Marissa Nadler

Lungo il sentiero delle nuvole

intervista di Claudio Fabretti

Ritroviamo Marissa Nadler, ormai insediatasi in quel di Nashville e indie-star affermata, con collaborazioni prestigiose e lusinghieri attestati di stima da parte della stampa internazionale. Così, quasi a voler rivendicare la nostra piccola primogenitura critica (almeno in Italia) su questa prodigiosa artista statunitense, tracciamo insieme un consuntivo della sua carriera, a partire dall’ultimo capitolo, il sofisticato “The Path Of The Clouds” che, auspicabilmente, ce la riporterà anche sui palchi italiani, pandemia permettendo. Un album affollato di nuovi miti e leggende – a partire da quelli delle misteriose sparizioni della serie tv “Unsolved Mysteries”, divorata durante il lockdown – del quale Marissa ci parla con passione e trasporto, anche perché si tratta della sua prima autoproduzione e l’orgoglio dell’impresa traspare tutto.
In questi vent’anni abbiamo percorso un piccolo tratto di strada insieme, festeggiando progressi e successi, e anche lei, alla fine dell’intervista, ce ne dà atto con riconoscenza, dimostrando di non aver mai smarrito quella disponibilità e sensibilità che ci colpirono fin dai suoi esordi.

Ben ritrovata Marissa, il tuo ultimo album, “The Path Of The Clouds”, è stato realizzato durante la pandemia. In che modo il lockdown ha influito sul tuo lavoro?
Sì, è chiaro che ha influito. Mi ha dato il tempo di lavorare sui testi e sulle melodie, oltre che sulla struttura, sulla mia linea temporale. Sono riuscita a perdermi nel mondo delle canzoni in un modo che sarebbe stato impossibile durante la registrazione in studio tradizionale. Ero chiusa in casa e non c’era molto da poter vedere, giorno dopo giorno, ma ho un’immaginazione molto fervida, che mi ha consentito di spingermi fuori dalle mura domestiche.

Alcune canzoni sono state influenzate dalle vicende narrate nella serie tv “Unsolved Mysteries”. Che cosa hai apprezzato in particolare di quelle storie? E a proposito di queste misteriose sparizioni, credi davvero che vi sia la possibilità che i protagonisti siano sopravvissuti, come ipotizzi nelle tue canzoni?
Sì, mi ha influenzato quel programma così come anche altri, in generale mi piacciono queste storie di persone vere, grandi e piccole che siano. Quanto alla sorte di questi personaggi, è difficile stabilirlo con certezza. Bessie è una di quelli che ha più probabilità di essere sopravvissuta, sulla base dei fatti come sono stati ricostruiti. In quel caso c’è persino qualcuna che ha affermato di essere lei cinquant’anni dopo! Per DB Cooper e i fuggitivi di Alcatraz, beh, sembra molto meno probabile, ma comunque è divertente immaginarlo. Mi piacciono i racconti di imprese incredibili.

A proposito di quest’ultima, incredibile storia di D.B. Cooper (il 24 novembre 1971 dirottò un Boeing 727 e, con in tasca un riscatto di 200mila dollari, si paracadutò scomparendo nel nulla con il suo bottino, ndr), come ne sei venuta a conoscenza?
È da un po’ di tempo che ne sono venuta a conoscenza, visto che ormai D.B. Cooper è divenuto una figura leggendaria. Non ricordo dove ne ho sentito parlare per la prima volta, ma il mio interesse si è riacceso dopo aver visto l’episodio della serie che lo riguarda e così mi venuta l’idea di scrivere una canzone su di lui. All’inizio erano solo spunti iniziali - le canzoni su Bessie, D.B. Cooper etc. - poi alla fine sono diventate storie molto più strutturate e davvero personali allo stesso tempo. I raffronti sono molto riconoscibili.

Avevo già scritto canzoni al piano su “July”, ma a quel tempo non sapevo davvero suonarlo! Ho preso lezioni con Jesse Chandler (Mercury Rev) e ora sono molto più fluida nella scrittura. Basarmi su un nuovo strumento mi ha aperto nuovi orizzonti

È la prima volta che componi le tue canzoni al piano anziché alla chitarra? E come ti sei trovata a lavorare con il tuo insegnante di piano, Jesse Chandler (Mercury Rev)?
Mi è già capitato di scrivere canzoni al piano ai tempi di “July”, ma a quel tempo non sapevo davvero suonarlo! Ho preso lezioni con Jesse e questo mi ha aiutato a diventare molto più fluida nella scrittura. Anche se in realtà non suono il piano nel nuovo album, ho trovato entusiasmante questo nuovo metodo di composizione, grazie alle diverse sfumature e sensibilità melodiche che un nuovo strumento ti può offrire. Ho conosciuto Jesse tramite Simon (Raymonde, ndr), durante la lavorazione del disco dei Mercury Rev su Bobbie Gentry, e ho anche fatto alcune date con loro.

Marissa NadlerCi sono anche altri ospiti importanti nel disco: che cosa hanno aggiunto al tuo universo sonoro Emma Ruth Rundle, Simon Raymonde (ex-Cocteau Twins, boss della Bella Union) e l’arpista Mary Lattimore?
Simon e Mary sono quelli che suonano di più nel disco. Emma fa solo un cameo in una canzone, “Turned Into Air”. Il filo che li accomuna tutti è che sono grandi musicisti e miei amici. Ognuno di loro sa offrire elementi diversi ed è per questo che ho voluto coinvolgerli. Le linee di basso di Simon sono particolarmente melodiche, lui ha un modo davvero unico di suonare; avevo collaborato con lui già in passato, in entrambi gli album di Lost Horizons ed ero davvero entusiasta che avesse suonato su quelle canzoni. Mary è un’amica di lunga data, porta in tavola qualcosa di molto speciale, che poche persone possono riuscire a offrire: è una musicista magistrale con una sensibilità molto delicata e ipnotica. E adoro la chitarra slinky di Emma nella canzone: non vedo l’ora di lavorare di più con lei in futuro. Siamo tutti amici.

Nonostante questo apporto corale, credo che sia anche uno dei tuoi dischi più personali. È la prima volta che ti auto-produci? E in che modo questo ha cambiato il tuo metodo di lavoro?
Tutti i miei dischi sono molto personali, in realtà. Ma, sì, questa è la prima volta in cui ufficialmente produco da sola un album, anche se ho fatto molte co-produzioni e registrazioni casalinghe prima di questo lavoro. Mi sono davvero divertita a gestire tutti gli aspetti della produzione e a intravedere la mia visione attraverso tutti i passaggi.

Come mai hai deciso di trasferirti a Nashville? E come ti trovi a vivere lì?
È una storia lunga e personale. Sto ancora cercando di capire se mi piace o no. Le estati qui sono molto calde…

Ero già doom prima di conoscere Randall Dunn dei Sunn O))), ma lavorare con lui è stato fantastico, ha portato un grande dinamismo nella mia musica. Droneflower con Stephen Brodsky, invece, è stato un bel fiore su un ramo in fondo al giardino

Ho apprezzato molto i tuoi album con Randall Dunn dei Sunn O))). Quel suo cupo fascino “doom” abbinato alla cornice sognante dei tuoi brani. Pensi che collaborerai ancora con lui in futuro? E a quali lavori realizzati con lui sei rimasta più legata?
Randall ha prodotto “July” e “Strangers”, e sono molto orgoglioso di entrambi questi album. Il suo lavoro è sempre fantastico e sono sicuro che lavoreremo di nuovo insieme, prima o poi. Ma ad essere onesti, quel tipo di fascino doom, quell’oscurità, erano già presenti nel mio repertorio fin dai tempi di “Ballads Of Living And Dying”, anche se ovviamente in una formula diversa. Il lavoro di Randall, in ogni caso, è sempre stato fantastico. Ha portato un grande dinamismo sonoro in entrambi gli album.

Mi è piaciuta anche la tua collaborazione con Stephen Brodsky in “Droneflower”, dove ti sei calata in atmosfere sonore del tutto nuove. È un’esperienza che ti ha fatto riflettere sulla possibilità di cimentarti anche con generi molto distanti dal tuo?
La nostra collaborazione, in realtà, è avvenuta in modo organico. Non l’ho considerato davvero così distante dal mio stile. Ho scritto i testi e le melodie, e suonano decisamente come le mie canzoni. La strumentazione, invece, è totalmente diversa, ma per me una canzone rimane comunque una canzone. Ho sempre cercato di non etichettarmi troppo, di non identificarmi solo con un genere, perché penso che questo possa davvero ostacolare la crescita di un’artista. Direi che quel progetto è stato un bel fiore su un ramo in fondo al giardino.

Mi piace pensare che in ogni mio disco ci siano stati dei grandi cambiamenti. Ristagnare è davvero la morte di un'artista. Bisogna sempre spingersi oltre i propri limiti

Credo che, a dispetto di quello che pensano alcuni, la tua musica si sia evoluta molto in realtà, durante questi quasi 20 anni di carriera. In cosa pensi di essere cambiata di più in questi anni?
Mi piace pensare che attraverso ogni disco che ho fatto ci siano stati dei grandi cambiamenti, una crescita costante. Ristagnare è davvero la morte di un’anima artistica. Voglio dire, i cambiamenti possono essere sottili, ma sono una grande sostenitrice della necessità di continuare a spingersi sempre oltre i propri limiti. Questo nuovo album mi sembra un salto significativo per me, in molte direzioni. E il salto dai miei primi lavori a “July” è stato altrettanto significativo. Questi mi sembrano i due snodi cruciali della mia carriera.

Tornerai a esibirti anche in Europa e in Italia?
Sì, certamente. Ho suonato molto in Europa e in Italia in questi ultimi 20 anni. Non appena sarà sicuro farlo, ho intenzione di venire a presentare le canzoni ai miei ascoltatori anche lì.

Tu sei la dimostrazione vivente del fatto che ogni tanto a OndaRock ci abbiamo preso: ti seguiamo e ammiriamo con convinzione fin dai tuoi esordi. Quest’anno la nostra webzine compie 20 anni, abbiamo fatto un bel tratto di strada insieme e devo dirti che la cosa mi emoziona un po’…
Beh, è fantastico! Congratulazioni e grazie mille per aver sostenuto da sempre la mia musica. Spero che continuerete a scrivere di musica con estro e passione.

(28/11/2021)

***

Il Luglio caldo del dream-folk

Raggiungiamo ancora Marissa Nadler per un'intervista, in occasione dell'uscita del suo ultimo, prezioso album "July", che la vede a fianco di un produttore d'eccezione come Randall Dunn (Earth, Sunn O))), Wolves In The Throne Room).

Ripartiamo da dove ci siamo lasciati nel 2005. Dopo lo splendido “The Saga Of Mayflower May” sembra che tu abbia cercato nuove direzioni per la tua musica: hai inserito synth, chitarre elettriche, drum machine... Il folk acustico cominciava a starti stretto?
Sinceramente non mi sono mai considerata un’artista “acoustic folk”. Anche in “Ballads Of Living And Dying” ci sono dei synth e un sacco di riverberi, theremin e suoni atmosferici. “Saga” è stata probabilmente una breve incursione in quel territorio, ma sono tornata subito sulle mie rotte più “atmosferiche”.

In un certo senso mi sembra che i tuoi due ultimi album, “The Sister” e “July”, mostrino le due facce della tua musica. Su “The Sister” hai ritrovato la tua miglior vena melodica con arrangiamenti semplici e scarni, mentre in “July” hai trovato il giusto equilibrio tra folk acustico e suoni elettronici. Sei d’accordo? E quali pensi siano le principali differenze tra questi due lavori?
Beh, “The Sister” lo considero sostanzialmente un Ep e non un album completo. Sono molto più soddisfatta del modo in cui è stato concepito e prodotto “July”. Mi riferisco soprattutto al fatto che in “July” le canzoni sono più approfondite, si tratta di un album completo dall’inizio alla fine. Ero stata molto contenta del mio disco omonimo del 2011, mentre “The Sister” non mi ha convinto appieno e avrei preferito davvero che fosse stato un Ep. Di “July”, invece, sono pienamente soddisfatta e credo che sia il mio album più forte fino ad oggi.

Come mai hai deciso di puntare proprio su Randall Dunn come produttore per “July”? Nonostante il suo background musicale – Earth, Sunn O))) – possa sembrare un po’ lontano dal tuo, il vostro sodalizio funziona molto bene: qual è il segreto del vostro affiatamento?
Sì, in realtà poi lui non è così distante da me musicalmente. Ho conosciuto i membri degli Earth quando ho aperto i loro concerti alcuni anni fa, conoscevo Stephen O’Malley per i Sunn O))) e ho sempre ammirato il suo lavoro. Mi sento più incline ad ascoltare musica “heavy” che musica troppo leggera. Insomma, è una collaborazione che ha un suo pieno significato, specialmente dopo che ho contribuito a prestare i miei vocals all’ultimo album di Xasthur, un artista black metal.
Randall mi ha aiutato e mi ha detto che sarebbe stato interessato a produrre il mio prossimo album: non ho pensato neanche un secondo prima di dirgli di sì. Inoltre, per essere più precisi, lui ha lavorato con Jesse Sykes e Windows, quindi sarebbe limitativo, tutto sommato, definire Randall esclusivamente un produttore drone-black-metal. Sono sicura che lui vorrebbe essere definito in senso più ampio come un produttore musicale.

Le tue canzoni hanno sempre uno spirito molto invernale, stavolta però hai intitolato il disco “July”, come nasce questa scelta?
Le canzoni dell’album seguono gli eventi della mia vita dal luglio di un anno a quello del successivo. È stato anche registrato a luglio e così il titolo è stata una scelta scontata.

“July” esce per due importanti label internazionali. Come sei riuscita a mettere in contatto Sacred Bones e Bella Union?
È una storia lunga... In ogni caso, sono entusiasta in modo indescrivibile di lavorare con entrambe le label. Posso davvero dire che oggi le cose mi stiano andando magnificamente, anche considerato quanta sfortuna ho avuto in passato.

Il videoclip del primo singolo, “Dead City Emily”, è magnifico: ce ne puoi parlare?
È stato diretto da Derrick Belcham. Le protagoniste siamo io e la ballerina Emily Turndrup. Credo che cliccandolo e vedendolo ognuno potrà farsi una sua idea sul filmato, interpretandolo a modo suo. Quindi preferisco non descriverlo e lasciare tutto all’immaginazione del pubblico.

In “Was It A Dream” racconti la fine di una storia d’amore. “Drive”scava in altri ricordi dolorosi... Ci sono eventi particolari che ti hanno ispirato questi testi?
Sì, è tutto autobiografico, molti eventi personali hanno influenzato queste canzoni, ma preferirei non aggiungere altro: chi si prenderà il tempo per ascoltare attentamente le liriche del disco potrà riuscire a comprendere davvero queste storie.

Le tue canzoni sono state spesso affollate di personaggi e al tempo stesso autobiografiche... Come riesci a combinare finzione e realtà nei tuoi testi?
In passato usavo molti personaggi, ma ormai non c’è più finzione nelle mie canzoni. Insomma, ora sto scrivendo solo “non-fiction songs”!

Prima di dedicarti alla musica eri un’ottima artista visiva, vicino alla cosiddetta new wave of American Gothic. Credi che quell’estetica sia rimasta in qualche modo presente nelle tue canzoni?
Sì, mi sono laureata alla Rhode Island School Of Design. Però non mi considero in realtà parte di un gruppo o di una scena precisa. Non vorrei, insomma, identificare in alcun modo la mia musica e la mia attività artistica con un genere preciso: mi piace pensare che ognuno sia libero di interpretarli come vuole.

Ultima domanda: hai in in programma un tour per promuovere “July” e c’è qualche possibilità di vederti in Italia?
Assolutamente sì: lo sto organizzando.

(3/4/2014)


***

Ascesa di una folksinger

Può capitare ancora, nella frenetica giostra musicale contemporanea, di incontrare artisti che rispondono con rapidità e gentilezza alle tue domande, senza farsi desiderare e senza frapporre scomodi intermediari? Ebbene sì, è possibile se si ha a che fare con Marissa Nadler, cantautrice di Washington, che nell'anno appena trascorso ha infranto molti cuori con la sua "Saga Of Mayflower May". Una raccolta di ballate spettrali e struggenti, nobilitate dal suo mezzo soprano cristallino e da un sobrio corredo strumentale, per lo più acustico (chitarra a dodici corde, ukulele, flauto, banjo, organo, tastiere). L'attenzione dei media specializzati di tutto il mondo (da The Wire a Pitchfork) per questo e per il suo precedente disco ("Ballads Of Living And Dying") non ha ancora trovato in Italia un adeguato corrispettivo. Su Onda Rock, allora, andiamo orgogliosamente controcorrente: eleggiamo Marissa a folksinger del 2005 e glielo riveliamo subito, in apertura di questo nostro carteggio telematico.


Marissa, ti confesso subito di averti scelto come miglior cantautrice del 2005. Per tutti gli altri, che magari ancora non ti conoscono bene, ci puoi raccontare brevemente come si è sviluppata la tua passione per la musica e la tua carriera di folksinger?
Sono molto onorata di questi complimenti... Io sono una scrittrice, cantante e pittrice. Credo che la musica sia solo un'altra faccia del mio modo di esprimermi, di dar voce ai miei sentimenti. Da bambina, ero immersa profondamente nelle arti, e anche nella musica, ovviamente, ma ero più portata per la pittura. Ero convinta di diventare una famosa pittrice, scultrice o disegnatrice di moda. Mia madre è una pittrice e io volevo seguire le sue orme. Ma mi piaceva molto cantare: lo faccio da sempre e l'ho sempre trovato meraviglioso...
La prima vera esperienza musicale, però, è stata a 16 anni, in una band di garage-rock. Poi, ho capito che la mia voce era più adatta per altri generi musicali. Ho così approfondito la musica tradizionale degli Appalacchi, il folk, il blues e il jazz, ma senza smettere di ascoltare il rock più "classico". Penso ancora, ad esempio, che il " White Album " sia meraviglioso... La musica vecchia, insomma, mi attraeva di più. Mi piacevano le storie di tristezza e desolazione e così ho iniziato a cantarle e a scriverle: sognavo di diventare una blues-singer. Ma per molto tempo sono stata troppo timida per potermi esibire in pubblico. E' solo da un paio d'anni che ho preso il coraggio di esplorare appieno le mie potenzialità musicali, trovando finalmente la forza per cantare e suonare dal vivo.

Il tuo secondo album ci ha stregato fin dal primo ascolto. Ci puoi raccontare in cosa consiste la saga di Mayflower May? C'è una sorta di "concept" dietro? Che cosa lega le storie che racconti nelle tue canzoni?
Mayflower May, Flora Barone regina di Vaudeville, Mr. John Lee e la sua rosa vellutata, Henry, Lily e il suo tragico destino, Calico delle montagne, Shannadeeah che muore in guerra e torna in una bara, Annabelle Lee (non una mia creazione originale), Mary delle luci gialle... Si potrebbe dire che io sia guidata dai personaggi... Mi piace usare simboli, che spesso stanno per i miei amici, i miei amanti, i miei sogni in generale.
Il personaggio di Mayflower May, a cui avevo già dedicato una canzone nel primo album, è un mio alter ego, che vive e muore nel modo in cui io vorrei farlo, che soffre tutti i dolori che ho provato nella mia vita, dolori d'amore, innanzitutto, ma estremizzandoli al di là di quello che potrei fare io. Ad esempio, Mayflower May si suicida in un certo numero di modi su alcune delle canzoni, di entrambi i miei dischi. Tutti i personaggi, come Mr. John Lee, ad esempio, sono persone reali della mia vita, ma proiettate in uno spazio-tempo fantastico. Dove muoiono in ogni modo e vivono intense relazioni sentimentali.

Ascoltando il disco, mi sembra di poter dire che per te Joan Baez, soprattutto nella tecnica di modulare la voce, e Leonard Cohen, per la capacità di estrarre melodie ed emozioni da paesaggi sonori estremamente spartani, sono due riferimenti importanti. E' così?
Leonard Cohen ha avuto un'enorme influenza su di me, Joan Baez non direi. Capisco il perché di questo accostamento, per via della tonalità di voce soprattutto, ma credo che i miei riferimenti in ambito femminile siano principalmente Joni Mitchell e Nico.
Joan Baez non scriveva gran parte delle sue canzoni, aveva un'attitudine politica, era più poetica e cantava con uno stile più operistico. Credo in definitiva che sia Joni Mitchell la mia vera influenza tra le cantautrici.
Quanto a Leonard Cohen, invece, lo ammetto: lo considero un maestro e sono onorata del fatto che tu abbia sentito nella mia musica qualcosa di suo.

La ballata è un po' l'eterna fenice della musica popolare, un genere che sembra sempre sul punto di estinguersi e invece, miracolosamente, ritrova sempre nuova vita. Nel tuo caso, come ti approcci a questo tipo di composizione, quali aspetti - musicali e testuali - cerchi di privilegiare per perpetuarne la magia?
Beh, tutto quello che posso dire è di amare molto le canzoni tristi, quelle che ti spezzano il cuore. Mi sento come se non potessi mai avere l'urgenza espressiva di scrivere una canzone allegra. Si può dire che non abbia familiarità con la felicità, perché subisco l'influenza di tutti i demoni di questo mondo. Molte storie tristi che leggo nei libri o ascolto alla radio mi fanno venire voglia di scrivere qualcosa in proposito, di dare voce al dolore in forma di ballata. Sono una vera tradizionalista e mi piace la vecchia musica. E' come se, attraverso questo tipo di espressione, volessi rendere omaggio all'antichità.

Le tue ambientazioni sono sempre spettrali, malinconiche, direi invernali, ed è anche questo il senso che trasmette la grafica del tuo website. C'è qualcosa che ti ispira particolarmente in questo tipo di paesaggi e di umori?
Eh sì, l'inverno... Adoro l'inverno e mi sento "fredda" nel cuore. Mi piacciono i paesaggi spogli e surreali, e anche i miei dipinti sembrano solitari e invernali, come nelle sculture di Giacometti o negli acquerelli di Turner. L'estetica della tristezza è il mio terreno prediletto. Mi attirano le ferite e la morte, la violenza e il dolore, l'inverno e la solitudine. Mi piace creare atmosfere in cui la gente possa viaggiare, per fuggire dalle noiose trappole della modernità e dalla vuota plasticità del mondo moderno.

Quali sono i tuoi gusti musicali? Quale musica ascolti abitualmente?
Nina Simone, The Band, Nico, Lee Hazelwood, Josephine Foster, Leonard Cohen, Bob Dylan, Leadbelly, Billie Holiday: per me sono tutti una specie di medicina. Mi piace molta musica, in realtà: dall'opera al fado, dal country al folk. Nei miei dischi cerco di ricreare un piccolo amalgama dei miei generi preferiti.

Tu, Joanna Newsom , Elizabeth Anka Vajagic , Josephine Foster e perfino il ritorno della leggendaria Vashti Bunyan : sembra che per le folksinger sia un momento particolarmente felice. Come ti spieghi questa ri-esplosione del movimento folk, che anche sul versante maschile ( Devendra Banhart , Bonnie "Prince" Billy , Sufjan Stevens etc.) sembra riscuotere un inaspettato successo?
Forse il pubblico ha semplicemente bisogno di ascoltare musica vera, sincera, sia in ambito maschile sia in quello femminile. Credo che la rinascita del movimento folk sia molto positiva, perché dà voce a molte realtà non commerciali e oneste fino al midollo. Personalmente, amo tutti gli artisti che hai citato.

Il tuo sito parla di un imminente Ep: ci puoi raccontare qualcosa di questo tuo nuovo progetto?
In realtà sarà un album intero, del tutto inedito, e uscirà a marzo. Un'immagine psichedelica della Carter Family. Helena Espval degli Espers suona il violoncello, Greg Weeks il synth. Sono molto entusiasta di questo progetto e penso che sarà il mio disco migliore fino ad oggi.
Doveva essere un Ep, ma la musa della Tristezza ha colpito duro in questi giorni!

In un'altra intervista, hai dichiarato che il tuo stile potrebbe divenire più sperimentale. Puoi spiegarci più precisamente che cosa intendi?
Mi sento pronta a fare progressi. Ho realizzato due dischi che sono molto simili per stile e ora vorrei iniziare, ad esempio, a suonare di più il banjo e l'arpa, a tentare qualche esperimento con i beat. La mia estetica, comunque, rimarrà immutata: continuerò a comporre musica venata di malinconia, perché sono una ragazza triste.

Hai anche una piccola attività nel campo delle arti figurative: nel tuo sito sono raffigurati alcuni dipinti e sculture in legno...
Come dicevo, da ragazzina volevo fare la pittrice. Ho frequentato la scuola d'Arte e dipingere è ancora una parte rilevante della mia vita. Non avrei mai immaginato che il mio mestiere sarebbe stato quello di musicista e ho sempre pensato che mi sarei dedicata alla pittura. Ma ora comporre musica mi viene più naturalmente e adoro questo lavoro. Con la pittura avevo un rapporto più tormentato, una lotta per la perfezione. Nella musica, mi sento più libera di creare ed esplorare, in modo quasi artigianale.

Possiamo sperare di vederti suonare in Italia nel corso del 2006?
Sì, sarò in Italia a maggio con Jana Hunter. E non vedo l'ora!