Josh T. Pearson - Lift To Experience - Un Messia involontario

intervista di Stefano Bartolotta

Il giorno prima dell'uscita del suo secondo disco solista, Josh T. Pearson è a Milano per un promo day e la nostra intervista inaugura la sua giornata. Il jet-lag è al massimo del proprio effetto, e Josh non è certo tipo da perdersi in chiacchiere, ma le sue risposte mettono comunque in mostra un po' di aspetti che stanno dietro a questo ritorno.

Guardando indietro al tour dell’album precedente, ricordo che, quando ti vedevo suonare, proponevi canzoni lunghe e concettuali, e tra esse raccontavi barzellette divertenti. Era un po’ surreale, come mai avevi questa voglia di raccontare queste barzellette, che ovviamente avevano un mood molto diverso rispetto alle canzoni?
Mi piaceva l’idea di contrapporre lo humour alla tristezza pesante. Può aiutare le persone a scivolare via velocemente dalla tristezza delle canzoni, e aiutava anche me a uscire in fretta da quegli stati mentali più cupi e rimettermi immediatamente all’interno di questa realtà. Mi rinfrescava la psiche un po’. Scopi diversi per momenti diversi. Mi aiutava a processare tutto quanto e a mostrarne l’altra faccia

Per quanto riguarda i cinque pilastri che hai stabilito per fare questo disco, non hai messo alcuna regola sulla lunghezza delle canzoni, infatti alcune durano due minuti e mezzo, e altre cinque o sei.
Penso che nella mia testa cinque minuti fosse uno dei pilastri! Non sono sicuro quali ti abbiano dato, ma l’ultimo stabiliva di sottomettersi alle canzoni, senza tener conto della lunghezza o del numero dei versi. “Love Song”, in particolare, quella è la canzone in cui viene applicata questa quinta regola. Ho lavorato con queste regole perché volevo avere dei parametri, provenendo dalla musica d’avanguardia e sperimentale, era bello stavolta avere dei parametri al cui interno lavorare.

Volevo proprio chiederti qualcosa sul parametro “sottomettersi alla canzone”, perché mi stavo chiedendo se l’aver messo una regola secondo cui dovevi fare ciò che la canzone ti chiedeva significhi che in passato non sempre l’hai fatto. 
Quella è sempre la mia regola d’oro, sottomettiti alla canzone, fai ciò che lei ti dice. Penso che questa sia la regola che sta sopra tutte le altre, nell’arte in generale. 

A proposito di “Love Song”, ho letto sul comunicato stampa che tu hai detto che non rispetta tutte le regole, però penso che se io dovessi scegliere una canzone che rappresenta lo spirito complessivo del disco, sceglierei quella.
Grazie, sono d’accordo, quella è l’unica canzone del disco che abbia davvero un significato personale, le altre tanno più in superficie e le ho fatte per divertirmi. Quella è l’unica canzone che contiene il mio cuore, sento che tutto il disco è stato fatto in funzione di quella canzone.

Hai detto di aver scritto le canzoni in tre giorni, come è stato il processo di scrittura? Hai scritto la musica prima e poi hai aggiunto le parole, o hai scritto tutto insieme? 
È stato molto veloce, il massimo della velocità a cui sia in grado di pensare, è stato un esercizio, un allenamento, però “Love Song” ha richiesto un giorno intero per lavorarci su. Ho finito tutto in due giorni, il terzo giorno ho scritto altre canzoni che non sono finite nel disco e sono tornato a “Love Song” e ci ho aggiunto una manciata di parole. Comunque, parole e musica sono arrivate nello stesso momento, e penso sia una buona idea per canzoni con la parola “straight” nel titolo, e, ad esempio, mi piace il fatto che la metafora del whisky straight non sia mai stata usata nella musica country, mi ha sorpreso questa cosa.

Ci sono molti stili musicali differenti nel disco. Stavi già pensando a come una canzone avrebbe suonato, mentre la scrivevi? 
Ho provato ad avere lo spettro complessivo al massimo di quanto potessi, tu definisci un tema, e deve essere scritto velocemente e essere ascoltato altrettanto rapidamente. È stata la volta più veloce nella quale ho fatto un disco, di solito passavo una settimana su una sola canzone... 

Ho trovato “Give It To Me Straight” particolarmente interessante, perché c’è molta varietà all’interno della canzone. 
Mi piace perché posso impersonare un personaggio con la voce, è stato divertente, ho sempre dato l’impressione di essere quello serio, ma qui mostro tutti gli aspetti della mia personalità. Abbiamo altri dischi in arrivo, genere completamente diverso, e sono contento all’idea di arrivare a quella roba lì, voglio più colore nello spettro.

Secondo me, ci sono un paio di canzoni che ricordano il tuo passato, intendo dire che “Love Straight To Hell” è piuttosto simile a ciò che facevi con i Lift To Experience e “Damn Straight” mi ricorda qualcosa del tuo disco precedente.
Ci hai preso in pieno. Non potrei essere più d’accordo. “Love Straight To Hell” è ciò con cui sono cresciuto, con Andy, il batterista dei Lift To Experience, e “Damn Straight” è quel country psichedelico che suonavo in “Last Of The Country Gentlemen”. Ci hai preso in pieno, ottima valutazione.

Penso che il video animato aderisca perfettamente allo spirito del disco. Hai deciso che volevi quel tipo di video, mentre stavi facendo il disco? 
Per me era importante. Le macchine dall’intelligenza artificiale che hanno la meglio sulle nostre bugie. Era molto importante dire ciò che volevo dire nel primo video, perché nessuno vuole sentire di robot che hanno la meglio. Ho trovato questi ragazzi online, mi è piaciuto molto il loro lavoro.

Cosa puoi dirci dei concerti? Suonerai solo queste canzoni nuove o anche qualcosa dal passato? 
Non lo so, sono curioso anch’io! Abbiamo fatto i nostri primi concerti al SXSW con tutta la band insieme, ne abbiamo fatte un paio vecchie e alcune nuove, quindi sarà senz’altro un mix, però faremo versioni più rock di quelle tratte da “Gentlemen”, abbiamo fatto “Sweetheart I Ain’t Your Christ” ed è stata molto bella, come se fosse suonata da Neil Young and The Crazy Horse, è stata grande, penso che gli italiani la adorerebbero. Spero davvero di tornare in Italia a suonare, portateci!


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Intervista del 2017 di Lorenzo Righetto

Celebriamo anche noi la ristampa di uno dei dischi di culto dello scorso decennio, "The Texas-Jerusalem Crossroads" dei Lift To Experience, con una torrenziale e sentita intervista al leader Josh T. Pearson

Ciao Josh, grazie per il tuo tempo. Questa è la nostra seconda intervista: la prima fu per il tuo album solista, avevi questa barba enorme, e anche i capelli lunghi. Avevo l’impressione che tutti vedessero un nuovo Messia in te. Poi, dopo qualche periodo, ti sei tagliato i capelli piuttosto drasticamente. Nel cliché hollywoodiano, questo rappresenta normalmente il momento in cui un uomo trova un nuovo equilibrio nella sua vita, un posto nella società o qualcosa del genere. È stato un momento particolare per te?
Il momento per me è stato un paio di anni fa, quando un tipo con una barba molto curata mi si avvicinò in un bar di Austin suggerendomi una crema idratante per la barba che lui stesso preparava. Ho capito allora che la moda della barba aveva cambiato segno, finalmente, e che il sogno era finito. Tutti i miei simboli erano stati sequestrati. Avevano preso nuove forme. Era tempo di radersi.

Stiamo ora celebrando il tuo esordio coi Lift To Experience, un disco anomalo e sconvolgente, in tutti i sensi. Qualcosa che i tuoi vecchi fan amavano già da tempo, probabilmente. Io sono tra quelli, ma ho apprezzato molto anche sentirlo con un mix ben fatto. Com’è nata questa ristampa?
Per una serie di ragioni molto complicate non eravamo alla sessione di mix originale e questo ci ha sempre dato fastidio. Eravamo un assalto sonico piuttosto punk, torcibudella e il vecchio mix suonava tranquillo, sicuro. Noi non eravamo né l’uno né l’altro. La Bella Union ci disse che non si potevano permettere di lasciarcelo mixare in Texas, nel 2001, ma potevano farlo al loro studio a Londra in una settimana o due e farlo uscire. Ci siamo stati. Il mix fu anche velocizzato, la roba più strana, ma dal primo momento in cui abbiamo sentito il mix originale di Simon, abbiamo voluto rifarlo. Ma questo non fu mai un’opzione, perché la Bella Union giurò di aver perso i nastri. Poi una copia della copia della copia venne fuori su un ADAT attraverso un amico di un amico. A quel punto c’è voluto qualche anno per arrivare nella posizione di farlo, e così, quando la Mute si offrì, non potevamo dire di no.

lifttoexperience_ivC’è una percepibile carica sovversiva in “The Texas-Jerusalem Crossroads”, dal punto di vista dello stile musicale, in primo luogo. Dici anche esplicitamente, più o meno ironicamente, che i Lift To Experience sono qualcosa che non è mai esistito nella musica. Qual era il vostro background musicale, ai tempi? Non penso che ci siano molti altri album che sono stati accostati a così tanti generi musicali.
Volevamo mescolare musicalmente i My Bloody Valentine con la personalità strumentale individuale del trio alla Jimi Hendrix, ma aggiungendo una narrazione in cima. “Loveless” ha davvero cambiato il panorama della musica chitarristica quando è uscito, le note tra le note, piegare gli accordi di continuo. Era come una nuova forma di arte. Dipingere con la chitarra. Impressionismo elettrico. Specialmente per dei ragazzi del Texas che non avevano ascoltato tutta questa musica. Questo avveniva prima di Internet, nota bene, quindi i suoni avevano ancora qualcosa di sacro. Ho letto un’intervista a Kevin Shields in cui diceva che non lasciava mai andare l’effetto tremolo. Pensai che questo suonasse piuttosto bene. I Sonic Youth, gli Spiritualized. Quella era grande scrittura. La gente parla sempre dei confini oltre cui si stavano spingendo, che è vero. Ma alla fine, oltre questo, erano band profondamente romantiche, con un grande senso della melodia. Pensavo semplicemente che si potesse fare di più dal punto di vista del racconto. Pensai che, se uno avesse potuto arrivare nello stesso stato mentale psichedelico dal punto di vista sonoro, melodico, etc., e poi aggiungere un sottotesto a questo, disteso nel tempo, sarebbe stata un’esperienza completamente diversa.
La maggior parte della musica elettrica buona è immediata. Ti colpisce dalle viscere fino a fuori dagli orifizi. Volevo fare questo e poi spingermi oltre, così che uno potesse costruire accordi e forme così come archi narrativi, storie dentro una storia, un’opera rock che non facesse schifo in sostanza, ma usando lo humour e altri stratagemmi così che il tuo subconscio si trovasse diviso e fosse colpito su più livelli contemporaneamente.
Tutto era stato già scritto nella musica rock. Sembrava l’ultimo posto in cui andare. C’era ancora del rischio. Una delle ragioni per cui “Loveless” funziona così bene è specificamente perché i testi sono indecifrabili. Immagini vaghe, o fantasie. Pensai di fare qualcosa di simile nello spirito, ma con un’ambiguità più concreta, così che si riferisse a questo evento futuro che puoi in qualche modo capire essere piantato nella realtà, ma appena fuori portata. Ci siamo fatti il culo, anche. Il disco dei MBV successivo fu più nettamente un’infilata di immagini. Lampi, anche meno lineari. Come un trip. Un flashback acido post-apocalittico di qualche tipo. Tutto questo avviene mentre la musica ti porta in giro, veramente, quindi mira a entrambi i bersagli. Immagino sia ciò che tutta la buona musica fa normalmente, quindi non so davvero se io abbia aggiunto qualcosa.

Molto della leggenda e dello status di culto del disco, a parte per la sua bellezza e per la sua potenza, è dovuto alla scenografia di un’apocalisse in Texas. Ma per me, per il poco che ti conosco dal tuo disco solista, per averti incontrato e per averti visto suonare live, “TTJC” suona probabilmente anche più personale della tua produzione successiva. L’ironia e il tormento mischiati insieme, il potere catartico della musica, ma, più profondamente, puoi sentire ancora che avevi bisogno di fare questo disco in questo modo, per te stesso prima di tutto. Sei d’accordo?
Sei molto attento e corretto. Nella mia esperienza, gli uomini tendono a usare metafore e ombre per nascondervi le cose che li spaventano di più. Se sto avvolgendo la mia arte con una storia, è in genere perché ho qualcosa di più profondo da comunicare. Cristo parlava con parabole specificamente per raggiungere verità più profonde che erano oltre l’espressione dialettica. Se potessimo spiegare o trasferire facilmente le epifanie spirituali, lo faremmo.

Una cosa che mi ha sempre sorpreso è il fatto che voi abbiate più seguito in Europa che negli Stati Uniti. Questo disco era disponibile solo per importazione, se non mi sbaglio. Ho letto che tu fai una distinzione rispetto al genere di educazione religiosa che abbiamo in Europa, il che è interessante. Anche se il grado in cui la religione è radicata nella società cambia molto da nazione a nazione (come immagino succeda negli Stati Uniti). Personalmente penso che si tratti di più dell’approccio all’arte, che citi anche tu quando parli di questo. Scusami, sto straparlando. In realtà ho una domanda molto banale: ti ha mai dato fastidio questa disconnessione dalla tua scena, dal tuo pubblico originale?
Tutta la bigotteria mi dà fastidio. È noiosa e mi fa incazzare come una bestia. L’Europa è piuttosto post-cristiana. Per la maggior parte. Forse non nel sud cattolico, ma per la maggior parte. I simboli tendono a cambiare più ti avvicini all’Equatore, così come nel resto del mondo. Fa più caldo. Le persone hanno bisogno di Dio in modo più tangibile, è una dipendenza che gli viene ricordata quotidianamente.
L’America, quando l’album è nato, era trincerata in una politica manichea destra/sinistra. Voglio dire, i “credenti” di ogni tipo ricevevano ben poca dignità dalla sinistra liberale, specialmente non all’interno dell’immatura comunità indie-rock, composta per lo più da ragazzi bianchi ricchi della East e della West Coast con le loro band punk o art-punk. Quelli della Bible Belt erano degli sfigati di merda. I tempi sono cambiati parecchio. L’America è più intelligente e in controllo, e informata ora, nonostante il clima politico. La gente ha più prospettiva e consapevolezza. Legge. Internet ha reso il mondo più piccolo, ha ucciso gli idoli. Ma a quel tempo, se eri menzionato o usavi simboli o oggetti cristiani per esprimere qualcosa che non fosse anti-cristiano, venivi immediatamente etichettato come una band Christian rock e messo in una scatola in cui avresti passato l’eternità, avvizzendo. In effetti, si divertivano ad additarti, tipo, “ehi ragazzi, ne abbiamo trovato un’altra, questa band ha un paio di cristiani dentro, devono fare davvero schifo. Era piuttosto stupido. Potevi essere la band migliore del mondo, ma le orecchie non riuscivano a sentirlo. E, comprensibilmente, la religione era stata ficcata a forza in gola alla gente e usata per tutte le peggiori ragioni. Ma, per usare un’analogia semplicistica, suonerebbe del tutto ridicolo se uno ignorasse la Cappella Sistina per una differenza di vedute ideologiche. Eppure succedeva così, allora, almeno per un’altra decina d’anni. Se eri bianco e facevi rock’n’roll, non potevi ammettere di condividere la fede di altri due miliardi di persone sul pianeta. Era visto come un suicidio intellettuale essere credenti, figurarsi cristiani. Ma l’Europa è piena dell’eredità cristiana nell’arte, dipinti, cattedrali, musica etc. Vi viene più facile separare le due cose. Noi non abbiamo niente del genere. Siamo nuovi, in termini storiologici. La religione ci è/era ficcata in gola, e così le persone diventano/diventavano reazionarie. Sembra più facile per l’europeo separare l’ideologia dall’arte.
Non saprei. Forse era solo per via della barriera linguistica che abbiamo trovato un pubblico da voi. Le metafore non sono un problema così grande sul suolo europeo. Le ferite sono/erano ancora fresche, qui. La religione è ancora una cosa che vive.
Ma poi, in posti come l’Italia, come ho detto, i simboli mutano ancora, come con qualcosa semplice come una barba da “socialista”. Non abbiamo il bagaglio politico di Roma, per esempio. Roma non significa niente per il bifolco sudista. I diritti dell’uomo contro il potere. I sudisti possono volere che il governo si assicuri che il creazionismo venga insegnato a scuola, almeno come opzione percorribile, ma ancora non vogliono che si immischi nella sfera privata il più possibile. Spero che quello che dico suoni sensato.
Inoltre, non siamo mai riusciti a fare un tour da noi, prima di scioglierci. Negli Stati Uniti, dovevi farti un bel po’ di date a quei tempi. È un territorio immenso. Tanta gente. Chiunque ci vedesse dal vivo veniva convertito. In effetti, ricordo un paio di recensioni che dicevano che era la sola “musica religiosa” che fosse corretto ascoltare. Che carino da parte loro. Immagina di dire, è l’unica musica ebraica che va bene ascoltare. È stupido.

lifttoexperience_vA volte penso che il disco è troppo onesto, troppo schietto in un certo senso, non indugia nel solito immaginario alt-country/southern gothic (viaggiatori solitari, mandrie in movimento, drugstore deserti, fai tu), quello che stuzzica l’ascoltatore “alternativo”. Pensi che sia esistito/esista un pregiudizio per cui la vera arte/la musica indipendente possa essere fatta solo con un punto di vista ateo o agnostico?
Di nuovo, sono un po’ più vecchio. I miei simboli sono stati confiscati. Usurpati. Nuovi significati. Spero che le pietre miliari che usavo col linguaggio si mantengano come segnali stradali. È difficile quando tratti con una materia ponderosa, ma significa anche la possibilità di un’elevazione più grande. Essendo informati sui posti da cui venivamo allora, ragazzi bianchi poveri, religiosi, della Bible Belt meridionale, non sarebbe stato onesto per noi non usarli. Avevo una responsabilità personale verso il mio creatore, verso il codice che mi ha “salvato”, che mi ha “elevato”. Sarebbe stata una vigliaccheria per me non provare almeno, con la mia arte, a danzare intorno agli scettici e ai propositori del relativismo culturale. Ne parlo come se valesse qualcosa. Nessuno mi avrebbe ascoltato, in ogni caso. Pensavo che potessimo vendere un 2.000 copie localmente, nel corso degli anni. Così, mi prefissai di rendere il tutto un dialogo privato tra me e Dio, e lasciarlo alla responsabilità propria dell’arte. Gli atei onesti hanno delle difficoltà, perché sanno che, alla fine, non c’è significato per alcuno dei loro simboli, se non quello definito da loro stessi. Quella è la controversia. Il valore di un credente è indipendente dalla sua propria sottoscrizione. Ancora una volta, ne sto parlando come se avesse importanza. Non ce l’ha.

Quello che sto cercando di dire è: pensi che, forse, il vostro disco fosse troppo sfidante per loro, in ogni senso?
Sì. Ancora, c’era molto più peso religioso negli americani, allora. Atei emotivi e reazionari. Pitchfork ci bollò come sostenitori di Bush e dell’NRA. Non ci capirono niente. Questa è sostanzialmente la loro recensione, che giudica l’ideologia sopra e prima della musica. Questa è un’impostazione critica molto povera. Non so se abbiano mai ascoltato il disco o il mio album solista, se è per questo. Entrambe le recensioni vanno lette come se si fossero fatti un’idea prima di ascoltare i dischi. Ma a quel punto, se l’opera è così polarizzante da dividere il pubblico ancora prima che vi assistano, è qualcosa di impressionante. In ogni modo entrambi questi dischi sono lavori validi. So cosa sto facendo. Magia nera. Suono la chitarra da quando avevo 12 anni. Se non sono ancora accettabile, dovrei smettere.
Credevamo che la copertina in stile rap, alla Pen&Pixel, avrebbe aiutato con le reazioni bigotte e religiose della stampa sui nostri testi dalla mano pesante, che desse loro un po’ di humour. Mi sbagliavo. E, a proposito, ho un sacco di armi ora, un sacco, ma mi servono principalmente per sparare ai recensori di Pitchfork una volta che, finalmente, l’America sarà fuori dalla civiltà. Ci sto lavorando.

C’è evidentemente molto lavoro che avete fatto per fare un disco così dirompente. Non sarai più lo stesso dopo aver ascoltato “TTJC”. Mi chiedevo come entri l’artwork nel vostro progetto.
Oh. Dio ti benedica. Grazie per il tuo entusiasmo. Riguardo alla copertina, mi serviva un po’ di humour per presentarci. Mi ispirai al tempo alle copertine rap della Pen&Pixel. Puttanieri. La natura pacchiana sudista. Sbruffona. Parlare di quelle cose senza esserlo. Volontà di andare oltre. Di diventare quello che sei. Tutto questo. Gente povera che fa finta di essere ricca finché non diventa ricca.
La prima copertina non attecchì davvero. L’etichetta aveva paura di promuoverla, e così non ha funzionato come avrei voluto. Questa volta ci abbiamo preso. È una di quelle cose in cui, se non vai sopra le righe, non funziona veramente. Ora funziona. In più, la Mute mi ha lasciato fare il cd con l’impaginazione con la croce. So che nessuno ascolta i cd, ma è lo stesso, è come me l’ero immaginato all’inizio, per cui è stato speciale per me poterlo realizzare. Mi sembra un miracolo che siamo riusciti a farlo.
Penso che se ci sono dei ragazzi giovani che “scoprono” l’album, sarà divertente per loro sedersi con l’artwork e guardarlo mentre ascoltano. Mi riporta a un tempo in cui la materia contava, quando potevi esaltarti per una copertina, i cui simboli trascendevano con la musica. Sono felice che mi abbiano permesso di spingermi oltre i confini. In più, lo vendiamo con un biglietto dorato per la Terra Promessa, se e quando le difficoltà diventano riscattabili in Texas.

Ti disturba che la musica rock si sia imborghesita sensibilmente oggi? Suonate concerti rock nei teatri per un pubblico seduto, ti ho visto suonare a Milano in una galleria d’arte…
Mi piace stare seduto. Mi stanco a stare in piedi per ore nello stesso punto cercando di concentrarmi sulla musica. Ciò che mi interessa è l’assenza di fumo. È un’esperienza totalmente “pulita” ora. Non male di per sé, solo diversa.
Quando ero un ragazzo, andare a un concerto rock voleva dire avventurarsi nell’inferno dantesco. Fumo e fuoco, personaggi terreni ubriachi, gente che cade una sopra all'altra. È tutto ripulito ora, regolato, ordinato. Ma questo è il nuovo ordine mondiale, sulla via dell’estinzione. Tutto il mondo si sta imborghesendo. Marcato. Numerato. Non c’è più sogno/illusion. C’è una risposta a tutto. E una di quelle risposte è smettere di fumare, cosa che bisogna fare così da vivere più lungo e godersi più musica.
Ciò che mi interessa ora è come i suoni si sono imborghesiti. Negli ultimi quindici anni, le nostre orecchie si sono abituate a così tanti suoni. Niente è più scioccante dal punto di vista uditivo. Internet ha cambiato tutto. La gente non si accorge di cosa abbiamo fatto. Abbiamo creato un immenso organismo con un sistema nervoso. È finita. Facevamo musica pericolosa quando abbiamo iniziato. Ora questi suoni sono dappertutto. Gli Explosions In The Sky sono nelle pubblicità del football. Suonavamo insieme di fronte a dieci persone ai nostri tempi. Loro come apertura. Adesso sono un’azienda indipendente, hanno grandi case e soldi in banca perché tutto il mondo li ascolta. Ma il bisonte alla fine si è estinto…

Dunque, il tuo primo disco coi LTE è stato pubblicato nel 2001. Il tuo disco solista è del 2011. Puoi farci una previsione sul prossimo? Grazie ancora per il tuo tempo.
Non voglio iniziare a fare profezie, ma se dovessi, direi che inizierò a pubblicare dischi a distanza di qualche mese. C’è un vecchio detto Yiddish: “Come far ridere Dio. RaccontaGli dei tuoi piani.”
Ehi senti, è un vero onore per me rispondere alle tue domande. Grazie per aver mostrato interesse per un progetto che ha davvero definito le vite di tre uomini. Ci abbiamo lavorato come dei disperati, e di conseguenza, le nostre vite si sono sgretolate per almeno un decennio. Poche, poche persone hanno a cuore questa piccola opera d’arte rock. È molto pre-nuovo millennio, ma speriamo che la nuova versione remixata si faccia conoscere e si apra a qualche centinaio di persone in più e faccia del bene. Metterebbe un sorriso sulle nostre facce.
La musica viene e va, i simboli vengono usurpati. Spero che le nostre canzoni rimangano le stesse. Che Dio ti benedica!


Intervista dell'8 maggio 2011 di Lorenzo Righetto

Conosci Verdi? È morto a Milano. L'ho letto questa mattina, in un libro sull'opera. Sapevi che il suo nome era un simbolo durante l'unificazione dell'Italia? Vittorio Emanuele Re D'Italia. Dovresti leggerlo. È piuttosto fico. E i temi, i temi musicali... Lotta per la libertà, difendi il tuo onore. Tutto prima della musica registrata, tutto prima della televisione, solo le tue melodie...

Incontro Josh T. Pearson in questa elegante galleria d'arte milanese, ogni tanto convertita a sala per concerti in caso di eventi speciali come questo. In piedi, si aggira con la sua chitarra, abbozzando parti di canzoni, sue e non (cosa che farà per tutta l'intervista), tra cupi dipinti astratti e un candido arredamento minimalista. Lo sguardo esausto, allucinato nei suoi occhi accresce drammaticamente il senso di alienazione di qualcuno che è stato sovraesposto al pubblico e alla stampa, ansiosi di scoprire un nuovo personaggio - nel suo caso, quasi un nuovo Messia. Questa è la quarta intervista che gli viene rivolta durante questo giorno a Milano. Tutti vogliono vederlo, vogliono ascoltare la sua musica e le sue parole, forse addirittura toccarlo, o bere un po' della sua anima. Parte del mito messianico che è stato creato intorno a lui - con tanto di merchandising sindonico - sembra insomma rivelarsi vero.
Lui pare essersi ritrovato sulle spalle parte del peso del mondo, una frazione di tutta la disperazione, di tutto il dolore. Ogni parola viene espulsa con fatica, le frasi perdono a poco a poco il loro abbrivio per spegnersi in un borbottio solo a lui comprensibile. Questo è quanto rimane di quel pomeriggio a Milano.

D'accordo, tu fai le domande, sei tu il capo.

pearson_ivVorrei iniziare con una tua citazione.
Sono nei guai?
Forse...
Ti piace il disco?
Oh sì. Molto.
Si alza e apre la porta. La stanza è calda e soffocante.

Penso che sarà un bello show.
Si siede di nuovo, con fatica.
Sono stanco, amico. È stata una vita lunga. OK. Spara.

"Se fossi un'altra persona e l'ascoltassi ["Last Of The Country Gentlemen", ndr], penserei che il tipo sia stato un vero coglione a farlo, perché è semplicemente troppo grezzo e onesto". Posso capire perché hai usato queste parole riguardo al tuo disco. Mi chiedo però cosa voglia dire per te suonarlo dal vivo. Devi distaccarti dalle canzoni, o, al contrario, ti è necessario "entrarci dentro" di nuovo?
Un po' di entrambi. Non mi sento "distaccato", perché queste canzoni sono troppo personali. So che devo convogliare alcuni aspetti di me stesso. Dall'altra parte, mi sento come se potessero distruggermi.

Mi sorprende come tu possa semplicemente sederti, prendere in mano la chitarra e suonare questo tipo di pezzi [ne aveva appena registrato qualcuno per il Rolling Stone italiano mentre aspettavo, ndr].
Sorprende anche me, quel particolare "accendersi e spegnersi". Sai, ho fatto qualche tour coi Dirty Three e sono rimasto veramente impressionato da Warren [Ellis, ndr]. Poteva entrare nel pezzo così [schiocca le dita, ndr] con questa intensa, magnifica... Riusciva davvero a esprimere quelle cose, fare quel cambio. Per me è tutto un po' più personale di quello a cui sono abituato. Suono e canto... Ci vuole un po' per calmarsi, per entrare nei pezzi in uno spazio in cui c'è gente intorno. Direi che è come recitare ma non lo è veramente, è reale, quindi direi... Non so. A volte, prima del concerto, mi dico: "Non lo farò mai più" e, poi, quando vedo che è un buon lavoro, che le persone ne rimangono commosse, mi viene da ripensarci. Ero preoccupato dal fatto di doverlo fare tutte le sere.

Hai suonato alcune delle canzoni durante gli anni, prima di registrare il disco. Qual è stata la reazione del pubblico, in quelle occasioni?
Oh, buona. È stata positiva, piuttosto incoraggiante. Sono canzoni dolorose, per cui... La gente ne rimaneva toccata. L'obiettivo sembrava buono, dato che li rendevano felici, arricchivano la vita di qualcuno, li incoraggiavano ad avere, forse, una visione della vita leggermente più ampia. Penso che sia una buona cosa, penso sia salutare.

Parte dell'intensità del disco è data dalla struttura inusuale delle canzoni. Come scrivi la tua musica, in genere?
Beh... Anni di pratica. Di solito comincia con la musica per prima, raggruppo le cose in categorie - una particolare linea vocale, canzoni con una certa tonalità, raggruppo queste insieme - e poi è un bilanciamento tra parole e musica. Devo scegliere la melodia migliore e... Lasciare che la linea vocale o la musica obbediscano alla canzone è la prima e ultima regola. Ascolta sempre cosa ha da dirti, ascolta dove sta andando la canzone. Se è destinata a essere breve, lasciala essere breve, se sarà lunga, lunga sia, obbedisci e basta. Se dice: "Ripeti la stessa forma"... Lo spazio è un... Spazio, spazio, spazio. Lo spazio è la chiave per lasciarla respirare. Penso che sia la regola più vecchia per fare una canzone.

Hai anche registrato "Last Of The Country Gentlemen" dopo una lunga gestazione. Le canzoni sono state composte in un periodo di tempo limitato, però?
Sì, tre o quattro mesi, se metti insieme il lavoro effettivo. Anche se ci ho messo anni, sono tre o quattro mesi di lavoro effettivo.

Questa lunga attesa è dovuta a difficoltà materiali, o perché non ti sentivi pronto a entrare in studio di registrazione?
Oh, non pensavo che avrei registrato queste canzoni. Ho trascorso un decennio a scrivere pezzo dopo pezzo, mettendoli in categorie. Non sapevo se le avrei condivise con gli altri. Le trattavo come "performance art" e le suonavo dal vivo. Queste canzoni, sulle quali mi capitò di lavorare a quel tempo, mi fecero ripensare la mia estetica, la mia estetica artistica. Feci un paio di concerti... Poi pensai: "Proveremo a registrarle per vedere se riusciamo a catturare questa cosa".

pearson_iiQuindi hai trovato la registrazione più difficile dell'esecuzione dal vivo?
[Ridacchia, ndr] Sì, sì. Ma è anche perché stavo attraversando tutto ciò in quel periodo, le canzoni... Erano così fresche. Non avevo avuto del tempo per guarire. Fu quasi doloroso quanto fu...

E non hai mai cambiato idea riguardo al suonare i pezzi con un arrangiamento così scarno?
Potrei. Ho armeggiato con un po' di chitarra elettrica, suonano benissimo. È una cosa completamente diversa, un'interpretazione completamente diversa. Suonano... Suonano bene. Danno sensazioni molto più vivide, un colore diverso. Non ho ancora provato con la batteria.

Hai iniziato con uno stile completamente diverso, eri il frontman dei Lift To Experience, una band ispirata allo shoegaze. Come è successo che ripartisti dalla chitarra acustica, quando la band si sciolse?
Beh, in origine suonavo quella acustica quando imparai per la prima volta. Poi mi spostai sulla chitarra elettrica e accordature alternative e, dopo sei o sette anni con queste cose, dopo i Lift To Experience... Me ne andai in campagna e misi giù la mia chitarra elettrica e intenzionalmente ritornai ad accordature regolari e alla chitarra acustica, come sfida con me stesso. Non mi appassionavo più alla musica post-rock contemporanea, per niente, semplicemente tornai al country, canzoni popolari, accordature standard [improvvisa un giro d'accordi convenzionale con la sua chitarra, ndr], quel genere di accordi. La sfida era cercare di creare qualcosa di interessante dalla tradizione country di base, dopo sei, sette anni.E in qualche modo mi mossi intorno a un motivo convenzionale, voglio dire, stavo cercando di, a un certo punto, di creare quel genere di paesaggio rock con solo una chitarra e il riverbero.

Puoi darci un breve riassunto del tuo periodo coi Lift To Experience?
Era davvero una cosa per amore della musica, per noi. Solo tre ragazzi, che davvero facevano la musica che volevano fare, senza preoccupazioni o paure di nient'altro. E questo sembrò sporcarsi, sei anni dopo, più tardi, perché volevo che rimanesse puro. Era una sinfonia a Dio, era musica sacra praticamente. Era una sorta di... Lettera d'amore. E arrivammo veramente vicini a innamorarci ma... Le cose si fecero un po' complicate, c'erano molte questioni personali, come individui... Avevo bisogno di andarmene e esplorare il mondo. Avevo pensato di far sì che quanto di buono c'è in esso ci rimanesse... Suona rude, lo so. Era roba seria. Eravamo veramente cristiani nel cuore. Eravamo una grande band. Le grandi band si sciolgono. Avevamo la nostra integrità. È pazzesco come ogni grande arte si sgretoli... Volevamo seguire un cammino, non è che ci fosse questa enorme, enorme pressione. E, non lo so, mi serviva solo più tempo.

È una storia molto nota che sei figlio di un predicatore, che hai iniziato a suonare in chiesa, addirittura che hai pensato di diventare un predicatore tu stesso. Cosa è rimasto di questa necessità, questa attitudine, o visione, nella tua vita di artista o di normale essere umano in generale?
Beh, credo di esserlo diventato! Voglio dire... Diffondere la buona Notizia! Lo spero! Opere buone. Nella tradizione del mio Dio, diffondo le cose buone, fare del bene. È meglio fare del bene, credere. Spero di condividere qualcosa di questo... Se è buono o è buon lavoro, stai predicando la speranza e la vita. Ci sono posti in cui le persone hanno bisogno di incoraggiamento, sai.

Come è stato coinvolto Warren Ellis?
Oh beh, si è offerto. Si è offerto di... Suonare.
Ho letto che c'era una scommessa di mezzo...
Sì... Perse una scommessa.

OK, non mi vuoi dire quale... Stai suonando parecchio in Europa, ora. Ti senti più a tuo agio qui, piuttosto che nella tua nazione di origine?
Mi rispettano di più, qui. La gente ti rispetta sempre di più se vieni da un altro posto... È la natura umana. Ti prendono più sul serio se non sei di quelle parti. Così non ho suonato negli Stati Uniti negli ultimi tempi. Marzo scorso è stata la prima volta in cui ho suonato da solista dopo anni...

Frequento tutti gli anni l'End Of The Road Festival...
Ah sì. Bello. Bella gente.
Cosa ci puoi dire di quella esperienza?
Oh, è più o meno la dimensione perfetta, cinquemila, settemila persone. È quel genere di festival piccolo con grande musica, gli artisti in giro a divertirsi. La gente riesce a incontrare i suoi... Eroi. Che è bene. Per un artista, è umanizzante.Ti mette al corrente del fatto che è possibile rimanere umani. Ci sono un sacco di... Pavoni. È fico.

pearson_ixFarai un concerto segreto nel bosco?
L'ho fatto, un anno, non annunciato. Non so quando suono... Domenica pomeriggio? Quella ragazza suona... Quella che suona l'arpa?
Joanna Newsom.
Sì, Joanna. Lei suona.

Allora, l'ultima domanda. Sono molto curioso se hai dei piani per il prossimo disco...
Non so. Non ci ho pensato.
Forse con una band?
Cazzo, potessi permettermelo! Non so quanti dischi debba vendere per pagare una band...
Che direzione prenderai, dopo un album così particolare, doloroso? Forse qualcosa di più "convenzionale"...
Davvero non ne ho idea. Ci ho messo anni a mettere insieme queste canzoni. Sì, penso che mi piacerebbe fare uscire altri dischi. Lo spero. Dovrò pensarci e sentire cosa ha da dire il buon Signore. Sai, questo qua [il disco, ndr] sembra che abbia fatto del bene al mondo...
Sei impressionato dal tuo successo?
Sono scioccato... Non sapevo ci fosse tutta questa tristezza, nel mondo. Ci sono cinque canzoni che durano... Mi sorprende essere qui, che mi facciano delle domande. Sono sotto shock. È un lavoro sfidante. Ed è un disco "dall'inizio alla fine", per come l'ho scritto. È un pezzo unico.

Non sarà - qualche ora più tardi - la più grande performance di Pearson. Il pubblico lo accoglie freddamente, in qualche modo, come se fossero delusi dal trovarsi davanti semplicemente un essere umano, al quale, ogni tanto, scappa una risata isterica per puro esaurimento. Probabilmente non sarà mai il genere di artista che può fare un concerto a sera con la stessa intensità, come Warren Ellis; ma questa rimarrà sempre la sua forza, la capacità di mostrarsi com'è, di mettere a nudo tutti i suoi sentimenti e le sue emozioni, anche quelli che non dovrebbe.






Discografia

LIFT TO EXPERIENCE
The Texas-Jerusalem Crossroads(Bella Union, 2001; Mute, 2017)8
JOSH T. PEARSON
To Hull And Back (self-released, 2006)
Last Of The Country Gentlemen (Mute, 2011) 8
The Straight Hits!(Mute, 2018)7
Pietra miliare
Consigliato da OR

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Sito ufficiale
Myspace
Testi
  
 VIDEO
  
 Lift To Experience
These Are The Days (da The Texas-Jerusalem Crossroads, 2001)
Full live set (live, 2002)
Waiting To Hit (live, 2016, da The Texas-Jerusalem Crossroads,)
  
 Josh T Pearson
  
 Woman, When I've Raised Hell(live, da "Last Of The Country Gentlemen", 2011)
 Country Dumb (live con Dustin O'Halloran, da "Last Of The Country Gentlemen", 2011)
 Sweetheart, I Ain't Your Christ (live, da "Last Of The Country Gentlemen", 2011)