Uno scambio di chiacchiere con Marcello e Angelo, il duo di cui si compone la realtà Great Saunites, alla scoperta della loro nascita, del loro variegato modo di comporre, della loro forma-suite, della tarda psichedelia storica. E della nuova distribuzione digitale.
Ciao ragazzi e benvenuti nella nostra webzine. Quando comincia di preciso la vostra storia?
Marcello: The Great Saunites nasce nel 2008, credo fosse settembre di quell’anno.
Come vi siete incontrati e quali presupposti - se ve ne sono stati - avete posto prima di iniziare a suonare e registrare?
M.: In realtà avevamo già suonato insieme, nei Linda Gruber. La storia è abbastanza un classico, eravamo entrambi sfiduciati per come si erano concluse le rispettive precedenti esperienze musicali, diciamo che in quel momento è nata l’idea di tentare qualcosa di diverso e di metterci in gioco. Alla soglia dei 30 anni ci sentivamo più giovani di quando ne avevamo 20 e di “mettere la testa a posto” non se ne parlava proprio. Presupposti? Serietà nel portare avanti il progetto e nessuna velleità personale, si può dire che abbiamo sposato il concetto di gruppo nella più forte accezione del termine.
Parlami, più in specifico, di come è nato il vostro interplay.
M.: Affinità musicali ce ne sono sempre state, come gruppo la nostra storia è inevitabilmente segnata dalla scelta di Layola (nick di Angelo Bignamini, ndr), da sempre chitarrista, di passare alla batteria. L’interazione musicale che ne è derivata è stata del tutto originale, frutto di jam in sala prove caratterizzate da un entusiasmo quasi primitivo.
L’umore psichedelico che vi contraddistingue, a tratti granitico e compatto e a tratti invece molto variabile e decostruito, si è sviluppato spontaneamente dalle vostre interazioni o l’avete pianificato in origine?
M.: Pianificato è una parola grossa, posso però dirti con certezza che The Great Saunites nella nostra testa è sempre stato un progetto non immediato, abbiamo sempre cercato di creare qualcosa che potesse arrivare all’ascoltatore in maniera non lineare, che richiedesse uno sforzo. Da questo punto di vista posso affermare che abbiamo pianificato un percorso che può rientrare nel concetto di psichedelia, il resto l’ha fatto spontaneamente l’alchimia che si è creata tra il basso e la batteria.
Hai citato prima “Layola”: nel vostro secondo disco “Delay Jesus” vi ribattezzate, o meglio nascondete le vostre identità in nick come Leonard Kandur Layola e Atros Al D. Come mai queste scelte? Cosa vogliono dire?
M.: In tutti i nostri dischi utilizziamo quei due nick ma risulterei bugiardo se ti dicessi che alla base ci sta un ragionamento sopraffino. In realtà per noi è una sorta di consuetudine un po’ grottesca e forse deriva dal fatto che vedere scritti i nostri nomi reali rischierebbe di darci un tono e un’identità che sicuramente sentiamo di non meritare.
La vostra è una propensione alle tracce lunghe, anche se non mancano esperimenti più brevi. E’ dunque questo il vostro format ideale?
M.: Abbiamo composto diversi brani di lunga durata, in particolare la nostra è stata una sorta di trilogia della suite. “Isaiah”, “Delay Jesus ‘68” e “The Ivy” sono tre dei brani di cui andiamo più fieri e che pensiamo ci rappresentino appieno, nonostante abbiano avuto una gestazione del tutto differente l’uno dall’altro. Più in generale il brano lungo ci consente di indugiare su quel senso di “straniamento”, a noi tanto caro, che ci porta a variare il mood del pezzo in maniera totale lungo tutta la sua durata, questo senza dover rinunciare alla ripetizione ipnotica del riff e del ritmo, che serve a noi per provare piacere. Ma anche all’ascoltatore per decidere se andarsene o lasciarsi trasportare insieme a noi.
Proprio la lunga “The Ivy”, la suite che dà il titolo al vostro ultimo disco, è il vostro apice, anche come durata. Come l’avete concepita? Come avete disegnato i suoi tratti tanto complessi quanto incalzanti?
M.: Anzitutto grazie, anche noi pensiamo possa essere un piccolo punto di arrivo per la band. “The Ivy” è un brano nel quale confluisce tutta la nostra musica e la nostra passione musicale. Per quanto riguarda il concepimento, tutto è nato dall’idea del collage sonoro…siamo entrambi grandi fan dei Faust e con “The Ivy” volevamo andare in quella direzione: una commistione di riff granitici e parti più free form. Questo brano inoltre segna per noi un ritorno massiccio alla fase di arrangiamento in studio, aspetto che avevamo un po’ accantonato dopo l’esperimento fatto con il brano “Isaiah” dal nostro primo album.
Dal primo “TGS”, interamente autoprodotto, colpisce appunto - tra le altre cose - il lungo, dissonante intermezzo di “Isaiah”. Da dove vi è venuto?
M.: E’ stato interamente improvvisato in studio su una traccia base di basso che doveva essere nelle nostre intenzioni una divagazione un po’ rumoristica e sfilacciata. La chitarra dal mood raga indiano e le tastiere sono state totalmente improvvisate sul momento e hanno inconsapevolmente dato una direzione al brano opposta a quella che avevamo in testa. Credo che non riusciremo mai a rifare “Isaiah” com’è venuta in quella registrazione. Sicuramente è il brano migliore che abbiamo mai composto.
In “Delay Jesus” avete lasciato perdere l’apporto vocale. Lo considerate un di più non così essenziale o semplicemente il vostro suono ha intrapreso direzioni differenti con quel disco?
M.: L'apporto vocale non è stato assolutamente accantonato se consideri che in “The Ivy” ci sono dei brevi intermezzi e anche nello split con la Lucifer Big Band (2012, ndr) c’è un brano, “Black City”, caratterizzato da un cantato. Per noi la voce può essere tanto caratteristica quanto gli strumenti, ma deve convincerci appieno e soprattutto essere spontanea, in questo senso l’esempio lampante di ciò che più ci ha soddisfatti è stata la collaborazione con Welles (il nick del vocalist del disco di debutto) sul nostro primo album “TGS”.
In “Delay Jesus”, ma ancor meglio in “The Ivy” compare un brano lungo che occupa un’intera facciata. State proseguendo il modus operandi classico della tarda psichedelia che abbiamo già citato, ma anche e soprattutto del periodo d’oro del rock progressivo. Come vi ponete nei confronti del prog?
M.: In realtà nell’ultimo periodo non stiamo ascoltando tantissimo prog e forse non lo abbiamo mai fatto. Siamo grandi fan dei King Crimson ma forse i gruppi a cui ci piace far riferimento in quell’ambito sono quelli nostrani, cito gli Area, il Balletto di Bronzo, il Banco del Mutuo Soccorso, gli Osanna etc..
Angelo, i tuoi progetti solisti: Billy Torello e specialmente Lucifer Big Band. Pensi che i Great Saunites li influenzino in qualche modo? O forse sono proprio una sintesi di questi tuoi progetti solisti?
Angelo: Non credo esista un filo conduttore fra Great Saunites e i miei altri progetti musicali. Quando sono Billy Torello esprimo un legame forte con un altro strumento che non è la batteria, mentre la Lucifer Big Band è un progetto d’improvvisazione elettronica che ha poco in comune con le sonorità dei Saunites se non per una certa influenza kraut compenetrante in entrambe le band. Mi piace pensare a tre individui diversi scaturiti da un’unica complessa personalità.
In tutti e tre gli album il vostro suono è delineato da basso e batteria, anche se non mancano di certo nuovi suoni (acustici piuttosto che pienamente elettronici). Avete mai pensato di allargare ad altri musicisti la vostra formazione?
Marcello: Assolutamente ci abbiamo pensato, però finora è sempre prevalsa l’idea che la formazione a due fosse perfetta. La nostra intenzione è di mantenere il basso e la batteria preponderanti nei Saunites, ma un terzo elemento potrebbe indubbiamente aiutarci a sviluppare certe idee che abbiamo avuto in studio, e che per forza di cose abbiamo potuto solo in parte riprendere dal vivo. In questo senso l’uso di loop e audio samples ci è stato di grosso aiuto finora.
La nuova distribuzione della musica via Bandcamp. Praticamente la vostra intera discografia è disponibile via download digitale (ma “The Ivy” è stato edito prima di tutto in un ottimo vinile, quindi non rinnegate di certo le origini della riproduzione fonografica). E’ una sorta di atto di piena fiducia verso la distribuzione del futuro?
M.: Hai detto bene, tutti i nostri album sono disponibili via download. Non rinneghiamo di certo il supporto musicale ma nello stesso tempo siamo favorevoli a ogni forma di distribuzione alternativa della musica, purché ciò consenta alle band e alle etichette di veder ripagati i propri sforzi, che non sono mai marginali.
Cerchiamo di trovare una morale della favola. Attraverso un patchwork di stili del passato e una rivivificazione della psichedelia, la vostra estetica è piuttosto di confine. Un confine non solo stilistico ma anche - coerentemente - di stilizzazione ed essenzialità di suono. Ti ci ritrovi?
M.: Direi di si! L’aspetto minimale e il territorio di confine su cui si staglia la nostra musica sono innegabili. Posto che credo sia impossibile creare qualcosa che si possa definire nuovo in ambito musicale, il tentativo di riproporre in maniera personale un qualcosa che inevitabilmente si è assimilato con ripetuti e appassionati ascolti, è ciò che di più dignitoso un musicista può ambire a realizzare.
Un grosso grazie da parte della redazione, a risentirci!
GREAT SAUNITES | ||
TGS (autoprod., 2010) | 6,5 | |
Delay Jesus 68 (Hypershape, 2011) | 6 | |
The Ivy (Hysm?, 2013) | 7 | |
Nero(Hypershape, 2016) | 6 | |
Green (Hypershape, 2016) | 5,5 | |
Brown(Hypershape, 2018) | 6,5 | |
LUCIFER BIG BAND | ||
Atto I (Bloody Sound Fucktory, 2012) | 7 | |
Ugo (autoprod. 2013) | 5 | |
Atto II (Bloody Sound Fucktory, 2014) | 6,5 | |
Atto III(Bloody Sound Fucktory, 2017) | 6 | |
CANIDE/GREAT SAUNITES | ||
Canide/Great Saunites (split) (Il Verso Del Cinghiale, 2012) | 6 | |
GREAT SAUNITES/LUCIFER BIG BAND | ||
Great Saunites/Lucifer Big Band (Ep) (autoprod., 2012) | 6,5 | |
GREAT SAUNITES & ATTILIO NOVELLINO | ||
Radicalisme Mecanique (Discreet, 2014) | 6 | |
PALMER GENERATOR, GREAT SAUNITES | ||
PGTGS (split) (Bloody Sound Fucktory, 2020) | 7 | |
BILLY TORELLO | ||
Vol. 1(Catsmice, 2007) | 6,5 | |
Ultime notizie dalla tartaruga - Chitarra Vol. 2(Spettro, 2012) | 6 | |
Il passato ha gli zoccoli(Fumaio, 2014) | 6 | |
FILTRO | ||
Riflesso(Upside Down Recordings, 2017) | 6,5 | |
Materia (Dokuro, 2018) | 4 | |
Forma (Nausea, 2019) | 5 | |
Opifici (Hemisphäreの空虚, 2021) | 4 | |
ANGELO BIGNAMINI | ||
Imperial Guitar (Tape Safe, 2016) | 6 | |
Ants and Orchids (Phonographiq, 2017) | 5 | |
Decay (Luce Sia, 2017) | 6 | |
Theoretical Shelters(Falt, 2018) | ||
Ottobre (mini, Manyfeetunder, 2018) | ||
Bugs (HologramLabel, 2019) | ||
#07/04/2018/Cotidie Morimur(split w. Arokin, Nausea, 2019) | ||
36(Powdered Hearts, 2019) | ||
Feu de Joie (Ambient Noise Session, 2021) | ||
Polaroids (Nausea, 2022) | ||
ATRX | ||
Phase One (Gypsy House Recordings, 2019) | 7 | |
Phase Two (Nausea, 2020) | 6,5 | |
Third Report (Zaimka, 2021) | 5 | |
A Glimpse Of Melody (Paravision Music, 2022) |