Joe Jackson

An Englishman in New York

intervista di Claudio Fabretti

Un pomeriggio particolare. All'altro capo del telefono c'è "The Man", l'ex-gangster Spiv, il Duca scontroso - come l'hanno ribattezzato ironizzando sul titolo del suo ultimo disco e sulla sua proverbiale ritrosia. E invece ogni luogo comune sul personaggio-Joe Jackson va a farsi friggere già dopo qualche istante. Perché il mio interlocutore appare tutt'altra persona: disteso, ironico (questo sì, come da copione) e, ancor più inaspettatamente, in vena di chiacchiere. Un compositore che, dall'alto dei suoi quasi trentacinque anni di ecletticissima carriera, può osservare con filosofia il frenetico fluire della musica contemporanea, le sue nuove forme di divulgazione e fruizione. Con lo stesso "look sharp" di sempre. E con il compiaciuto piacere di continuare a fregare "the border police", i critici che, secondo la celebre definizione di Frank Zappa, non riescono ad accettare che un musicista possa spaziare indifferentemente da un genere all'altro. Perché se c'è sempre stata una certezza ad accomunare la variegata e spiazzante produzione di questo atipico artista, è proprio la visione della musica come una "big picture". Senza steccati di genere o appartenenza.

Iniziamo dal tuo ultimo disco, "The Duke". Non un album di cover o un mero tributo a Duke Ellington, ma un lavoro che suona proprio come un nuovo disco di Joe Jackson. Ad esempio, hai eliminato le trombe, e gli arrangiamenti sono tipicamente tuoi.
Sì, è esattamente quello che ho cercato di fare. Si può dire senz'altro che questo sia un nuovo disco di Joe Jackson. Voglio dire, Ellington è uno dei miei grandi eroi, ma l'idea di questo disco è cresciuta e si è modificata via via. Ci sono molte versioni in giro dei brani di Ellington, ma nessuno si è spinto ancora abbastanza oltre e sentivo che qualcuno doveva farlo. Gradualmente, mi sono accorto che quel qualcuno potevo essere io. Credo che in parte la mia referenza per realizzarlo sia proprio il fatto di non essere un musicista jazz. Sono un appassionato di jazz, ma non un vero musicista jazz e questo ha facilitato il compito.

"The Duke", infatti, non suona affatto come "un disco jazz". Credo che tu abbia usato l'opera di Duke Ellington come una materia viva, uno strumento per esplorare l'intero universo della tua musica.
Sì, proprio così. Lo stesso Ellington non considerava sacri i suoi arrangiamenti. Anzi, li modificava costantemente, in alcuni casi in modo piuttosto radicale. Così penso di aver scelto un approccio in linea con il suo.

Che cosa significa per te Duke Ellington, quali credi siano i suoi principali meriti?
Ci sono così tante cose interessanti in lui... Insomma, quindici anni di musica e così varia: potresti spendere la tua intera esistenza a esplorare la sua musica. Per me è una grande ispirazione. Mi piace la sua concezione secondo cui "ci sono solo due tipi di musica: bella e brutta", forse la cosa più celebre che abbia detto. Non ha mai rispettato categorie o confini. Non gli piaceva neanche il fatto che la sua musica fosse chiamata "jazz", diceva che si trattava solo di "musica americana".

Sì, lui è stato davvero un compositore moderno, e credo che si veda ancora dalle sue canzoni, che non invecchiano mai.
Sì, lui è sempre stato alla testa di tutti gli altri e anche questo è molto interessante per me. E soprattutto ha sempre avuto una visione d'insieme delle cose che voleva creare, "the big picture", il quadro complessivo. Inoltre, si è circondato di straordinari musicisti ai quali ha sempre concesso una certa libertà, in modo che anch'essi potessero condividere la ribalta. Ma il segreto è nelle strutture che creava: non vi era mai conflitto tra le componenti di libertà e improvvisazione e quelle della composizione, dello scheletro dei brani. Una cosa che mi ha sempre affascinato e che ho cercato di imitare, in qualche modo, come bandleader, perché ho un modo simile di pensare. Credo che se ho un talento è quello di riuscire a vedere il quadro complessivo e tenere insieme i vari elementi, in questo senso Duke Ellington è un modello per me.

Joe JacksonGià, come testimonia il tuo incredibile eclettismo. Hai sempre spaziato da un genere all'altro, dal pop al soul al jazz, dal rock alla classica. Come sei riuscito a tenerti in equilibrio, in questa continua ricerca musicale, riuscendo a esplorare in profondità tutti questi generi?
Beh, forse perché non sapevo che questo era proprio ciò che stavo facendo! (ride) Credo di essere semplicemente qualcuno che è sempre stato interessato a molti, diversi generi di musica. Quando avevo sedici anni mi interessavo alla classica, al jazz, al pop, al rhythm'n'blues, al reggae. Sono sempre stato così, insomma. E forse sono così polivalente perché non ho mai avuto un preciso background musicale, non ho mai pensato di essere parte di una qualche tradizione che dovevo portare avanti e non ho mai avuto nessuno che mi dicesse quale musica dovevo ascoltare o quale musica fosse valida o meno. Insomma, ho solo cercato di fare musica senza pensarci su troppo, ed è solo il risultato che può apparire eclettico.

In fondo fu così fin dal tuo debutto: era stato definito "new wave", ma era molto distante dai paradigmi del genere, e così via anche con i successivi lavori...
Sì, quando cerco di creare qualcosa, seguo soltanto il mio intuito, non ho un progetto intellettuale alla base. È solo il modo in cui questo si realizza che può farlo sembrare una miscela di stili differenti. Se ci avessi riflettuto sopra di più, se l'avessi calcolato di più, forse non sarebbe mai stato altrettanto genuino.

Hai persino composto alcuni dischi di musica classica.
Beh, no, non direi esattamente "classica"...

Ok, diciamo vicini allo stile della classica.
Sì, nelle sinfonie che ho composto ho usato le strutture delle sinfonie classiche, ma il suono è solo quello di una musica per orchestra.

Però tanto è bastato ad alcuni critici per gridare al sacrilegio. Cosa pensi di quella parte della critica che non riesce ad accettare forme di incontro tra pop-rock e Classica: sono davvero due mondi così distanti e incompatibili? (nel frattempo, esplode nelle nostre orecchie una rumorosissima sirena e Joe scherza: "Qualcuno ha un attacco di cuore?!")
Ci sono due situazioni diverse. C'è un sacco di gente che prova deliberatamente a combinare i due generi e non riesce a farlo molto bene. Allo stesso tempo, però, ci sono anche molti critici che non hanno le conoscenze e l'immaginazione per giudicare davvero questi esperimenti. Insomma, è un quadro complicato.

Io credo che molti critici siano davvero rigidi e pedanti, prigionieri di steccati e pregiudizi, forse proprio perché manca loro una visione globale, la fatidica "big picture".
Già. Frank Zappa aveva inventato una grande definizione per queste persone, le chiamava "the border police", la polizia di frontiera (ridiamo entrambi di gusto...). E Zappa era come Ellington: non aveva alcun rispetto per la border police. Questo tipo di considerazioni mi vengono in mente, ad esempio, quando si parla di Gershwin... Un paio di mesi fa sono andato a vedere una rappresentazione di "Porgy And Bess" ed è un grande successo a Broadway, a New York, oggi come sempre. Insomma, il pubblico apprezza ancora adesso la musica di Gershwin, ma al tempo in cui la componeva, negli anni Venti e Trenta, era costantemente criticato sia dai cultori del jazz sia da quelli della Classica, perché dicevano che non era né carne né pesce, né questo né quella, e che quello che stava facendo non era autentico: non comprendevano che tutto ciò era proprio autenticamente Gershwin! Ancora oggi ascoltiamo Gershwin ed è abbastanza sorprendente. La sua opera che tanta gente criticava, incluso lo stesso Duke Ellington, spopola ancora a Broadway e non ci importa più niente di quello che la critica pensava nel 1929!

A proposito di musicisti e approcci disparati, come hai conosciuto Iggy Pop e come ti è venuto in mente di coinvolgerlo in "The Duke"?
L'ho incontrato in un paio di occasioni. La prima volta eravamo nello stesso hotel, in tour, e abbiamo preso un paio di birre insieme, facendo una conversazione molto interessante. Mi sono reso conto che è davvero una persona intelligente, la gente pensa sia una specie di mostro, come un lupo mannaro o chissà cosa, invece è un tipo veramente a posto. Un giorno, stavo lavorando agli arrangiamenti del disco e mi è venuto in mente che una voce più profonda della mia avrebbe funzionato meglio su quel pezzo, così ho pensato subito a lui.

Forse "la più profonda"! E credo che il duetto tra voi su "It Don't Mean A Thing (If You Ain't Got That Swing)" sia riuscito molto bene.
Sì, credo sia davvero molto divertente.

Joe, hai pubblicato tantissimi dischi...
Sì, troppi! (ride)

...ce n’è uno che ti piace di più o a cui sei più affezionato?
Non ho un mio disco preferito, non mi piacciono nemmeno alcuni più di altri. Posso dirti però qual è il mio disco più sottovalutato, "Night And Day II". Sono molto orgoglioso di quell'album, ma sembra che non interessi a nessuno...

Beh, almeno a me è piaciuto!
Oh, grazie! Ma credo sia davvero il mio disco più sottovalutato.

Joe JacksonHo trovato interessante "Night And Day II" perché mostra una New York piuttosto diversa rispetto a quella del primo "Night And Day". Com'è cambiata, secondo te, New York dal 1982 a oggi?
Non così tanto come è cambiata dopo "Night And Day II", in effetti. Se guardi la foto sulla copertina c'era ancora il World Trade Center, il disco uscì poco prima dell'11 settembre. Credo che da allora sia cambiata molto. Credo che l'intero feeling della città sia cambiato dopo l'11 settembre e da quando Bloomberg è sindaco. La New York dei primi anni Ottanta, quando ho fatto "Night And Day", era una città più dura e pericolosa, e più sporca, ma allo stesso tempo era molto più libera e divertente. Era anche meno cara di oggi, così ci trovavi un bel mix di persone, con una scena musicale, in particolare, molto interessante.

Sì, credo fosse una New York da sogno, come nei film di Woody Allen. Una città molto più affascinante di quella attuale.
Sì, mi manca molto quella New York, la New York degli anni Ottanta e non mi piace molto oggi. È diventato soprattutto un posto per ricchi ed è una città iper-controllata, credo che la gente sia meno libera.

Sarà una conseguenza della Tolleranza Zero. Ho letto tuoi giudizi molto critici su questa politica, anche per quanto concerne il fumo.
Sì, quello è uno dei lati della faccenda. Ma dopo aver varato i divieti di fumo, Bloomberg è andato ancora molto oltre, con misure veramente ridicole, tipo norme che impongono ai ristoranti di mostrare quante calorie vi sono nei cibi. Ora ha appena vietato alcuni tipi di soda... se hai sedici anni, niente soda! E va avanti così su tutto. Non c'è più il feeling di allora, è come una "no fun era". La gente è così preoccupata della propria linea e della propria salute... Una volta le persone non stavano sempre a pensare a questo, vivevano e basta. Ma non è un fenomeno che riguarda solo New York, si sta diffondendo anche nel Regno Unito, così come in molti altri paesi.

Quando, da inglese, hai scoperto New York nel 1982, è stato amore a prima vista. Credo che proprio quell'entusiasmo fu uno dei segreti di "Night And Day", un capolavoro che da pochi giorni ha compiuto trent'anni. Sei d'accordo?
Sì, "Night And Day I" è stato essenzialmente un racconto di New York dal mio punto di vista, di quel tempo. Ero davvero entusiasta e pieno di interesse per la città. Credo ancora sia il mio disco migliore, insieme a "Night And Day II". Quest'ultimo offre un quadro un po' più complicato, mostrando tanti diversi punti di vista. Si alternano molte storie nella città e alcune di queste sono felici, altre molto meno.

Forse i sequel, in generale, attirano troppi pregiudizi. O troppe aspettative...
Alcune volte non importa quello che fai. Per alcune ragioni che nessuno conosce, la gente non è interessata o non apprezza qualcosa perché è tempo di non apprezzarla. Non riesci proprio a spiegartelo.

Un altro album che credo sia leggermente sottovalutato nella tua discografia è "Big World", uno dei miei preferiti in assoluto.
Oh, davvero?

Sì, perché amo in particolare alcune "slow songs" presenti in quel disco, come "Shangai Sky", "Fifty Dollar Love Affair", "We Can't Live Together"... Piace ancora anche a te?
Sì, mi piace. Sono particolarmente orgoglioso di come venne registrato, dal vivo, al Roundabout Theatre di New York, nel 1986. Sono molto orgoglioso anche di "Rain", il mio ultimo disco. Credo che esprima probabilmente il mio miglior songwriting, i miei migliori testi ecc..

I tuoi primi dischi, invece, erano molto vicini ai territori del post-punk e della new wave. Cosa pensi di quelle sonorità adesso? Appartengono a un passato ormai sepolto, oppure ami ancora quel tipo di musica. E cosa pensi della nuova generazione delle band nu-new wave?
Cos’è la "nu new wave"? Dove si trova?!

Mh, diciamo che è una parolaccia inventata dai critici per definire la generazione dei vari Strokes, Interpol, Editors, Franz Ferdinand e tanti altri.
Ah sì. Li conosco. Credo che tutto nella musica torni a galla prima o poi. Ma credo che i miei primi due album non fossero strettamente new wave.

In effetti, erano molto distanti dai canoni del genere.
Sì, per me quei dischi suonano semplicemente come "Londra 1979", la città in cui vivevo. Li rivivo con una punta di nostalgia.

Insomma, sei ancora affezionato al suono di "Londra 1979"?
Sì, perché a quel tempo vivevo lì, ero giovane ed era un bel periodo della mia vita. C'era un grande fermento musicale all'epoca. Poi, nel 1982, mi sono lasciato tutto ciò alle spalle e da allora è iniziata una nuova fase della mia esperienza musicale, che credo sia ancora quella in cui mi trovo oggi.

Che tipo di musica ascolti oggi? Puoi rivelarci qualche artista che apprezzi in modo particolare?
Fammi vedere un attimo quali cd ho qui... li ho tutti comprati di recente. Ho preso il nuovo album degli Hives, quello di Amadou & Mariam, Joe Williams con la Count Basie Orchestra, Dr. John, Galactic... conosci i Galactic?

No, mi mancano!
Sono una grande band funk di New Orleans. Amo la musica di New Orleans... Ah, poi ho anche il disco degli Zuco 103, che hanno partecipato al mio album "The Duke" in due tracce. Poi sto ascoltando Tony Allen, il percussionista nigeriano che suona con Fela. Mi piace anche l'afro-beat jazz.

Insomma, sei onnivoro anche come gusti musicali.
Credo che se tu ami davvero la musica, è normale che tu sia interessato in tanti generi diversi.

Già, con me sfondi proprio una porta spalancata...
Ho sempre pensato che le persone che si dedicano solo ad alcuni specifici generi musicali non siano davvero appassionati di musica, bensì una specie di feticisti!

Joe JacksonParliamo anche di come la gente oggi ascolta la musica. I tuoi dischi sono sempre stati celebrati anche per la qualità delle incisioni: cosa pensi del fatto che oggi la musica si ascolta prevalentemente con iPod, iPhone, mp3... Tempi duri per gli audiofili?
Sì, temo di sì. Personalmente, non uso cose tipo gli iPod, non mi piacciono proprio. Mi piace ascoltare la musica nell'aria, attraverso le casse. Quindi non sono molto addentro alla questione. Non riesco proprio a capire come si possa andare in giro per strada con la musica come una specie di gemma nell'orecchio, in modo che non senti più nient'altro di ciò che è intorno a te: non mi trovo a mio agio, in una situazione simile.

A me piacciono gli iPod, ma credo che il vero problema sia il tipo di uso che se ne fa: alcune persone ormai ascoltano la musica come un rumore di fondo indistinto, in modo molto distratto.
Sì, ascoltare musica così diventa qualcosa che non è più speciale. Qualche volta capita di immaginare come si stava quando non erano stati ancora inventati i dischi. Se volevi ascoltare musica, dovevi andare a vedere qualcuno che suonava dal vivo oppure imparare a suonare tu stesso. E sono sicuro che quando sono stati inventati i dischi, molte persone abbiano detto: "Oh no... tutto questo renderà la musica non più speciale e la gente non l'apprezzerà più". Dall'altro lato, però, milioni di persone riuscirono ad ascoltare musica che non avrebbero mai potuto sentire altrimenti. Insomma, ci sono due facce della medaglia. E credo che stiamo vivendo una nuova versione di quel tipo di situazione.

Sei sempre stato un anti-rockstar, anche al tempo dei tuoi più grandi successi. Credo sia stato uno dei segreti della tua carriera: hai sempre tenuto d'occhio solo la tua musica. Cosa pensi dell'attuale scena pop: pensi sia ancora possibile riuscire ad avere successo solo facendo buona musica?
Forse è solo una questione di scala. Fare e diffondere musica è diventato più facile che mai, con internet, ma è difficile costruire una vasta audience.

Già è questo il paradosso.
Non so, le cose sono cambiate così tanto da quando ho iniziato e molte volte non so davvero cosa pensare. Quando mi chiedono un parere sullo stato attuale dell'industria musicale, in genere replico con risposte tipo: "Oh no, non me lo chiedere... non so cosa dire!". Sta cambiando tutto così velocemente e nessuno sa cosa fare, neanche le case discografiche sanno più cosa fare.

Ora andrai in tour per promuovere "The Duke" negli Usa e in Europa. Verrai anche in Italia.
Sì, sarò in Italia alla fine di ottobre (per tre date, al Town Hall di Udine il 28, al teatro Dal Verme Theatre di Milano il 29 e a Roma, al Jazz Festival, il 31, ndr). Lo show sarà incentrato sulle musiche di "The Duke" e sulle canzoni originali tratte dai miei dischi. Mi accompagnerà un ensemble di sei elementi, la bigger band, inclusa la violinista jazz Regina Carter.

Speri che "The Duke" possa contribuire in qualche modo a far conoscere di più la musica di Duke Ellington?
Non ho aspettative, non credo proprio in esse. Il Samurai era solito dire: "Non ti aspettare niente, ma sii pronto per tutto"!

Ok, in bocca al lupo, Joe, grazie della chiacchierata e speriamo di vederti in Italia.
Ok, ciao!

Discografia

Look Sharp! (A&M, 1979)8
I'm The Man (A&M, 1979)7
Beat Crazy (A&M, 1980)7
Jumpin' Jive (A&M, 1981)7
Night And Day (A&M, 1982)9
Mike's Murder (colonna sonora, A&M, 1983)6
Body And Soul (A&M, 1984)8
Big World (A&M, 1986)8
Will Power (colonna sonora, A&M, 1987)6
Live 1980/86 (live, A&M, 1988)8
Tucker: The Man And His Dream (colonna sonora, A&M, 1988)6,5
Blaze Of Glory (A&M, 1989)6
Stepping Out: The Very Best Of Joe Jackson (antologia, A&M, 1990)
Laughter & Lust (Virgin, 1991)5
Night Music (Virgin, 1994)5
Heaven And Hell (Sony Classical, 1997)7
This Is It: The A&M Years 1979-1989 (antologia, A&M, 1997)
Symphony No. 1 (Sony Classical, 1999)7
Summer in the City: Live In New York (Manticore/Sony Classical, 2000)7
Night And Day II (Manticore/Sony Classical, 2000)7
Steppin' Out: The Very Best Of Joe Jackson (doppio cd, antologia, A&M, 2001)
Two Rainy Nights: Live in Seattle & Portland (live, Great Big Island, 2002)
Volume 4 (Rykodisc, 2003)6
Afterlife (live, Rykodisc, 2004)
Rain (Rykodisc, 2008)6,5
Live At The Bbc (doppio cd, live, Spectrum, 2009)
Live Music (earMusic, 2011)6
The Duke (Razor & Tie/Edel, 2012)7
Fast Forward (Ear Music, 2015)7,5
Fool (Ear Music, 2018)7
Mr. Joe Jackson Presents: Max Champion In "What A Racket!" (Ear Music, 2023)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

Streaming

Is She Really Going Out With Him?
(videoclip da Look Sharp, 1979)
It's Different For Girls
(live in Cleveland, da I'm The Man, 1979)
Mad At You
(videoclip da Beat Crazy, 1980)
Jumpin' Jive
(live da Jumpin' Jive, 1981)
Steppin' Out
(videoclip da Night And Day, 1982)
Breaking Us In Two
(videoclip da Night And Day, 1982)
Slow Song
(live at Rockpalast, da Night And Day, 1982)
You Can't Get What You Want (Till You Know What You Want)
(live, da Body And Soul, 1984)
Happy Ending
(videoclip da Body And Soul, 1984)
Right And Wrong
(live, da Big World, 1986)
Hometown
(live, da Big World, 1986)
Nineteen Forever
(videoclip da Blaze Of Glory, 1989)
Hit Single
(live in Sydney, da Laughter And Lust, 1991)
Song Of Daedalus
(live, da Heaven & Hell, 1997)
Love Got Lost
(with Marianne Faithfull, da Night And Day II, 2000)
Good Bad Boy
(live From Islington Academy, Londra, da Rain, 2008)
The Duke Documentary
(documentario sulla realizzazione di The Duke, 2012)

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