Adam Torres

In equilibrio tra vita e arte

intervista di Lorenzo Righetto

Dieci anni sono passati tra il tuo debutto solista e “Pearls To Swine”. Puoi parlarci di cosa è successo nella tua vita in questo periodo?
Mi sono trasferito, un po’ di volte. Ho vissuto in Ohio e per qualche anno in Ecuador, dove insegnavo inglese e facevo volontariato. Mi sono spostato ad Austin nel 2011 e da quel momento è lì che vivo, finisco la laurea magistrale e lavoro per il governo statale da qualche anno. Ho sempre prodotto musica privatamente in questo tempo, ma ho deciso solo recentemente di pubblicarla.

Come si è evoluto il rapporto con te stesso come artista e con la tua musica in questo tempo? Hai cercato di reprimerli o hai raggiunto un equilibrio per cui pensavi: “Questo sopravviverà qualsiasi cosa succeda intorno”?
Non so. Cerco solo di pensare a cosa è vitale in ciò che faccio e a come accedervi, ma nulla in termini di ciò che potrebbe durare. Come molti altri, le mie esperienze di vita – specialmente la scelta di incamminarmi fuori dal percorso più battuto – sono distillate in ciò che faccio. Quando sei stato al largo così a lungo, diventa naturale fare cose per te stesso più che per gli altri, perché non c’è nessun altro intorno. Mi piace questa solitudine in cui lavoro.

Prima di tutto, vorrei che commentassi sul titolo che hai scelto. L’equivalente italiano è un’espressione gergale molto inflazionata [“perle ai porci”, ndr], quindi potresti spiegarci meglio il significato effettivo di “Pearls To Swine”?
Certo, il titolo si riferisce al secondo brano del disco, “Some Beast Will Find You By Name”. Ma la frase idiomatica viene da un episodio di bigotteria dal vangelo di Matteo. Sono sostanzialmente ateo ma mi è piaciuta molto l’immagine e il potere di quel passaggio, e mi piace molto anche l’idea della “devoluzione” e come gli ideali e la bellezza svaniscano nel tempo. La bellezza è un problema serio e anche l’idea di bellezza può essere repellente, in un certo momento. Volevo scrivere canzoni dinamiche che suggerissero questa idea in qualche modo e la frase “perle ai porci” era appropriata.

C’è una decisa cesura nella tua espressione musicale da “Nostra Nova”: arrangiamenti più scarni, ma penso che la caratteristica più rilevante sia l’aver registrato l’album dal vivo (a parte la voce, se non sbaglio). “Pearls To Swine” ha una spinta emotiva molto forte, cruda, ti tira avanti e indietro. Può essere anche un disco faticoso, per un ascolto casuale. Quali erano i tuoi obiettivi in termini di suono/atmosfera/arrangiamenti in generale per questo disco?
Volevo che suonasse scarno ma “vasto” – geograficamente, nel senso che le canzoni dovevano suonare come l’Ovest americano perché è dove vivo e dove sono nato e da dove la mia famiglia proviene. Il paesaggio è un personaggio in questo disco e anch’esso si sta sgretolando, “devolvendo” in qualcosa di innaturale, come nell’ultima traccia, “City Limits”. Volevo che l’atmosfera del disco portasse l’ascoltatore all’esterno, per farlo sognare dei paesaggi intorno e dentro di sé.

Ho letto in molti degli articoli che riguardano te o “Pearls To Swine” che sei definito un “prodigio” del mondo dei cantautori. Posso capire perché, dopo aver ascoltato “Nostra Nova”, un esordio incredibilmente bello e stratificato. Una scrittura solidissima, come del resto in “Pearls To Swine”. Come guardi ora a quel disco e a quei giorni?
Grazie per queste parole gentili. È difficile dire, veramente, cosa ci sia di diverso tra allora e adesso. Mi sento più a mio agio nello sperimentare con la mia voce, per come si può piegare e muovere, più di un tempo. Ma il tempo è non-lineare e chi ero allora e chi sono adesso è sempre una persona interessata a cose simili, ideali simili, e modi simili di vedere il mondo. Le mie abitudini e la mia metodologia lavorativa sono più collaudate, nel bene e nel male, e forse sclerotizzate per certi versi. Vorrei prendere più rischi ora, più di prima, e tutto ciò che spero è di continuare a creare, a imparare e a crescere.

Ho letto che “Nostra Nova” aveva così tanti strumenti e stili perché stavi cercando la tua voce musicale. Ti senti più vicino ad essa, ora, o la cosa non ti preoccupa più?
Mi sento più vicino adesso perché ho speso molto tempo per trovarmi a mio agio con la mia identità. Come suono la chitarra, come canto, tutto si origina da un luogo che sento come unicamente mio e con cui mi sento finalmente a mio agio.

Quanto sono stati influenti i membri attuali della tua band per “Pearls To Swine”? Si può certamente riconoscere quella sensazione di “apocalisse imminente” che Thor Harris dà a un brano come “Outlands”…
I membri della band mi ispirano immensamente. Le percussioni nel disco, suonate da Thor Harris (conga, vibrafono, piatti, triangolo) e la batteria di Matthew Shepherd e Rodolfo Villarreal III sono un punto focale del disco, insieme alle parti di violino di Aisha Burns, che fanno da contrappunto alle mie melodie vocali e al testo. Le parti di basso di Dailey Toliver sono la malta di tutto questo e perciò sono anch’esse vitali.

Con gli Shearwater condividi il tema ipodermico della sacralità della natura, della sua relazione con l’animo umano – o perlomeno io lo percepisco nettamente. “Juniper Arms” è ispirato dal libro “Desert Solitaire”, una sorta di risposta del Colorado al “Walden”. Puoi parlarci del libro e del suo rapporto con la tua canzone?
Grazie. Mi colpisce profondamente come noi umani possiamo e dovremmo connetterci con la natura e come questa connessione venga danneggiata nel tempo. Il concetto di natura è compreso facilmente, perché cerchiamo di assegnargli definizioni e valori precostituiti. L’idea di un luogo che sia meno affetto da shock sociali, economici e tecnologici può essere terapeutica e questo, in parte, è ciò di cui tratta la mia canzone “Juniper Arms”.

Molti hanno riconosciuto il tuo talento, la spinta artistica nella tua musica come vero equivalente dei grandi nomi del passato. Sicuramente è qualcosa di raro, oggi. Se dovessi scegliere, quale nome risalta per te e la tua musica?
È gentile che la gente dica questo. Non saprei, non penso molto a queste cose, ma mi lusinga che le persone si rapportino in questo modo alla mia musica.

Ho letto anche che c’è stato anche un po’ di disincanto nel tuo allontanamento dal mondo della musica, dopo la pubblicazione di “Nostra Nova”. Come trovi questo mondo, dalla tua prospettiva, dieci anni dopo?
In qualche modo, è tonificante esistere in un mondo della musica diverso da quello di dieci anni fa. È più semplice comunicare con le persone e gli ascoltatori e con altri musicisti ora. Ma le cose sono molto più effimere (e saranno rimpiazzate da un futuro musicale ancora più effimero), è davvero soverchiante realizzare quanta musica venga prodotta e come riuscire a farla tutta propria.

Quali sono i tuoi programmi per il tour di “Pearls To Swine”? Possiamo sperare in un tour europeo con la band al completo?
Siamo tutti in tour per i prossimi due mesi qui in Nordamerica. Annunceremo probabilmente altre date per l’inizio del 2017 e ci sono piani per portare la band in Europa per la prossima primavera.



Discografia

Nostra Nova(self-released, 2006; reissue, Misra, 2015)7,5
Pearls To Swine (Fat Possum, 2016)7

Streaming

Dusty Wing Spirit
(da Nostra Nova, 2006)

Voices From The Top Of The Mountain
(live session, da Nostra Nova, 2006)

Juniper Arms
(da Pearls To Swine, 2016)

Gladden House Session
(da Pearls To Swine, 2016)

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