Con e senza i suoi Celeste, band di culto del prog italiano, il tastierista e batterista sanremese Ciro Perrino rappresenta un nome importante del sottobosco musicale nazionale, con una carriera lunga ormai oltre mezzo secolo. Lo incontriamo per una chiacchierata in cui attraversiamo la sua avventura dagli esordi a oggi, toccando gli innumerevoli progetti di cui ha fatto parte nel mezzo.
Salve Ciro. Raccontaci come nacquero i Celeste e come trovaste i primi contatti con l'industria discografica. Celeste nacque dalla dissoluzione de Il Sistema, band seminale che fu attiva dal 1969 sino agli ultimi mesi del 1971. Avevo dato vita insieme a Luciano Cavanna, il bassista e cantante, a quella realtà che ci aveva portato a creare un genere del tutto particolare che costituiva, a nostra insaputa, il prodromo dei quello che anni più avanti sarebbe stato denominato
progressive rock.
Con Leonardo Lagorio, unico superstite insieme a me, di quella formazione decidemmo di realizzare una nuova visione musicale sulla base di presupposti leggermente discostanti dal rock imperante e di dirigerci verso uno stile più "mediterraneo" e verso le tradizioni della musica classica italiana. Il primo contatto con la discografia fu tra i più facili. Infatti Il Sistema era stato sotto contratto con l'agenzia di promozione e organizzatrice di concerti di Nico Di Palo, per cui l'incontro con Vittorio De Scalzi che stava creando l'etichetta Grog fu questione di un attimo (ndr: Di Palo e De Scalzi erano entrambi membri dei New Trolls). Lo stesso Vittorio partecipò a una delle nostre sessioni di prove, si innamorò delle nostre soluzioni e ci propose immediatamente un contratto per un primo disco.
I Celeste iniziano a registrare l'album di debutto nei primi mesi del 1974 e terminano all'inizio del 1975. Come mai le sessioni si protrassero per un anno?
Certo, la gestazione fu piuttosto lunga e travagliata. Le prime prove che portarono poi alla realizzazione di "Principe di un giorno" iniziarono nel settembre del 1972 e si protrassero sino alla registrazione iniziata nel 1974. Il nuovo stile non poggiava su canoni soliti e riconosciuti per cui, una volta pronto il progetto, vuoi per paura, vuoi per mancanza di coraggio di proporre qualche cosa fuori dagli schemi da parte dei produttori discografici, il master finì in un cassetto per poi uscirne un anno dopo nel 1976 quando il fenomeno dell'ancora non chiamato progressive rock stava scemando.
"Celeste" (aka: "Principe di un giorno") è un disco intriso di Mellotron. Cosa vi colpì di quello strumento e come arrivaste a possederne uno? Se ti va, spiega anche le sue meccaniche di funzionamento. Ah, il Mellotron! Dai tempi di "
Nights In White Satin" dei
Moody Blues ero rimasto affascinato da quel suono così caldo, che rimandava a quello di un'orchestra. Ma io all'epoca ero prevalentemente un batterista per cui mi sembrava uno strumento estraneo. Attraverso l'ascolto di altri artisti mi giunsero nuove sollecitazioni che mi portarono a interessarmi allo strumento.
Come dimenticare i
King Crimson! Il desiderio di possederne uno, di Mellotron, si faceva sempre più impellente. Il problema era che il suo costo, a parte la reperibilità in Italia piuttosto difficoltosa, era altissimo tale da scoraggiare chiunque non fosse facoltoso. Ma non mi diedi per vinto e, aiutato da mio padre, che, in silenzio e con grande discrezione, mi ha sempre sostenuto nei miei viaggi musicali, riuscii a acquistarne uno poco prima di entrare in sala di registrazione con Celeste.
Il Mellotron era comunque – parlando di quelli dei primordi, l'M400 per intenderci – uno scatolone ingombrante, malfermo sui suoi delicati piccoli sostegni di legno nero, assolutamente non attendibile dal punto di vista della resa tecnica (i nastri si incastravano perennemente nei loro "corridoi" dedicati). Una vera incognita ogni volta che si abbassava un tasto. Non si era mai sicuri, al passaggio successivo su quella nota, che la molla avesse fatto il suo lavoro riportando in posizione il nastro portante del suono. Un incubo! Ma il suono… magia pura!
Le recensioni all'epoca non furono particolarmente positive. Come reagiste al riguardo?
Reagimmo con un certo disappunto. Purtroppo, come accennai in un'altra mia risposta, il fatto che l'album uscì, diciamo, fuori tempo massimo pregiudicò l'attenzione da parte del pubblico e dei commentatori che seguivano già altre realtà che andavano affacciandosi sulla scena musicale. Restò nel silenzio apprezzato da pochi appassionati sino a quando fu riscoperto all'inizio degli
anni Ottanta.
Cosa portò allo scioglimento della band? Avvenuta peraltro mentre stavate registrando un nuovo album…
Le solite divergenze. Ma prima fra tutte fu la mia presa di posizione nei riguardi delle scelte degli altri componenti della band che non volevano fare il famoso "salto nel buio" e cercare almeno per un certo periodo di dedicarsi solo ed esclusivamente al portare avanti un discorso basato su un impegno costante.
In pratica, la mia richiesta era di passare dal semi-dilettantismo a un totale professionismo assumendosi tutti i rischi del caso. Ma purtroppo alcuni non se la sentirono di lasciare il posto di lavoro fisso e sicuro per la band e, per me, a quel punto non aveva più nessun valido motivo il continuare così, senza uno scopo e un programma preciso. Stavamo ultimando un nuovo album che era già praticamente pronto. I provini erano perfetti e presentavano una svolta jazz-rock. Io avevo abbandonato la batteria e iniziavo a dedicarmi alle tastiere, al flauto, alle percussioni tipo marimba e xilofono e a scrivere materiale e non solo testi. Ma verso la prima metà del 1977 la situazione ormai insostenibile degenerò e… ognuno per la sua strada.
La riscoperta del disco giunse grazie alle ristampe giapponesi (in vinile nel 1981, in Cd nel 1987). Anzitutto, come avvenne che in Giappone ristamparono quei dischi? Foste coinvolti o ne veniste a conoscenza dopo? In secondo luogo: come reagiste quando, grazie a quell'iniziativa, il vostro culto iniziò a espandersi anche in Occidente.
Qui tutto molto semplice. Venimmo a conoscenza della pubblicazione in Giappone nel modo più fortuito e banale. Ci giunse notizia da altri musicisti, un tempo legati anch'essi da contratto con la Grog, che il loro album era stato pubblicato in Giappone. Di lì a scoprire che l'intero catalogo della Grog e della Magma era stato concesso in licenza a un'etichetta giapponese fu davvero un attimo. Nessuno ebbe l'accortezza e la gentilezza di informarci. Infatti, tra l'altro, non abbiamo mai percepito una sola lira da quell'operazione. Quindi direi come reazione vi fu un misto di gioia e stupore insieme al disappunto di non essere stati né informati, né gratificati con anche un seppur minimo compenso, peraltro previsto nei contratti. L'interesse per la band, che prima era quasi caduta nel dimenticatoio, iniziò a crescere e fu lì che decisi di fare rete (ma ancora non esisteva il Web) creando liste, indirizzi e quant'altro, che oggi chiameremmo mailing list, di appassionati che si sono rivelate utilissime al momento della riproposta nel 2019 di Celeste con l'album "Il risveglio del principe".
Durante gli anni Settanta, oltre ai Celeste, hai fatto parte di molte altre band, di cui hai pubblicato molto materiale all'inizio degli anni Novanta. Il Sistema, La Compagnia Digitale, gli SNC e i St. Tropez. Parlaci di loro. Dopo alcuni anni di "adolescenza" musicale spesa con complessi (questo era il nome delle band negli
anni Sessanta), nel 1969 approdai per la prima volta a far parte di un organico deciso a percorrere strade più serie per intraprendere una vera e propria attività
on the road, fatta di concerti e serate. Mi riferisco alla creazione de Il Sistema, gruppo con il quale girammo in lungo e in largo tutta l'Italia, arrivando a esibirci nella a noi vicina Costa Azzurra. Conclusa quell'esperienza nell'autunno del 1971, dopo una pausa durata meno di un anno, vi fu il periodo Celeste che si concluse nella primavera del 1977, quando iniziò immediatamente l'avventura con St. Tropez, altra "creatura musicale" ricca di sfumature di rock psichedelico e atmosfere (tanto per darne un'idea) alla
Gong o alla
Steve Hillage.
In seguito, ma fu davvero una meteora, vi fu La Compagnia Digitale, che lasciò come sola testimonianza la registrazione dell'unico concerto tenutosi nell'agosto del 1979, divenuto poi un Cd e un vinile rimasterizzato nel 2022. Da lì in poi, dopo l'ennesima dissoluzione, inizia la mia carriera solista con la pubblicazione nel 1980 di "Solare".
La tua carriera in proprio inizia con dischi di musica elettronica vicini ai corrieri cosmici tedeschi e alla new age, che si distanziavano quindi non poco dalle tue cose precedenti. Come emerse la necessità di tentare questa nuova forma espressiva? E quali tecnologie usavi all'epoca? Per natura sono curioso e adoro sperimentare, esplorare nuovi campi, fare esperienze continue. Da quando, quasi per gioco acquistai il mio primissimo synth (un arcaico Davoli Synth) non ho più smesso di allargare il mio parco di sintetizzatori, batterie elettroniche e poi campionatori e tastiere. "Solare" nel 1980 fu l'acme di questa nuova impostazione, già peraltro iniziata anni prima all'interno delle band con le quali suonavo. Ad esempio, con St. Tropez e La Compagnia Digitale facevo largo uso di sintetizzatori e sequencer. Fra gli altri Minimoog, Arp 2600, Eminent, Arp Omni-2, Mellotron, Korg, ecc.
I tuoi anni Novanta si caratterizzano per la pubblicazione di molto materiale d'archivio, ma anche per la continuazione della tua carriera in proprio. Parlaci degli album del periodo.
Sì, gli anni Novanta sono stati ricchi di riscoperte e di conseguenti ristampe. Sin dai primissimi gruppi con i quali suonavo già dagli anni Sessanta, ero solito registrare maniacalmente le sessioni delle prove. L'intento era quello di potersi riascoltare in seguito, con calma, per verificare e cercare di migliorarsi. Ma siccome non cancellavo quasi nulla, quasi senza accorgermene, accumulai una massa di materiale, costituito principalmente da centinaia di musicassette. Fu così che venne a crearsi un archivio immenso. Ho ancora le registrazioni del mio primo complesso importante che si esibiva nelle sale da ballo e discoteche suonando cover dell'epoca.
Poi venne Il Sistema. Dal 1969 sino al 1971 registrai ogni giorno nel locale che avevamo adibito a sala prove tutte le sessioni. Da quelle registrazioni furono ricavati i primi Cd e ancora oggi ne pubblico periodicamente mantenendo vivo l'interesse per questa band seminale. E poi riscoprii le registrazioni del secondo mai pubblicato album di Celeste, che uscì con il titolo di "Celeste II" solo in vinile. Contemporaneamente ridavo fiato alla mia carriera solista interrottasi per dieci anni dopo "Solare", realizzando nel 1990 "Far East", nel 1992 "The Inner Garden", nel 1994 "Moon In The Water", nel 1997 "De rerum natura", nel 2001 la prima versione de "L'isola" insieme a un'intera orchestra sinfonica, e via via "L'isola" nella versione per piccolo ensemble nel 2006, "Piccole ali nel vento" per pianoforte solo, nel 2011, e "Back Home", dato alle stampe nel 2016.
Cosa ti ha spinto nel 2019 a riprendere in mano il progetto Celeste? Progetto che da quel momento è risultato peraltro molto prolifico, con quattro album in cinque anni. Come mai questo improvviso ritorno di fiamma?
Già dal 2013 avevo ricevuto delle richieste da parte di fan e produttori vari con l'invito a ricostituire la band. Infatti gli addetti ai lavori sostenevano che l'interesse per Celeste nel tempo non era mai venuto meno, per cui un nuovo album avrebbe sicuramente incontrato i favori dei sostenitori. Ma non se ne fece nulla per l'indifferenza dei miei vecchi compagni di viaggio musicale.
Nel 2018, esaminando del materiale proveniente dai tanti brani - spesso appena accennati - che periodicamente archivio perché magari non giudico adatti a certi progetti, scoprii che avevo composizioni più che sufficienti a mettere insieme un nuovo Celeste con atmosfere vicine allo spirito originario della band. E fu così che nacque "Il risveglio del principe". Poi mi ha preso la mano e l'ispirazione continuò ad arrivare e a "Il risveglio del principe" seguì nel 2021 "Il principe del regno perduto" e poi ancora nel 2023 "Celeste With Celestial Symphony Orchestra" fino a questi giorni, in cui abbiamo pubblicato "Echi di un futuro passato". E ora andiamo avanti!
Parlaci dunque di "Echi di un futuro passato", uscito nel maggio 2024.
"Echi di un futuro passato" costituisce il quinto capitolo ufficiale della saga della band. Rispettando lo spirito e le atmosfere tipiche alle quali i nostri fan e sostenitori sono abituati, abbiamo effettuato una piccola sterzata verso un linguaggio più sciolto e vicino al jazz, ma nulla di che. Celeste è sempre Celeste: quindi
Mellotron, flauti, paesaggi sonori eterei e sognanti ma corroborati da una sezione ritmica molto pulsante e con diversi solisti che si alternano ai sax, alle chitarre elettriche e al violino.
Una domanda di stampo tecnico: che strumentazione utilizzi oggi? Come ti sei approcciato all'epoca della musica fatta al computer?
Oggi, come la maggior parte dei musicisti, ricorro spesso all'uso dei plugin che rappresentano un parco infinito di possibilità in alternativa agli strumenti classici che peraltro, in parte, ancora posseggo, ma che garantiscono una affidabilità che i "vecchi" sintetizzatori non sono in grado di offrire più. Già erano problematici ai tempi, ma non esisteva altro, per cui…
Adesso intonazione e stabilità nelle prestazioni sono irrinunciabili e si lavora nella più completa serenità. E poi avendo posseduto tutti quegli strumenti che oggi ho nella versione digitale, posso assicurare che sono decisamente più sicuri e assolutamente identici agli originali. Certo, il poter toccare fisicamente cursori, potenziometri, slider vari quando si edita un suono o lo si crea da zero… ma vi sono i Midi controller che restituiscono questa emozione per cui… nessun rimpianto.
Progetti per il futuro?
I miei progetti per il futuro sono molteplici. Riguardano Celeste in primis e poi vari aspetti della mia carriera solista. Quindi Celeste ha già in scrittura il prossimo progetto in previsione di release per la primavera 2025. Poi sempre per Celeste sto lavorando alla rilettura di alcune composizioni tratte dagli album che vanno da "Principe di un giorno" sino al penultimo "Celeste With Celestial Symphony Orchestra" per reinterpretarle con un'arpa celtica e con l'organico della band al completo più alcuni ospiti. L'idea è di risuonare tutto, ma con grande attenzione alle atmosfere più delicate, evitando di caricare troppo le esecuzioni. Quindi molto etereo e con l'arpa che reinterpreta i vari canti delle voci e delle melodie. Molto ambizioso, ma già lo sento realizzato.
In seguito un mio progetto da solista, per settembre 2024: il secondo album della serie "Absence Of Time", incentrato come il precedente su atmosfere dedicate alla meditazione, al rilassamento psicofisico.
E per ottobre 2024 l'uscita del terzo volume de Il Sistema intitolato "Uruk" per la serie "Il Sistema Edition", proveniente dal mio immenso archivio. Delle vere chicche! E poi ancora vorrei finalmente riuscire a terminare di preparare il secondo capitolo di "Solare" che sarà dedicato ai pianeti dimenticati.
(4/8/2024)