Parliamo con lui di musica, di cinema, di attualità, e la conversazione sembra immediatamente quella di tre amici che si ritrovano sui divanetti di un club per discutere degli argomenti che hanno più a cuore - bastano poche parole, infatti, per sentirsi tutti a proprio agio e far cadere ogni possibile sovrastruttura al dialogo (cosa che, con grande orgoglio, ci regalerà i complimenti della band per l'intervista, a fine concerto). Un flusso, uno scambio continuo di spunti e impressioni, che partono dalla memoria storica della band, per arrivare al suo futuro.
Sono curioso riguardo ai tuoi inizi a nome Kunek. Si trattava della stessa line-up degli Other Lives? Come si è formata la band? Era la tua prima esperienza in una band?
Ho iniziato al liceo, in un gruppo punk; poi, nove anni fa in questo stesso mese [novembre, ndr], ho formato un trio strumentale, che si trasformò nei Kunek, nel quale c'era un ulteriore membro, in pratica co-fondatore della band. Quando le nostre strade si divisero dalla sua, pensammo che la cosa migliore fosse pulire il campo e cominciare da capo: trovare una prospettiva diversa su ciò che stavamo facendo, dove volessimo andare e dove fossimo stati; è questa la vera ragione per il cambio di nome, per il resto, tutti gli altri membri degli Other Lives erano già nei Kunek.
Non sapevo di questo inizio da musicista punk, che mi ricorda di uno dei miei cantautori preferiti al momento, Scott Matthew: anche lui ha iniziato in una band punk, e ora il suo sound è piuttosto dolce, delicato...
La musica punk è forte, in particolare quando sei giovane, quando hai quindici anni e hai voglia di tirar fuori la tua rabbia di adolescente. È bello, vorrei avere più energia da esprimere, ma non sono più così arrabbiato.
Si sente dire spesso che siete stati in studio sedici mesi per comporre e registrare "Tamer Animals". Vi ci è voluto così tanto per mettere insieme anche il disco precedente e quello dei Kunek? "Tamer Animals" è stato particolare, sotto questo aspetto, perché rappresenta il vostro vero "balzo creativo", il vostro tentativo più grande di creare la vostra impronta musicale?

È un disco autoprodotto e auto-mixato, e ci ha impegnati per un sacco di tempo, ma ci abbiamo messo tanto amore: ogni giorno ci alzavamo e lavoravamo sette-otto ore al giorno, su cose che avevamo imparato da soli. È stato l'anno e mezzo più bello della mia vita. Lavoravamo con la nostra attrezzatura, il nostro equipaggiamento, alla nostra maniera: l'abbiamo fatto a nostro modo e questo ha creato un senso di originalità nel disco. È un album molto personale, sentivamo di aver bisogno di un rifugio per farlo.
Il risultato finale assomiglia a ciò che avevi in mente fin dall'inizio?
È interessante, ogni volta che si registra è un'incognita; ma abbiamo cominciato impostando certi confini, dandoci degli obiettivi da ottenere: da una parte allontanarci dagli elementi rock tradizionali; dall'altra rendere i testi e la parte vocale meno personali, sebbene il disco sia molto intimo. Volevo che la voce suonasse molto lontana, come a volo d'uccello, che guardasse in basso, narrando e osservando piuttosto che semplicemente raccontando una storia. Quindi c'erano alcuni obiettivi che ci interessavano, ma in studio c'è sempre qualche sorpresa che capita.
La mia piccola critica alla band, per quel che vale, è che il disco comunica davvero questo enorme sforzo intellettuale, questa intensa spinta creativa. Questa è la forza principale dell'album, secondo me, ma anche la sua più grande debolezza. Rispetto ai lavori precedenti, si avverte naturalmente una maggior complessità, un maggior spessore, ma anche una certa freddezza, che non era presente nei due dischi precedenti e che non si riscontra nelle vostre esibizioni dal vivo. Riconosci questo come un aspetto che vorresti migliorare nei prossimi lavori?
Sono decisamente d'accordo, c'è sicuramente un tocco più umano nelle nostre performance dal vivo, c'è più emozione. Ma, direi, vocalmente e nei testi di "Tamer Animals" in particolare sento di aver raggiunto ciò che mi ero prefissato: non volevo essere un lead vocalist, volevo che la voce potesse essere qualcosa di coesistente con la musica, e posso capire, onestamente, che la nostra critica l'abbia notato, potrei anche essere d'accordo con te. Ma non lo estenderei a tutti gli altri dischi che ho fatto, e penso che ci sia spazio per altri punti di vista, per emozioni diverse convogliate dalla voce.
Come affrontate le differenze tra suonare dal vivo in un piccolo club, in un teatro o a un festival?
Non abbiamo necessariamente un approccio differente, ma è naturale che si suoni un po' diversamente. A volte in un club ti senti più simile a una rock band, senti il tutto più sul piano fisico, diventa una performance soprattutto fisica. A volte, in un luogo veramente grande, come quello a Parigi, è un po' più del tipo "Ok proviamo a suonare come un ensemble" e le cose rimangono più confinate all'interno del gruppo. Ma amo le differenze, a volte è bello avere un'attitudine mentale calma, riservata, altre volte va bene lasciarsi andare e prenderla in modo più "nevrotico".

Questo è un approccio al cantautorato che hai, visualizzi ciò che vorresti comunicare con la musica, o è qualcosa che emerge più tardi?
Beh, è una cosa strana, perché si tratta di un po' di entrambe. È un ritorno a quell'idea di avere qualcosa in se stessi, a quello si è, dei sentimenti che vorresti esprimere, e, allo stesso tempo, al cercare davvero di scrivere musica evocativa di paesaggi, di uno scenario. Sono dell'Oklahoma, vorrei comporre musica che dipinga ciò che mi circonda, e anche prendere in considerazione, nei testi, temi che abbiano a che fare con l'osservazione del paesaggio, dei canyon, relativi all'ambiente. Sono questioni che ho nei meandri della mia mente, e questo filtra in ciò che scrivo, e ne scrivo, ne scrivo, ne scrivo. È strano come queste cose trapelino, perché stai cercando di fermarle, di fissarle: è una reazione dell'inconscio e, insieme, del subconscio. La speranza è che questo passi da ciò che uno esprime in modo da renderlo una comunicazione coerente.
Cosa provi nel sentire le tue canzoni in serie Tv popolari come "Grey's Anatomy" o "Ugly Betty"?
Guardo a tutto ciò come a grandi possibiliità dal punto di vista finanziario; so che suona un po' freddo, ma è il modo col quale i gruppi fanno soldi: sai, le band come la nostra non guadagnano con la vendita dei dischi. Così, quando capitano, queste opportunità ci permettono di continuare ad andare in tour e far arrivare la nostra musica a più persone possibili - perché è questo il nostro vero obiettivo, non fare soldi. Insomma è una grande opportunità per continuare a fare ciò che vogliamo.
Hai visto gli episodi?
No. [ride, ndr]
Per gioco, che tipo di film potrebbe utilizzare la vostra musica come colonna sonora? Puoi inventarne uno o scegliere un film esistente.
Vorrei un film in cui la musica e le immagini coesistano, in cui la musica non sia solo il sottofondo. Mi piace l'idea che gli aspetti visuali e sonori convivano, vorrei fare qualcosa del genere.
Come Philip Glass e Godfrey Reggio...
Sì, esatto. "Koyaanisqatsi" è un gran film, è davvero un film che funziona insieme alla musica. Mi piacerebbe vedere più pellicole così: per esempio, Kubrick lo fa in modo bellissimo. Ho appena visto un film del genere, "The Tree Of Life", ha di questi momenti, e sono davvero preziosi: stai guardando e ascoltando allo stesso tempo, è una combinazione grandiosa.
Le tue canzoni sembrano scritte per andare oltre un tempo definito. Ma, nonostante questa atemporalità, si avverte un'ansia che forse proviene dal presente, da ciò che è contingente. Qual è la tua percezione del futuro, per il tuo Paese o, più in generale, per il mondo?
Penso che molte persone siano preoccupate, e io con loro. Penso che il mio compito come artista non sia dire quello che penso di politica o politiche, ma osservare e creare qualcosa di veritiero, che porti le persone in un luogo di positività. Questa è la mia aspirazione come musicista, ma, con essa, vengono diverse responsabilità. Cerco di non giudicare troppo, di non accusare la gente per come vive. Ma ho delle preoccupazioni, siamo tutti troppo agitati; allo stesso tempo credo che, avendone la possibilità, tutti vivrebbero nel modo giusto. Penso che un giorno, lo spero, le persone realizzeranno di avere più controllo di quello che pensano di avere. Questa è la mia speranza per il futuro.
Ho letto che ti piace leggere Kurt Vonnegut. Un tipo che conosco conduceva un programma radio nel quale fingeva di riportare conversazioni telefoniche avute con lui dopo la sua morte. Se potessi fare una di queste telefonate, cosa chiederesti o diresti a Vonnegut?

Aprirete per i Radiohead nel loro prossimo tour tra Stati Uniti e Regno Unito. Come vi sentite? Siete loro fan?
È fantastico, l'abbiamo appena scoperto... Sai, se dicessi che non ci ho mai pensato sarei decisamente un gran bugiardo. Voglio dire, da quando abbiamo iniziato è stato una specie di sogno, ci dicevamo: "Saremmo così felici di farlo" ed eccoci qua! Siamo così contenti e onorati di poterlo fare. Hanno avuto una tale influenza su di noi, siamo così tanto loro fan... Tra l'altro sono davvero ansioso di sentire il loro nuovo disco dal vivo.
[Stefano, ndr]: Non mi piace, devo ammetterlo; mi sono piaciuti tutti i dischi dei Radiohead a parte quest'ultimo...
È il mio preferito da - credo - "Amnesiac". Devi ascoltarlo in cuffia, è un disco del genere, perché c'è un vero senso dello spazio, ed è registrato perfettamente. È proprio un luogo diverso, penso che sia un disco molto intelligente, un disco veramente "prodotto". È grandioso.