Abbiamo incontrato Camilla Pisani, la sound artist calabrese di base a Roma che negli ultimi anni si è imposta come una delle promesse della musica elettronica di ricerca italiana.
Ciao Camilla, piacere di conoscerti. Per scrivere la tua monografia ho letto alcune tue interviste dove parlavi di alchimia dei suoni e dicevi che “La musica è l’esperienza sinestetica per eccellenza”. Puoi spiegarci meglio questo concetto?
Innanzitutto, ci tengo a ringraziarti per l’interesse che mostri nei confronti della mia ricerca artistica. “La musica è l’esperienza sinestetica per eccellenza” perché essa, attraverso la stimolazione della vista e dell’udito, restituisce immagini e vibrazioni, racconta storie, ricostruisce ricordi… come nessuna altra forma d’arte riesce a fare. È l’invenzione della scrittura, con l’alfabeto fonetico, a portare per la prima volta a un dualismo sensoriale fra la vista e l’udito. Tale rapporto è fondamentale nella vita dell’uomo, in quanto questi, più degli altri sensi percettivi, generano “conoscenza”. Quest’ultima è costituita dal processo cognitivo che opera la sintesi dei dati sensoriali in forme dotate di significato; ovvero attraverso la stimolazione di sinestesie. Con questo termine, derivante dal greco “syn” - “con”, “insieme” - e “aisthesis” (“sensazione”), si intende la modalità percettiva sincronica, risultato della sollecitazione fisica di un solo senso, che attiva la sollecitazione mentale di una o più modalità sensoriali, pur in assenza di un corrispettivo stimolo fisico.
Le sensazioni hanno uno stretto legame con il linguaggio, con un vocabolario di parole, segni, suoni… con il quale descrivere, comunicare, fissare nella memoria cose e fatti. La conoscenza, dunque, si fonda sull’azione simultanea di diversi elementi visivi e sonori e procede per montaggi analogici che sviluppano la scena libera dalle costrizioni logico-consequenziali. La sola osservazione visiva o il semplice stimolo sonoro fungono da anticipazione percettiva per le altre modalità, attivando cioè la formazione d’immagini mentali che precedono la percezione dell’oggetto, della persona, dell’idea o della situazione… in tutti i suoi caratteri.
Partendo da questi due elementi, io cerco, nel mio piccolo, di creare un’esperienza; ovvero, dei paesaggi audiovisivi che attraverso la stimolazione indiretta delle altre sfere percettive, facciano immergere le persone in una dimensione dinamica, molteplice e sensibile, la quale sarà poi tradotta dalle stesse, in una o più emozioni.
La tua musica potrebbe sembrare particolarmente astratta, ma in realtà c’è qualcosa in particolare che vuoi comunicare al tuo ascoltatore?
Il progetto che porto avanti dal 2013 si alimenta della mia formazione audiovisuale, in quanto si basa sul concetto wagneriano, poi ripreso da Kandinsky, di “Arte Totale” e dalla potenza conoscitiva della “sinestesia”. Dunque, ciò che mi interessa è l’interazione di più forme espressive, in particolare, del segno grafico, del suono e dello spazio, che cerco di plasmare servendomi della tecnologia e dei nuovi media digitali, con l’intento di proporre esperienze di fruizione multisensoriali e multimodali, segnate dal contemporaneo coinvolgimento della dimensione corporea, emotiva, cognitiva e sociale. Il mio intento, quindi, è quello di creare dei “suoni visivi” e delle “architetture sonore”, ambienti immersivi, mondi paralleli nei quali le persone si lascino avvolgere e si immergano totalmente in modo da poter sentire le loro vere emozioni. Inoltre, John Cage affermava che “la composizione musicale è il frutto dell’intreccio tra il suono e il rumore della vita". Acquisita questa consapevolezza, ho improntato il mio progetto sullo studio e l’elaborazione di questa entità fisica, del suo aspetto materico e organico e mi sono concentrata sul suono come flusso dinamico e molteplice, vivo, organico e tattile; per l’appunto, come un elemento percepito attraverso l’utilizzo di più sensi, del quale poi modifico e altero parametri come la frequenza, l’ampiezza ecc., e più precisamente, mi concentro sull’intensità sonora ed emotiva.
I tuoi album sono ovviamente rivolti a un pubblico di nicchia, dedito all'ascolto di musica elettronica di ricerca. Quali sono stati i musicisti, se ci sono stati, che ti hanno fatto appassionare a questo mondo sonoro e decidere di farne parte?
Sono una persona molto curiosa e mi lascio contaminare da tantissimi campi e generi. Questo è il motivo per il quale ho sviluppato un progetto più articolato che non prevede solo la sfera sonora e che conta su diverse influenze. Le maggiori sono: la poetica dell’Arte Astratta in particolare le opere di Kandinsky, Klee, Klein; il minimalismo del movimento Bauhaus e l’organicità dell’Architettura Scandinava; le sinestesie di Proust, la sensibilità di Pavese, Calvino e Majakovskij, la ribellione di Irvine Welsh, il cinismo di Kafka; le rappresentazioni “graphic score” di Cage, Eno, Ligeti, Iannis Xenakis e Roman Haubenstock-Ramati; il cinema espressionista tedesco ed esistenzialista francese; la dimensione onirica di Fellini, Lynch e Mirò; la fotografia evanescente di Andrej Tarkovskij, la multimedialità di Bill Viola, di Studio Azzurro e di Ryoji Ikeda. Mentre musicalmente, l’etichetta 12K e l’album “Haunt Me, Haunt Me Do It Again” di Tim Hecker (per le ambientazioni sospese), la scena minimal wave, post-punk e synth-pop degli anni 80 e progetti più recenti come Tropic of Cancer e Marie Davidson; gli arpeggiatori e i sequencer analogici di Doris Norton, del duo Chris & Cosey e dei Tangerine Dream; i classici e i padri dell’elettroacustica e della musica concreta (in particolare, Stockhausen); la scena elettronica e minimal techno con gli artisti della Raster e della Northern Electronics, Polar Inertia, Ancient Methods, Silent Servant, GAS, SHXCXCHCXSH, Miss Kittin… e la scena industrial techno - Ebm prodotta da etichette come Pinkman Records e Mannequin Records.
So che segui molto il cinema, c’è qualcosa di cinematico nella tua musica o tieni le tue due passioni separate tra loro?
In me, non si può scindere la componente visuale da quella sonora; sono anime di uno stesso corpo, si completano e si intrecciano formando una mia personale poetica, definibile, per molti, come: complessa, dinamica, organica, molteplice e multisensioriale. Ho sempre avuto un’attrazione e una curiosità molto forti verso il mondo dell’audiovisivo; infatti già durante la mia infanzia ricordo una spiccata propensione per lo storytelling, un innato bisogno di spettacolarizzazione e un massiccio e frequente uso della creatività. Costruivo mondi immaginari, storie fantasiose che mi piaceva, in quegli anni, illustrare, e poi durante l’adolescenza, descrivere e cristallizzare in lunghi e contorti racconti. Creare queste mie nuove verità era il modo con il quale appagavo, silenziavo e combattevo il senso di solitudine, di vuoto e di insoddisfazione, frutto della monotona, ottusa e triste vita di provincia e della mia genetica irrequietezza interiore. Più non mi piaceva quello che vedevo, sentivo e vivevo e più la mia mente elaborava e restituiva delle realtà alternative. Realtà che, con il tempo, si sono animate assumendo forme definite e avvolgenti e risuonando in vibrazioni tangibili e armoniose.
Due esperienze, in particolare, mi fecero capire, più avanti, che avrei potuto rendere produttiva questa mia attitudine e che queste bizzarre compagne sarebbero state l'essenza dei miei studi, del mio lavoro e, in generale, del mio linguaggio artistico. La prima fu nel 2013 all’Accademia tedesca di Villa Massimo a Roma, in occasione dell’Electric Campfire, evento organizzato nel mese di settembre da quella che, all’epoca, si chiamava Raster Noton. Durante le performance, rimasi incantata nel vedere l’interazione e la coordinazione tra figure astratte e ritmi concreti; così, poco dopo, decisi di avviare, anche io, una ricerca che partiva da tale relazione alchemica. Altro momento fondamentale per la mia formazione audiovisiva è stato l’incontro con il cinema espressionista tedesco, con le Avanguardie artistiche di primo e secondo 900 e il film capolavoro di David Lynch, "Eraserhead", di cui considero le soundtrack tra le più belle e significative opere di sound design mai prodotte prima. Attraverso il lavoro di questi artisti, capì la reale e infinita potenza del suono, inteso come entità fisica, viva e sensibile e la stretta corrispondenza tra le due sfere sensoriali.
In conclusione, la musica, per me, non è fatta di sole frequenze ma, ad ogni nota o passaggio, corrispondono un’immagine, un luogo ben delineato. Per questo motivo, ogni mia produzione si presenta come una storia, un’esperienza, da percepire con molteplici sensi.
Hai esordito nel 2017 con "Verneshot", puoi parlarci di quali erano le tue idee in quegli anni e se poi sono cambiate?
"Verneshot" è stato un salto nel vuoto, una rivoluzione silenziosa, una speranza inaspettata… Nel 1865 il romanzo di Jules Verne “From the Earth To The Moon” introdusse il concetto di un proiettile balistico che sfuggiva alla gravità della Terra, da cui Phipps Morgan e altri derivarono il nome "Verneshot" per identificare una serie di eventi ipotetici di estinzione e di espulsione del gas cratonico. I fenomeni descritti potevano essere abbastanza forti da lanciare una quantità estrema di materiale dalla crosta e dal mantello in una traiettoria sub-orbitale e generare una violenta forma di distruzione di massa, caratterizzata da un terremoto di suoni e da un capovolgimento delle normali regole di sopravvivenza dell’ecosistema. "Verneshot" è stata la mia esplosione… la mia emancipazione… la mia sopravvivenza… e per molti aspetti, la mia rivincita…
A livello sonoro, le mie produzioni iniziali tendevano a generi più sperimentali come la drone music, l’ambient e la musica atonale. Questo perché non avevo un setup professionale; creavo la maggior parte dei suoni attraverso vst oppure con la chitarra che stretchavo e modellavo digitalmente. Attualmente, invece, lavoro per layers, effettuando un gioco di sovrapposizione, “un taglia e cuci” di campioni creati con strumentazione analogica o field recordings e poi modellati in modo da ottenere qualcosa di uniforme. L’approccio a "patchwork", su cui si basa il mio processo creativo, deriva dagli studi di design e dagli insegnamenti di grandi professionisti come Bruno Munari e i docenti del Bauhaus.
In "Lithium Salt" (2018) hai collaborato con Edoardo Cammisa e hai registrato “Food Is Our Cancer” che ho definito come un manifesto politico. Ci racconti la genesi di questo brano?
Con “Food Is Our Cancer” ho voluto esorcizzare uno dei momenti più delicati e intensi della mia vita.
A un certo punto, da "Inner Spaces Like Anechoic Chambers" (2019) la tua musica diventa più ricca di elementi ritmici, cosa ti ha fatto propendere per questa scelta?
Concepisco ogni progetto come una crescita e una sfida differente dalle precedenti; sono mossa da un’idea specifica, in cui mi pongo degli obiettivi e cerco di lavorare su un aspetto in particolare del suono. In "Inner Spaces Like Anechoic Chambers" mi sono focalizzata sulla contrapposizione di atmosfere dark-ambient e di ritmiche industriali ossessive e martellanti. Mossa poi dalla necessità di approfondire certe sonorità e influenzata dai miei ascolti new wave, industrial e minimal techno, ho dato vita a un secondo progetto, un alter-ego ritmico: Blue Like A Paradox.
Queste mie due entità musicali sono, però, sfumature diverse di una stessa tinta blu, colore con il quale mi identifico totalmente. Ad accomunarle è anche la mia timida e utopica aspirazione nel ricercare infiniti possibili. Il blu (Camilla), quindi, è più di un colore. È più di uno stato d'animo, una sensazione, o la frequenza con cui possiamo vedere la fiamma super-calda. È uno stato dell'essere... descrive. Può essere violento come il rosso, moroso e presagio come il nero, o puro come il bianco. Il blu, come elemento apparentemente magico, sembra abitare un mondo a sé stante, attraverso il quale entriamo e usciamo.
"Blue Like A Paradox" è nato a seguito di un’esigenza, quella di distinguere il mio progetto audiovisivo da una nuova ricerca basata principalmente sull’unione di pad atmosferici cupi, riverberati e surrealisti (sonorità queste che contraddistinguono e accomunano un po’ tutto il mio lavoro) con sequenze ossessive, meccaniche e fredde. Si muove, dunque, intorno a suoni minimalisti e decadenti, timbri industriali e schizofrenici, giochi di alterazioni spazio-temporali con cui costruisco e modello sculture risonanti di terrificante ambiguità.
Dunque, durante il processo creativo, mi sono scontrata con questa mia bipolarità musicale e con la voglia di lavorare materia nuova, qualcosa che non sapevo ancora gestire; ovvero, il ritmo, elemento fondamentale della vita e delle sue dinamiche e che completava la mia tavolozza sensoriale e sonora. Con il tempo, però, ho realizzato che non c’era nessun dualismo e che mi riconoscevo completamente in BLAP, in quanto l’elemento ritmico faceva ormai parte del mio linguaggio artistico e aveva contaminato anche il progetto audiovisivo.
Convinta che ”non esiste un movimento che non abbia un ritmo” e che sia questo a renderlo pulsante, reale e concreto, ho iniziato a concentrarmi sempre di più sul timbro e sulla potenza della ripetizione ritmica. Attualmente, il mio lavoro consiste nell’avere la sensibilità e l’abilità di catturare determinati momenti per manipolarli, adattarli e inserirli nelle ambientazioni dilatate e vibranti appartenenti alla mia immaginazione.
Uno dei tuoi brani più interessanti è “Music Makes Victims”, dall’album Frozen Alchimia (2020), che ho descritto come “imponente come un brano di Irisarri e cinematico come uno di Vangelis”. Sei d'accordo con questa descrizione e cosa volevi dire con questo titolo?
"Music Makes Victims" è un brano a cui sono molto legata; mi trasporta e mi diverte così tanto suonarlo che lo propongo sempre nei miei live. Il titolo ha un duplice significato; il primo riguarda la sfera personale, in quanto la mia famiglia ha sempre visto con scetticismo questa mia passione e molte delle mie scelte professionali; l’altro, invece, appartiene alla sfera sociale, in quanto si pone come critica alle timide politiche di investimento e di sostegno da parte dello stato italiano nei confronti della categoria e delle arti in genere; tale indifferenza porta, anzi, costringe tanti artisti ad andare all’estero pur di esercitare la professione o a cercare un altro impiego considerando la musica un’attività “ricreativa” a cui dedicarsi nel “tempo libero”.
Con "Nausea Is A Noble Feeling" (2020) ti sei ispirata al filosofo Heidegger e in particolare mi hanno colpito sedici minuti di “I've Never Been Able To Wedge My Smiles And My Panic Attacks”, che mi hanno ricordato qualcosa di John Carpenter. Potrebbe essere anche essere il tuo brano più ambizioso, sei d’accordo?
L’Ep si ispira al concetto d’amore professato dell’intellettuale francese Simone de Beauvoir, che lo definisce “la forma più alta di libertà personale e rigenerazione dei rapporti sociali”. “Desidero che ogni vita umana sia pura e trasparente libertà”. Influenzata dal pensiero di Heidegger, comprende come l’essere umano, una volta gettato nel mondo con la sua nascita, sia condannato dalla sua stessa libertà, perché costretto a essere responsabile di tutto ciò che fa. Di conseguenza, l’esistenza dell’individuo precede la sua essenza: ognuno di noi è definito non dalla propria natura, ma dal suo pensiero che si trasforma sempre in azione. La responsabilità individuale, oltre che essere la dimostrazione della libertà che caratterizza la condizione umana, è allo stesso tempo un fardello da portare per tutta la vita, che si manifesta in ogni momento in cui si è chiamati a prendere una decisione: scegliere è concepito come un processo privato e sociale insieme. Quindi, lei stessa ambisce all’incoscienza della purezza dei sentimenti e all’intelligenza di saper piegare il tempo, dell’abbandonare tutto per poi ritrovarlo.
"Nausea Is A Noble Feeling" è stato creato e rilasciato nel 2020, anno in cui abbiamo riflettuto tutti sul significato di libertà e sulla sua importanza, impossibilità ed evanescenza. A livello concettuale, ha anticipato il mio ultimo lavoro, "Phant[as]", incentrato sul concetto di “illusione”, di cui parlerò meglio più avanti. Il brano “I've Never Been Able To Wedge My Smiles And My Panic Attacks” si pone come un lungo rito ancestrale, un flusso ritmico… una danza ipnotica che è stata magnificamente diretta, immaginata ed effettata dalla talentuosa visual artist Sara Bonaventura, che ha realizzato un video presentato su FACT Magazine e selezionato in diversi festival internazionali dedicati alla videoarte.
Rimandi alla fantascienza ricorrono spesso nei tuoi dischi, dal tema di "Vernershot" alla cover in stile Urania di "Inner Spaces Like Anechoic Chambers". C’è un motivo particolare?
No, assolutamente. Non sono un’estimatrice del genere. In "Verneshot", mi sono ispirata al romanzo di Jules Verne “From The Earth To The Moon”, in quanto il fenomeno scientifico descritto nell’opera identificava perfettamente la mia condizione emotiva e ciò che volevo comunicare con l’album. Mentre, in "Inner Spaces Like Anechoic Chambers", la scelta dell’artwork è stata indotta dall’etichetta Mu Versatile Label che aveva adottato per la collana NUIT, di cui fa parte la release, il layout della cover di Urania.
Il tuo ultimo Lp è "Phant[as]" (2022) nel quale, tra le tante cose citi Brian Eno. Puoi parlarci di questi album e del tuo legame con la musica di Eno?
"Phant[as]" è un viaggio all’interno del mio immaginario orrorifico, un incubo lucido alimentato dalle mie tante guerre interiori. Le 9 tracce sono come specchi che proiettano i miei pensieri più oscuri, lanterne delle mie paure più intime. Il progetto è influenzato dalla Fantasmagoria, una forma di teatro diffusasi maggiormente a Parigi nel XVIII secolo, nella quale venivano proiettate immagini di scheletri, demoni e fantasmi su muri e/o su delle lenzuola. Durante questi spettacoli, si veniva a creare un rapido susseguirsi di luci, fumo, illusioni, fantasmi e spettri che ingannavano e stupivano il pubblico. Gli spiriti si presentano sotto una moltitudine di forme diverse; alcuni di loro escono fuori avvolti in una nube e sembrano rivestirsi di un corpo per poi scomparire; altri appaiono in lontananza e crescono gradualmente e dopo essersi avvicinati ai presenti si ritirano decrescendo nella stessa maniera. Altri ancora, si scontrano contro il volto degli spettatori come a tentare di toccarli e poi, all’improvviso, si dissolvono nel buio.
L’album, quindi, ruota intorno al concetto di “illusione” da intendersi come un rapido susseguirsi di immagini, suoni, colori, oggetti, azioni che colpiscono vivamente i sensi e la fantasia mostrando figure irreali e intangibili, ma comunque visibili e paralizzanti, proprio come lo sono le nostre paure. In ogni traccia, infatti, affronto un mio turbamento diverso, pensieri negativi che mi appartengono e hanno condizionato gli ultimi anni della mia vita (marzo 2020 - febbraio 2022) e che descrivono una triste condizione condivisa da gran parte dei miei coetanei (relazioni tossiche; precarietà e sfruttamento professionale; immaterialità del futuro, tradotto in frustrazione, stanchezza/disperazione, spaiamento, claustrofobia e voglia di evasione; angoscia, panico e senso di impotenza nei confronti della natura e della malattia). Il progetto si presenta come un’esperienza catartica in cui esorcizzo i miei fantasmi mentali e li affronto, sfido e combatto con l’arma potente, intensa e persuasiva del suono, composto di ritmiche ossessive e atmosfere evanescenti. Infine, il riferimento alle Lanterne magiche è legato alla mia ricerca nel campo dell’audiovisivo poiché, esse furono le prime performance in cui si tentava, attraverso l’unione di rappresentazioni grafiche in movimento, giochi di luci e del sonoro, di ottenere nel pubblico un maggiore coinvolgimento sensoriale ed emotivo.
Per quanto riguarda il legame con il progetto di Brian Eno, la sua influenza nella mia ricerca artistica è totale sia a livello concettuale (condivido con il Maestro l’attenzione verso la multisensorialità dell’arte e l’istintiva propensione della mente umana al linguaggio sinestetico), sia a livello stilistico (cerco di associare ogni suono a una dimensione visiva o attraverso la creazione di graphic scores (di riferimento la partizione grafica di "Music For Airports") o con associazioni sensoriali, come quella da lui teorizzata in "Light Music", tra colore/luce e frequenza sonora.
Ti piacerebbe un giorno registrare la colonna sonora di un film? E’ una cosa a cui hai pensato?
Sì, certo! mi interesserebbe lavorare a una colonna sonora o a una sonorizzazione. Ultimamente, ho fatto un piccolo esperimento adattando il brano “Endorphins In Oststrand” alla pellicola tedesca del 1929 “Menschen am Sonntag” (regia di Robert Siodmak e Edgar G. Ulmer). Il risultato è stato uno scambio entusiasmante tra l’elemento visivo e quello sonoro in cui le immagini hanno restituito un contesto alla traccia, delineando i confini psico-fisici entro cui l’ascoltatore può muoversi, e il brano, a sua volta, ha arricchito il video di un’enorme carica emotiva.
Che progetti hai per il tuo futuro prossimo?
Non prendendomi molto sul serio, non ho programmi da rispettare né pressioni di alcun genere; suono principalmente perché mi fa stare bene e voglio portare avanti la mia ricerca. Quindi, mi lascio trasportare dagli eventi, dalle sensazioni e soprattutto dalle intuizioni. Attualmente, sto lavorando a un nuovo album in cui introdurrò il suono intimo della mia voce. Penso che questa sia la sfida più grande che mi sono posta finora a livello artistico, perché richiede un mettersi a nudo estremo, per non dire totale, ma anche una certa flessibilità, al fine di raccontare, giocare e simpatizzare con i propri mostri, senza però venirne inghiottiti. Questa adesso è la mia priorità. Poi, a fine aprile, ritornerò nella mia tanto amata Berlino per esibirmi al Theater im Delphi, in un evento organizzato dagli amici del collettivo Waxing Phases. Non vedo l’ora! Grazie del tuo/vostro tempo!
Verneshot (Ovunqve, 2017) | |
Lithium Salt (Sounds Against Humanity, 2018) | |
Inner Spaces Like Anechoic Chambers (MU Versatile Label, 2019) | |
Frozen Alchimia (Midira Records, 2020) | |
Nausea Is A Noble Feeling Ep (Camilla Pisani Self-released, 2020) | |
Phant[as] (Aesthetical, 2022) |
Cerebral Squirting (da Inner Spaces Like Anechoic Chambers, 2019) | |
The Father's Grip (da Frozen Alchimia, 2020) | |
Abrasive Euphoria (live, da Phant[as], 2022) | |
Tales for Violent Days (da Phant[as], 2022) |