "tutto è veleno, nulla esiste di non velenoso, solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto".
The Antidote così cerca di suonare aggressivo e melodico allo stesso tempo, è più pesante del predecessore, ma continua a navigare tra le sue coordinate atmosferiche. L'aspetto chitarristico viene potenziato dal tastierista Paixao, che impugna anche la 6 corde assieme ad Amorim. Il suono del disco è sempre affidato alla produzione di Hiilesmaa ed è quindi nuovamente caldo, avvolgente e corposo, ma capace di digressioni inquietanti che raggelano. Tra i brani migliori c'è senz'altro il trittico composto da "Everything Invaded" (potenti riff a supporto di Ribeiro, che alterna il growling a un canto pulito suadente), "The Southern Deathstyle" (death-gothic bruciante e abrasivo) e la title track (potenti power-chord mansoniani alternati a melodie acustiche).
Il pubblico accoglie il disco meglio del suo predecessore, ma non ai livelli dei primi album.

Dopo tre anni di stop, i Moonspell ritornano nel 2006 con un nuovo bassista, Aires Pereira, e un album, Memorial, che si rivela il più veloce e aggressivo della loro carriera. Il lavoro già dal titolo fa presagire uno sguardo al passato, ma segna anche l'abbandono della storica etichetta Century Media. La band lascia da parte i riff più corposi, distorti e cadenzati dei precedenti album, da The Antidote viene giusto ripresa la tendenza a essere più pesanti; tuttavia, i riff si rifanno più allo stile consolidato nella prima parte di carriera (non a caso, ritorna anche il produttore Waldemar Sorychta che aveva caratterizzato quel suono) e le composizioni nel complesso mantengono al minimo il lato gotico e gli elementi più atmosferici e romantici, privilegiando invece la furia del metal estremo.
È un disco molto più vicino al melodic-death-metal e soprattutto al black-metal. Non si può parlare di semplice ritorno al passato, perché l'attitudine è quella di un Lp violento e "straight-up-to-face" che i Moonspell non avevano mai pubblicato: non ci sono le atmosfere evocative, gli arrangiamenti più folkeggianti e variegati, le armonizzazioni e l'eleganza dei primi dischi, ma un lavoro martellante e furioso che trafigge l'ascolto e difficilmente si può racchiudere nell'etichetta gothic-metal.
Sono poche le eccezioni, e a parte la banalotta hit melodica "Luna" si tratta quasi solo di brevi strumentali acustiche (spicca "Mare Nostrum") che hanno lo scopo di fare da quieto intermezzo prima della tempesta, più che di edificare atmosfere dolci-amare che siano parte integrante del tutto. Anche gli interventi di tastiera più solenni esaltano questa aggressività, rendendo le atmosfere più tragiche che epiche. I testi sono fra i migliori mai scritti da Ribeiro, che stavolta canta quasi esclusivamente in growling e pervade le sue liriche di una sensazione di inquietudine e soggezione (in particolare il goth-black-metal di "Memento Mori", la quasi sinfonica "Upon The Blood Of Men", la lenta e apocalittica "Sanguine"). Il batterista Miguel Gaspar racconta che in ciò si riflette una forte malinconia intrinseca al Portogallo, frutto del fatto che per secoli i lusitani prima e i portoghesi dopo si sono ritrovati in quello che era il confine del mondo conosciuto prima dell'ignoto (è emblematica la furiosa e ronzante "Finisterra"). A proposito di batteria, è notevole anche la prova della sezione ritmica - soprattutto proprio Gasper, in forma strabiliante.
La sensazione è che i Moonspell abbiano voluto distaccarsi dagli aspetti più melodici e atipici degli ultimi album, senza rinnegarli, ma per sfogare un'aggressività che era stata messa un po' da parte, dandovi al contempo un tocco personale tipicamente lusitano. È un album molto ispirato negli intenti e ben arrangiato, che cattura con diversi brani trascinanti e sa presentare un'alternativa "latina" a tanti cloni del metal estremo che suonano ispirandosi a Odino o a montagne innevate. Per contro, il disco risulta anche prevedibilmente "di genere" e a un certo punto anche ripetitivo, con brani che iniziano ad assomigliarsi troppo. Critica e fan, nuovamente, lo accolgono in maniera mista, tra chi ne elogia l'intensità e chi invece lo trova monotono.

Nel 2007 esce Under Satanæ, una compilation delle prime demo del gruppo, ri-registrate e rifinite negli arrangiamenti. Il risultato potenzia ed esalta le atmosfere più opprimenti e l'aggressività di quei brani.

L'anno seguente esce Night Eternal. Il gruppo non mostra molto di nuovo: la base è la stessa, pesante e aggressiva, di Memorial, stavolta resa anche più feroce e tesa grazie a un sapiente dosaggio di parti melodiche e tenebrose. Le atmosfere sono più epiche e in certi frangenti si avvicinano quasi al symphonic-black-metal, con le dovute proporzioni, per via dell'uso dei tastierioni di supporto a riff ronzanti e possenti.
"Spring Of Rage" ricorda un misto di Dissection e At The Gates; mentre l'arpeggio della title track ricorda "Hell Is Where The Heart Is" dei prog-deathster Edge Of Sanity. È un album molto lontano dagli spunti eleganti e poliedrici degli esordi, ma riuscito in ciò su cui si concentra. La produzione è affidata a Tue Madsen, che rende i suoni gelidi e distorti, e conferisce un tocco più "scandinavo" al lavoro, che infatti perde parte del colore latino di Memorial.
Non mancano parentesi più melodiche, come in "Dreamless", che ricorda alcuni episodi di Darkness And Hope e The Antidote, oppure nella cadenzata e angosciata "Scorpion Flower", dove Ribeiro duetta con l'ospite Anneke Van Giersbergen. Ma complessivamente Night Eternal non fa altro che proseguire il discorso del suo predecessore, in parte dicendolo meglio a livello compositivo, in parte suonando meno originale. Inoltre, il gothic-metal in questi anni si è trasformato in un genere popolato da gruppi spesso fatti con lo stampino, che indulgono su di una serie di stilemi stereotipati, fatti di riff veloci, chords lenti e distorti, tastieroni melodici, voce femminile angelica e melodie banali; dischi come Night Eternal si pongono in antitesi a questo trend, in questo caso attingendo a piene mani dal black-metal per riportare in auge il lato più estremo e furioso del gothic-metal. I testi, però, risultano di minor spessore a questo appuntamento. La ricezione da parte di pubblico e critica del disco è generalmente positiva.

A questo punto il gruppo entra in una fase di pausa interrotta solo dal live Lusitanian Metal e pubblica un nuovo disco in studio soltanto quattro anni dopo, nel 2012, sotto Napalm Records, per quello che è l'album più ambizioso e massiccio della carriera dei Moonspell: Alpha Noir/Omega White. Trattasi infatti di un imponente doppio cd suddiviso in due parti, una che enfatizza l'aspetto più metal ed estremo del gruppo, l'altra invece che punta su quello più vicino al goth-rock dei portoghesi. Il lavoro inoltre è dedicato a Peter Steele dei Type O Negative, deceduto purtroppo nel 2010.
Alpha Noir rappresenta il lato più duro, ed è molto influenzato dal thrash e dal melodic-black-metal, al punto da rivelarsi l'album più estremo del gruppo. Il risultato però è più scontato e banale del previsto: pare infatti una stanca ripetizione della formula dei due precedenti dischi, con qualche infiocchettamento di contorno. Ciò non vuol dire che i Moonspell non riescano a mostrare la solita perizia negli arrangiamenti o non indovinino alcuni brani efficaci e piacevoli. Solo, nell'insieme, le composizioni si fanno più piatte e ripetitive, le stesse melodie sono diradate, lasciando solo sfuriate aggressive anonime, un'iniezione di tecnicismi virtuosi privi di spessore, inserti blandi (tra campionamenti di ululati e cori di tastieroni come per mille altre band) e la sensazione che ci sia stata meno ispirazione a supportare il gruppo. La produzione è pulitissima e curatissima, ma ciò non è necessariamente un bene, perché copre la minore presenza di idee e spessore artistico rispetto ai due album precedenti. Chi ha apprezzato molto questa formula stilistica avrà ancora una portata degli stessi ingredienti principali, agghindata con qualche fronzolo e un po' di "bigiotteria" sonora, ma chi non era rimasto molto convinto da Memorial e Night Eternal rimarrà probabilmente deluso.

Per contro invece è più caratterizzato Omega White, che rappresenta le influenze più gothic-rock del gruppo ed è dichiaratamente ispirato a Sisters Of Mercy e Type O Negative, omaggiati in maniera plateale in alcuni episodi. La veste del gruppo è inedita e non indugia nel rimescolare arpeggi acustici, ballate romantiche, riff distorti dark-rock e hard-rock che a tratti si avvicinano anche a gruppi come Sentenced o 69 Eyes. I brani non sono rivoluzionari e nemmeno mostrano un'attitudine relativamente sperimentale, come avveniva nei lavori della fine dei 90's, sono anzi abbastanza schematici, anche se hanno dalla loro una maggior espressività. Anche gli assoli sono più ispirati. Paradossalmente i testi sono un po' meno profondi, inoltre Ribeiro perde parte del proprio carisma quando cerca di imitare le linee vocali di Andrew Eldritch e Peter Steele. Questi sono i lati più negativo del disco, assieme alla sensazione di eccessiva derivatività e ad arrangiamenti un po' pomposi e laccati. Rimane comunque una parentesi discreta, che varia un po' la proposta del gruppo e dà il meglio di sé nei momenti più intimisti e malinconici (come la perla "New Tears Eve").
Purtroppo Omega White non è disponibile come pubblicazione a sé stante, ma solo come parte dell'edizione limitata di Alpha Noir, ma sarebbe stato molto interessante stamparlo separatamente. La fanbase accoglie generalmente con favore la minestra riscaldata di Alpha Noir, ma si rivela più fredda verso Omega White, troppo lontano dai gusti del pubblico.

Con Extinct, nel 2015, i Moonspell decidono di coniugare in qualche modo la duplice anima di Alpha NoirOmega White, in particolare gettando uno sguardo al di fuori della porta di quest'ultimo, ma reinterpretandone le vedute in chiave personale. Il risultato è un album gothic nuovamente non rivoluzionario, ma senz'altro più variopinto, condito da sfuriate più aggressive e tastieroni atmosferici che sono rimasugli dei precedenti dischi, ma anche da riffing a tratti più hard-rock, da arrangiamenti corposi come negli album di cambio secolo nonché da tratti elettronici e linee vocali pulite che recuperano parte di ciò che era stato Sin/Pecado. A dispetto dal concept post-apocalittico che vuole inscenare, il disco assume tonalità epiche, anche per via delle solite tastiere di sottofondo oltre che per assoli molto più incisivi e trascinanti rispetto a quelli inclusi nel precedente doppio album. Si susseguono momenti più melodici e altri più aggressivi, combinati in maniera coerente e compatta, con un Ribeiro particolarmente ispirato nell'alternare linee vocali più dark, altre più solenni e il suo growling. La produzione pulitissima stavolta esalta la carica dei brani, tutti potenziali hit melodiche.
È un mix genuino di intenti che rinnova il discorso portato avanti dai portoghesi. A volte, però, si sfocia un po' nel riciclo, sia proprio che altrui ("Breathe", ad esempio, riprende le melodie vocali di "Magdalene", mentre "Medusalem" e "The Last Of Us" sono fin troppo debitrici dai Sisters Of Mercy, in altri momenti sembra di ascoltare un misto di Nightingale e Sentenced). Nonostante ciò, l'ascolto è scorrevole dall'inizio alla fine. I momenti migliori sono probabilmente quelli più cadenzati, in particolare la power ballad dark "Domina", i bassi intermittenti della cure-iana "The Future Is Dark", oppure "Malignia" che ricorda i Dark Tranquillity e i Paradise Lost di fine anni 90.
La chiusura è affidata a una curiosa divagazione dark-cabaret con "La Baphomette", che rispetto al genere non ha molto da dire, ma che nel contesto dei Moonspell suona bizzarra e interessante. Nell'edizione deluxe sono presenti anche delle bonus track interessanti,
come il dark-rock melodico di "The Past Is Darker", che mette in luce il meglio del lato più soft dei Moonspell.
Il pubblico, come consuetudine, accoglie il disco spaccandosi in due fazioni, mentre la critica di ambito metal generalmente lo promuove.

L'ultima fatica dei portoghesi arriva nel 2017, e i Moonspell cambiano di nuovo pelle, stavolta dandosi a un vero e proprio symphonic-gothic-metal. Il gruppo portoghese, infatti, torna su sonorità più nitidamente metal, abbinandole però a un impianto sinfonico arricchito da orchestrazioni d'archi e voci liriche per esaltare uno dei suoi concept più ispirati: 1755 si ispira infatti al terremoto che quell'anno distrusse la città di Lisbona e che, nelle mani dei Moonspell, diviene punto di partenza per narrare lo spirito multiculturale, avventuriero ma anche nostalgico del Portogallo. Ribeiro torna a cantare quasi solo in growling, inoltre la caratteristica peculiare del lavoro è quello di essere dall'inizio alla fine interamente in portoghese, con qualche inserto in latino. Ciò aggiunge fascino e colore a un disco molto caratterizzato, trascinato da un esistenzialismo profondo e imponente da vero e proprio poema epico. È soprattutto il lavoro molto più personale e vissuto dei Moonspell da qualche album a questa parte. 
Nel complesso, però, 1755 non sfocia nell'autoindulgenza tipica del metal più epico, o nelle massicce stratificazioni orchestrali di gruppi come i Therion, ma rimane sempre incentrato sulla voce di Ribeiro, sul riffing bruciante di Amorim e sullo stakanovistico lavoro ritmico di Pereira e Gaspar. D'altro canto, non sfocia neanche negli estremismi più efferati (e a tratti forzati) di gran parte delle pubblicazioni dei portoghesi nel nuovo secolo, dosando sempre l'aggressività, al punto che addirittura si potrebbe obiettare che in certi frangenti il disco sia sul punto di esplodere in un climax fragoroso per poi mancare d'impatto. L'aspetto più positivo di 1755 è quindi l'equilibrio, la compattezza. Non ci sono brani che svettino particolarmente sugli altri, tutto l'Lp risulta abbastanza omogeneo senza grossi cali. I richiami al fado (la musica popolare portoghese) e ad atmosfere mediorientali (che ricordano gruppi come gli israeliani Orphaned Land) sono concentrati soprattutto nella title track. Si tratta di soluzioni sicuramente interessanti, ma il gruppo non osa sperimentarle maggiormente, relegandole a piccolo ornamento marginale più che valore aggiunto.

Dopo 25 anni di carriera è senz'altro piacevole riscontrare come il gruppo sia in forma e non perda ispirazione: i Moonspell si sono guadagnati a pieno diritto la stima come una delle formazioni rock più importanti e influenti del Portogallo.

Nel 2020 si separano dallo storico batterista e cofondatore Mike Gaspar (sostituito da Hugo Ribeiro). Figlio della pandemia, Hermitage (2021) trasforma i lupi mannari di "Wolfheart" in eremiti. I Moonspell evitano la ripetizione della formula aggressiva del recente “1755” (2017), prediligendo una svolta radicale verso un album intimista e atmosferico, con influenze inattese per una band metal. Basta ascoltare le prime note di “The Greater Good” per ricordare subito il basso di Roger Waters. Ma “Hermitage” si allontana dalla discografia della band anche per il canto di Fernando Ribeiro, che passa dalla pacatezza di un cantautore come in “All Or Nothing” e “The Greater Good” (forse l'inizio del sogno di Ribeiro di realizzare un disco in stile Nick Cave), sino all’urlo estremo hardcore più che metal (la title track).

Hermitage è una sfida per i fan più tradizionalisti e una riflessione sulla società contemporanea. Si può davvero continuare a vivere senza consapevolezza su quanto l’uomo influisca sull’ambiente o bisogna abbandonare tutto per riflettere davvero sul nostro ruolo? La pandemia ha solo reso più urgenti certe riflessioni che erano già non rinviabili da anni. Un disco abbastanza sperimentale da vari punti di vista, dal tentativo di unire sonorità floydiane e metal del brano più maturo, (“The Greater Good”), inizialmente atmosferico con una voce pacata per poi trasformarsi lentamente in un rapido crescendo metal. 

“All Or Nothing” è assolutamente anomalo nella discografia dei Moonspell, lento e intimista, sette minuti di riflessioni su una società che impone (spesso attraverso i social) una continua e artificiosa dicotomia fra fronti opposti, costringendo la gente ad avere opinioni e a odiarsi senza una vera coscienza della propria decisione. Tutto o niente, tutto deve essere bianco o nero senza eccezioni. Forse solo l'eremita può comprendere quanto di grande ci sia in mezzo. “Hermitage” (pronunciato alla francese) è invece più tradizionalmente metal, con un grande riff iniziale e una voce di Ribeiro diversa dal solito, urlata e violenta da ricordare quella di una band hardcore. Potrebbe essere la nuova “Alma Mater” degli spettacoli live. “The Hermits Saints” si candida a essere un nuovo inno tipico della band, come anche “Apophthegmata”, in perfetto equilibrio gothic-metal.

Altra anomalia è la presenza di due brani strumentali, “Solitarian”, ancora una volta tra metal e atmosfere floydiane, e la conclusiva “City Quitter”, inaspettata divagazione modern classical, segno di maturità del tastierista Pedro Paixão, capace di ricreare idealmente l'immagine della cover dell’eremita che, camminando sulle acque, abbandona la città sommersa alle sue spalle. Ma come ha dichiarato in varie interviste Fernando Ribeiro, il vero eremita non è colui che va via, ma è colui che torna indietro per ritrovare un senso comunitario della società, testimoniare che un'alternativa esiste e trovare la forza di salvare tutti.

Contributi di Valerio D'Onofrio ("Hermitage")

Moonspell

Discografia

Serpent Angel (demo, autoproduzione, 1992)
Anno Satanae (demo, autoproduzione, 1993)
Under The moonspell (Ep, Adipocere Records, 1994)
Wolfheart (Century Media, 1995)

Irreligious (Century Media, 1996)

Sin/Pecado (Century Media, 1997)

The Butterfly Effect (Century Media, 1999)

Darkness And Hope (Century Media, 2001)

The Antidote (Century Media, 2003)

Memorial (Steamhammer Records, 2005)

Under Satanae (compilation, Steamhammer Records, 2007)
Night Eternal (Steamhammer Records, 2008)
Alpha Noir(Napalm Records, 2012)
Omega Black (Napalm Records, 2012)
Extinct (Napalm Records, 2015)
1755(Napalm Records, 2017)
Hermitage (Napalm Records, 2021)
Pietra miliare
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