Un gruppo che prende il nome da "Il Pasto Nudo" di Cronenberg, film ispirato all'omonimo libro di Bourroughs, non poteva certo non essere intervistato per cena. Il tavolo, però, non è pronto, quindi cominciamo la nostra intervista nell'attesa. Da vestiti.
I Clark Nova nascono nel 1995. Undici anni per l'esordio discografico sono tanti.
Potenzialmente poteva anche non uscire alcun disco… Non trovo siano passati tanti anni, sinceramente. Devi tener conto che ci sono state parecchie esperienze che non hanno reso la storia della band lineare: io ho vissuto diversi anni all'estero e ci sono stati molti cambi di formazione. Il tempo è passato senza essercene resi conto.
Il disco non era affatto una priorità: la finalità era quella di divertirci e dato che ci siamo sempre divertiti - e tanto - mettere su un supporto quello che stavamo facendo per noi non era importante.
Non abbiamo mai cercato un contratto, pur rimanendo nel cuore delle etichette che hanno creato la sinergia per pubblicare "So Young": ci consideravano una live band.
Probabilmente, fino a due anni e mezzo fa, non avevamo il materiale sul quale, effettivamente, fare una proposta completa. Solo dopo aver inciso un demo di una qualità ottima, impiegando tantissimo tempo e trattandolo, di fatto, come un disco, ci siamo resi conto che volevamo qualcos'altro: volevamo, d'istinto, incidere un disco vero e proprio. Sono nati altri pezzi, che abbiamo rodato dal vivo il più possibile, e abbiamo scelto ti chiedere una produzione, un coinvolgimento, una presa di posizione da parte delle etichette che ci hanno sempre supportato.
Ecco com'è nato "So Young".
Nonostante sia passato molto tempo, è, comunque, "così giovane".
Vi ho visti suonare dal vivo un paio di volte e mi sono piaciute le diapositive proiettate su di voi durante il concerto. Vedo anche molta accuratezza nella realizzazione del libretto. Una grande importanza alle immagini, quindi.
Mh.
Mi sembra di aver capito che ti sei occupato in prima persona del libretto.
Non riuscivo nemmeno a pensare di affidare a qualcun altro il progetto grafico, anche perché ci siamo sempre occupati noi di tutto, compresa la produzione del disco.
Affidare a qualcun altro il layout del booklet sarebbe stato… rischioso, soprattutto perché noi siamo molto esigenti: vogliamo sempre esattamente quello che abbiamo in testa. Coinvolgere un'altra persona, farla entrare nell'ottica di quello che volevamo esprimere sarebbe stato troppo lungo, troppo macchinoso. La soluzione più semplice era quella di farci il booklet da soli.
Le diapositive fanno parte integrante dello spettacolo: quello che andiamo a proiettare dal vivo sono le estensioni visuali di quello di cui si parla nelle canzoni. Forse lo usiamo come espediente per dare un'ulteriore chiave d'accesso, anche perché la maggior parte delle persone che ci vedono dal vivo non conoscono i testi e dare loro un elemento in più, una chiave di lettura in più, è una cosa che ci rende comunque orgogliosi.
Vorrei potenziare questo aspetto, vorrei utilizzare delle immagini in movimento, se possibile. Penso che sia ora e che possa venire fuori qualcosa di interessante.
Eppure siete stati ben attenti a non comparire nel libretto. Neppure disegnati o stilizzati.
…Non è una cosa sulla quale puntiamo, per niente. Mi viene da dire che è coerente con una certa cultura del non apparire, che si ritrova anche in quello che diciamo nei testi: anche non apparire potrebbe essere una scelta di comunicazione. Potrebbe.
E tu, come ti sei posto? Hai lavorato anche al bellissimo booklet per il progetto Rizophonic. Quali sono state le differenze d'approccio?
Su Rizophonic mi sono posto come osservatore privilegiato: Mario Riso è un grande amico, il progetto è suo e pur essendo molto dentro, emotivamente, al progetto sono riuscito ad ascoltare quello che stava comunicando il prodotto finale (il disco è un'interminabile carrellata di ospiti e il ricavato delle vendite servirà per costruire pozzi d'acqua potabile in Africa, ndr) ed è stato molto più semplice.
Per il nostro è stato molto più difficile, perché dovevo riuscire a tradurre in immagini effettivamente quello che è sempre rimasto sospeso nel nulla, quello che ci siamo scambiati in studio e quello che ci scambiamo quando suoniamo dal vivo. La sfida era proprio quella di cercare delle iconografie, delle immagini che potessero essere tra di noi condivisibili, che andassero a catalizzare le sensazioni, i sentimenti, le passioni che hanno poi creato, a livello emotivo, tutto quello che è contenuto nel disco.
È stato facile?
È stato divertente. Devi anche sapere che ci ho lavorato molto nei giorni sotto Natale, in cui avrei dovuto solo preoccuparmi di godermi l'atmosfera natalizia, quando comunque vivevo in un periodo di massima libertà mentale ed è stato pazzescamente divertente perché alla fine ho… "esplorato" il disco… È un po' come dare un tocco in più.
Sinceramente non amo molto fare domande sui testi, però non posso esimermi dal chiederti cosa ti eri scolato prima di scrivere una canzone come "Mickey Mouse Was a FBI Agent".
(sorride) Quella canzone è nata in un periodo di grandissime letture di fumetti di fantascienza di serie B ed era divertente vedere Topolino - che poi è il personaggio che ti sta sempre molto antipatico - che viene a rompere le scatole proprio a te.
Topolino, fuori dalla carta, è il classico bacchettone guastafeste: collabora con la polizia, butta sempre l'occhio sul vicino per assicurarsi che non ci sia qualcosa che non va… insomma, un personaggio non poi così positivo.
In "So Young" ci sono tantissime presenze femminili. Come mai tante donne? Da dove arrivano?
...Non lo so… Tante volte le canzoni parlano anche di donne. Si cerca di vedere il punto di vista femminile. Probabilmente è una ricerca subconscia per capire le donne (sorride). Le donne sono protagoniste indiscusse, in positivo e in negativo.
Il punto di vista più curioso è il punto di vista femminile. Ovviamente sono gli occhi che ci guardano.
Bene, dunque. Dopo tutte queste donne, mi domando quale rapporto hai con le groupie. Le accetti o devono considerare il testo feroce di "Fancy" come un chiaro avvertimento di girare alla larga?
Una mia cara amica, Barbara Tomasino (autrice del libro "Groupie, ragazze a perdere", ndr), ha tentato di analizzare il fenomeno dall'interno e, devo dire la verità, il fenomeno è interessante, perché si è in presenza di una certa tipologia di donna, di ragazza, che è allo sbando istituzionale. È un po' come un insetto che gira intorno alla luce e finisce col bruciarsi.
È la volontà di capire quello che poteva essere stato veramente essere groupie e quello che significa magari oggi: la musica è cambiata tanto e non ci sono più i super-circhi miliardari che portano la band in tutto il mondo col jet privato. Quelli rappresentavano, di fatto, gli "aristocratici" del mondo rock. Ovviamente, come in ogni Casa Reale, ci sono le Damigelle di Corte ed è giusto, quindi, avere le groupie.
Oggi essere groupie è ancora più difficile, secondo me, perché devi fare i conti con le tue passioni e non con il tornaconto economico.
"So Young" è un disco talmente vario che c'è da domandarsi se non avete paura di perdervi dietro le troppe influenze e citazioni presenti nel disco.
No. Secondo me, no. Le citazioni che ci sono, sono state, innanzitutto, ben recepite e questo è una sorpresa perché la stampa ha capito perfettamente di cosa stavamo parlando, e poi perché non ce ne sono così tante.
Sono state trovate tante citazioni probabilmente senza che noi lo volessimo: volevamo esprimere la nostra passione per Pink Floyd, Spacemen 3, Jesus and Mary Chain… tutti gruppi che a noi piacciono tanto. Però, ad esempio, non sento nulla dei Mercury Rev!
Non sento la pressione della citazione perché forse una è stata ricercata veramente: quella degli Spacemen 3. Abbiamo anche chiesto a Pete Kember (in arte Sonic Boom, cantate e chitarrista degli Spacemen 3, ndr) di usare il testo originale di "How Does It Feel?" e se questa citazione è stata recepita, vuol dire che abbiamo imparato bene la lezione.
Il disco è molto vario perché è nato in dieci anni, è come un'antologia (sorride). Ci sono dei brani che sono stati registrati due anni e mezzo prima, con apparecchiature diverse. Li abbiamo re-incisi, ma abbiamo scelto di utilizzare le versioni originali perché ci sembrava che le nuove incisioni non avessero lo stesso impatto, quindi abbiamo remixato quello che avevamo già inciso.
Avete già cominciato a lavorare al prossimo disco?
Sì. In realtà non abbiamo mai smesso di scrivere. Ci siamo un po' disciplinati, perché siamo dei grandi perditempo, soprattutto in studio (sorride).
Ne abbiamo quattro da rifinire. Ovviamente noi siamo per il disco lungo, quindi siamo lontani dal dire che siamo a buon punto.
Parliamo del video di "The Poser".
Il video è stato girato dal collettivo Engioi che ci ha dato un supporto infinito…
Perché avete scelto di girarlo a Barcellona?
Di fatto il gruppo è nato a Barcellona: è stato lì che abbiamo scritto la prima canzone, durante una vacanza spensierata nel '95, quindi ci siamo tornati dopo dieci anni. Poi, io ho vissuto a Barcellona, proprio in Diagonal 461 (che dà il titolo a un brano del disco, ndr). Barcellona è stata una scelta molto semplice.
Stefano, è arrivato il momento della domanda banale.
Perché il cantato in inglese?
Perché è impossibile, secondo me, fare questo genere di musica in italiano: è un genere nato all'estero e trovo troppo pretenzioso tentare di localizzarlo.
Quali sono i vantaggi, se ce ne sono, e gli svantaggi di fare rock indipendente in un paese che, da questo punto di vista, è sempre stato periferico rispetto ai veri centri creativi?
Il vantaggio è di non morire di frustrazioni se non ce la fai (ridiamo), nel senso che comunque sai di star facendo una cosa di nicchia e hai anche la libertà di fare una cosa di nicchia.
In Inghilterra è più semplice finire in grandi calderoni di clichè nonostante tu stia facendo musica alternativa: se sei in un paese in cui la musica alternativa ha un mercato forte, inevitabilmente la possibilità di fare qualcosa di diverso - e avere la libertà di farlo veramente - è molto più ridotta.
Qui in Italia il mercato non è sviluppato, ma c'è una libertà di produrre e di creare che penso sia invidiabile. Anzi, meno ti infili in un binario e più le etichette ti vedono come una proposta interessante.
Dove il mercato è più sviluppato, non puoi stravolgere completamente, a meno che ci sia effettivamente qualcosa di molto forte da proporre.
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