Nato per per caso (galeotto fu un disco di Kanye West apparso in sogno a qualcuno...), il collettivo dei PACOL. si è imposto come una delle realtà musicali più interessanti e originali dell'anno, grazie a "Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!", album orgogliosamente autoprodotto che porta a piena maturazione l'idea di una plunderphonics/sample-based music, il cui scopo è la ricontestualizzazione di materiali sonori provenienti dai generi più disparati e dalla vita di tutti i giorni. Per scavare ancora più a fondo tra i segreti di una musica tanto avventurosa quanto misteriosa, abbiamo contattato Carlos Arrazola aka Tau-9 e Noah Chalfant aka bphax, che del collettivo sono i membri più attivi. Il risultato è una lunghissima chiacchierata in cui, a un certo punto, ci siamo ritrovati a parlare di trap, "Stranger Things", pandemia, identità, "Twin Peaks", universalità e persino de "L'arcobaleno della gravità” di Thomas Pynchon...Partiamo dall'inizio della vostra avventura: perché avete esordito con un remix “creativo” di "The Life Of Pablo" di Kanye West?
Tutto è accaduto un po’ per caso: su 4chan ci siamo imbattuti in un post anonimo in cui un tizio descriveva un suo sogno in cui aveva ascoltato un nuovo album pubblicato da Kanye. L'album in questione si chiamava "The Death Of Pablo" e il post conteneva anche informazioni sul contenuto dell'album, tipo la tracklist e il mood generale dei vari brani. Un po’ tutti gli utenti del forum, inclusi gli attuali membri dei PACOL., pensarono che l'idea fosse interessante, e quindi decidemmo di lavorarci su per realizzarla.
Qual è il vostro background musicale?
Noah: Non ho una formazione formale per quanto riguarda gli strumenti che utilizzo (pianoforte, chitarra, sintetizzatori etc.), quindi immagino che potresti chiamarmi “autodidatta”. Al liceo, ho suonato nella marching band, soprattutto per questioni di socialità, e ho suonato il trombone, ma non l'ho mai usato su un disco dei PACOL. (o almeno non ancora). Quando ho iniziato ad ascoltare musica, mi piaceva solo roba elettronica (Boards of Canada, Autechre, tutto il catalogo della Warp Records), quindi non ho mai suonato davvero in una band, tranne che per un breve periodo quando, al liceo, entrai a far parte di un'orribile band indie-rock. Questo è probabilmente il motivo per cui mi parve una cosa naturale iniziare un’avventura come quella dei PACOL.: perché, fin dall'inizio, sono stato da solo, a parte alcune collaborazioni online prima ancora che tutto iniziasse.
Carlos: Il mio background musicale è piuttosto ampio e si è sviluppato molto durante gli anni. Ho iniziato a suonare la chitarra quando avevo 14 anni e all'epoca suonavo in programmi in cui, insieme ad altri ragazzi, si faceva del rock. Dopo un po’, però, il fatto di suonare soltanto finì per rendermi molto insoddisfatto. Quello che volevo era creare musica, più che suonare le canzoni di altre persone. In seguito, ho anche studiato chitarra classica per qualche anno, e attualmente sto studiando tecnologia/ingegneria audio al college. Quindi, la musica ha fatto parte della mia vita (e, probabilmente, continuerà a farlo) anche al di fuori del contesto della creazione musicale. Principalmente, suono la chitarra, il basso e la batteria, ma anche tanti altri strumenti, quando mi capitano sotto mano.
Come definireste la musica dei PACOL.?
Essenzialmente, ci piace pensarla come una plunderphonics/sample-based music. Per ampliare il nostro suono in modo significativo, ci lasciamo influenzare da generi quali l’elettronica sperimentale, l’hip-hop, la musica ambient e il rock, ma alla base della nostra visione musicale c’è l’idea di ricontestualizzazione. Dal pesante remix-rivisitazione di “The Life Of Pablo” del nostro primo album, ai diversi sample, field-recordings ricontestualizzati e frammenti delle nostre vite personali che sono alla base di “Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!”, è questo di cui ci siamo sempre occupati, perciò la ricontestualizzazione è alla base della nostra produzione musicale.
In che modo la plunderfonia (una forma di composizione musicale basata sull'uso di registrazioni audio preesistenti o, come ebbe a definirla il suo ideatore, John Oswald, "tecnica e filosofia dell’appropriazione") ha influenzato - se lo ha fatto – la vostra visione del mondo?
Noah: È vero che la nostra musica ha preso la rincorsa dalla plunderfonia, ed essa è sicuramente un elemento forte del nostro suono, ma non ci consideriamo una band tipo The Avalanches o roba del genere. Gran parte del nostro ultimo album è basato su composizioni originali e, anche quando utilizziamo dei sample, questi o sono alterati in maniera tale da diventare irriconoscibili, oppure rappresentano il punto di partenza intorno a cui costruire un brano nuovo di zecca. Tuttavia, l'idea alla base della plunderfonia ci interessa davvero. Per quanto mi riguarda, credo che l’artista debba tenere in considerazione tutto quello che lo circonda. Se mi piace il modo in cui un albero fruscia nel vento, se mi lascio stuzzicare da una strana conversazione che ascolto per strada o se, ancora, mi concentro su qualcosa di più tradizionale, tipo, per esempio, una bella canzone funk, questo accade perché, in fondo, so che tutto può diventare musica. Per me, la plunderfonia è molto più forma che funzione. È uno stato mentale che ti spinge ben oltre una tastiera o uno strumento qualsiasi.
Carlos: Sono molto interessato alla plunderfonia e alle varie forme che può assumere, dalle rielaborazioni radicali di materiale preesistente per creare musica nuova di zecca, a leggere variazioni dello stesso, in modo da alterare la struttura concettuale che è alla base di un brano musicale. Tuttavia, penso che il modo in cui, nel nostro ultimo album, ci siamo avvicinati alla plunderfonia sia diverso da quello di molti altri artisti che gravitano intorno a questa galassia sonora, e questo perché i sample di solito sono utilizzati più come fonti timbriche e materiche che come sorgenti legate a un certo ambito della storia della musica. Adoro la tecnica del campionamento, perché può ridurre la totalità di un brano musicale a un solo suono; quando quest’ultimo viene contrapposto o legato ad altri sample, la musica diventa più profonda in un modo che un singolo strumento non può replicare. Ciò non significa, comunque, che non mi piaccia utilizzare gli strumenti cosiddetti “normali”. Li uso ad esempio per dare più intensità al suono su cui mi ritrovo a lavorare, oppure per renderlo più stratificato. In ogni caso, la pura ricchezza materica di un sample è qualcosa che, per quanto mi riguarda, non può realmente essere replicato da alcunché.
Molta plunderfonia usa il contesto in cui esistono i pezzi come punto di partenza per la musica, sia che si tratti di una dichiarazione sulla musica originale o semplicemente come una fonte di ispirazione. Molti artisti plunderfonici operano in questo modo, per cui gran parte della musica diventa un commento diretto o rappresenta uno sviluppo del pezzo originale stesso (le opere di John Oswald o dei Negativland sono buoni esempi, in tal senso). Questo si può applicare anche ad alcuni movimenti musicali di questi anni, tipo la vaporwave, in cui l'estetica dozzinale della musica degli anni Ottanta che viene campionata è sfruttata e sviluppata all'interno delle opere creative del genere. Insomma, la musica prodotta da molti artisti che usano le tecniche plunderfoniche porta l'attenzione diretta sul campione stesso e sulla sua esistenza come campione di qualcos'altro. Certo, non mancano esempi di artisti e band che lavorano in modo diverso (mi vengono in mente The Avalanches), ma la maggior parte di loro usa i sample in modo molto semplicistico, facendoli intenzionalmente suonare come dei “sample”, come qualcosa che, insomma, viene "strappato via" o separato dal suo contesto originale, per essere inserito in uno del tutto nuovo. Facendo questo e portando, quindi, l'attenzione direttamente sul fatto che il brano musicale è composto da qualcosa che viene ricontestualizzato, si finisce per trasformare il sample ricontestualizzato in un commento del sample così come esso si presentava nell’ambito del suo contesto originale. In tal senso, il secondo diventa una sorta di “stadio successivo” del primo. Anche se questo approccio è qualcosa che troviamo incredibilmente interessante, tanto da averlo esplorato direttamente in "The Death Of Pablo", su "Everyone On Planet Earth…” abbiamo preferito evitarlo. Nonostante ciò, credo sia impossibile togliergli l’etichetta “plunderfonia”, visto che tanti suoi segmenti (probabilmente, la maggior parte di essi) utilizzano pesantemente dei sample o sono quasi interamente realizzati a partire da essi.Che tipo di sample avete utilizzato in "Everyone On Planet Earth, This One's For You. Let's Rock!"?
Per questo album, ci siamo serviti di sample tradizionali e di field-recordings che noi stessi abbiamo registrato. Quando campioniamo musica, ne alteriamo l'audio a tal punto da renderlo irriconoscibile, rendendo quindi i sample un vero e proprio strumento. Alcuni sample di "Everyone On Planet Earth…”, tuttavia, sono relativamente intatti e siamo curiosi di vedere cosa riescono a capire gli ascoltatori. I field-recordings, invece, servono sia come vignette, che come elementi strutturali dell’album. Per fare un esempio: una sezione dell’album è occupata da un sample ricavato da un concerto corale a cui Noah partecipò alcuni anni fa. Ci sono anche alcuni byte sonori e frammenti di informazioni relativi alle nostre persone (non dunque al nostro essere artisti) che sono sparsi lungo un po’ tutto l’album. Spesso includiamo molti elementi personali nella nostra musica, quasi a voler offrire agli altri l'opportunità di avere una sorta di finestra sulla vita di un'altra persona. A volte, le registrazioni che riguardano direttamente le nostre vite dicono di più di quanto non facciano i testi scritti. Dato che c’è voluto molto tempo per realizzare "Everyone On Planet Earth...", siamo stati costretti a tagliare numerose jam session, bozze ed esperimenti. Alcune parti di synth e persino alcuni segmenti dell’album sono in realtà pezzi di musica che erano stati pensati e registrati per precedenti progetti, e alcuni dei brani più vecchi risalgono addirittura al 2018.
Qual è il tema principale dei testi?
Il tema della documentazione è presente ovunque in tutto l'album, dai sample ai testi. I field-recordings sono istantanee colte in un preciso momento: una volta finite su disco, sono destinate a essere conservate nel tempo. I testi, invece, sono spesso contrastanti nel tono o nel punto di vista, poiché sono stati scritti nel corso di due anni. Tutto questo è, però, intenzionale, dato che uno degli scopi dell'album era quello di trasformarsi in un documento di una parte molto precisa della vita di qualcuno: la transizione verso l'età adulta.
Molte delle suite di "Everyone On Planet Earth…” affrontano temi diversi. La sesta parte ("Tuesday's Gone And Passed Away") riguarda le relazioni interpersonali, dalle amicizie alle storie d'amore. La terza (“The Remote Viewer Country Star”) esplora il modo in cui la tecnologia influenza la nostra percezione delle cose. Invece, la quinta (“The Superheroes In My Brain Are Here, And They Are Dangerous”) si concentra su domande e problemi riguardanti l'identità e su come l'identità personale muti lungo il corso del tempo. Un altro grande tema è quello della totalità o dell’universalità. Tutte le persone fanno esperienze più o meno simili, per cui, anche se nell’album si esplorano in profondità solo le vite di poche persone, ci auguriamo che quanti abbiano ascoltato o ascolteranno l'album possano individuare qualcosa che riguardi anche il loro essere.
"Everyone On Planet Earth..." è diviso in otto parti. Può essere considerato un concept-album?
Noah: No, il modo in cui sviluppiamo le idee è troppo amorfo per definirlo un concept-album. All’epoca della sua registrazione, sia io che Carlos stavamo affrontando esperienze simili, ed entrambi eravamo ossessionati da particolari idee sonore, e questo ha sicuramente avuto una ricaduta sulla musica. Se c'è un concept alla base di "Everyone On Planet Earth…”, è quello dell'universalità, quello del tentativo, da parte degli uomini, di connettersi gli uni con gli altri.
Carlos: Odio definirlo un concept-album, perché ho sempre pensato che designare le cose in questo modo (almeno per quanto mi riguarda) sia un po’ sciocco, anche se alla base della costruzione dell’album ci sono certamente dei principi guida, in un modo che penso potrebbe differire dall'interpretazione che del disco ha fornito Noah. Non sono del tutto sicuro di cosa "avrebbe dovuto essere" l'album quando è stato pensato per la prima volta nel 2018 ma, al momento della sua uscita, avevo una visione, un'idea estremamente chiara e definita di cosa fosse l'album e di cosa contenesse. Una cosa che mi impedisce di definirlo concept-album in tutto e per tutto è che non esiste davvero una narrazione/trama precisa che collega le diverse suite insieme; sono le loro singole vignette di momenti e di raccolte di pensieri che, per lo più, sulla scorta della mia vita, finiscono per trovare una sorta di connessione. Non c'è un preciso legame concettuale tra le diverse suite, a parte il fatto di attingere dallo stesso materiale di partenza. Inoltre, man mano che passano i minuti, l'album generalmente tende a diventare più brillante e più carico di speranza. Tuttavia, la continuità all'interno di ogni suite è abbastanza sviluppata, sia che si tratti di una piccola sezione incentrata sulla mia vita, sia che riguardi le sezioni contraddistinte da una stessa temperatura emotiva.Uno dei temi dell'album è l'identità e il modo in cui l'identità personale cambia nel tempo. In che modo, a vostro avviso, la musica influenza la nostra identità? Rispetto ad altre tecniche musicali, ritenete che la plunderfonia abbia una connessione più intima con il nucleo ultimo della nostra identità?
Noah: Penso che la musica amplifichi ciò che già sento e orienti la percezione dell’origine e della direzione delle mie sensazioni. Essa fornisce una base ai sentimenti, per cui gli stessi possono svilupparsi più facilmente in un'identità. La plunderfonia, avendo un raggio d'azione più ampio nell’individuare i confini di ciò che è musica e del modo con cui quest’ultima può rappresentare i sentimenti umani, apre davvero la porta a ulteriori sperimentazioni su quel fronte. La mia identità è stata certamente influenzata e segnata dalla musica che ho incrociato durante la mia vita. Come capita alla maggior parte delle persone, anch’io quando ascolto la musica che più mi piace finisco per ritornare con la mente a quando avevo diciotto anni, e proprio questa sua capacità di generare un tipo di identificazione così estrema è il motivo che mi ha spinto ad amarla.
Carlos: Penso che quasi tutta l'arte sia, in fin dei conti, un riflesso del Sé. Ciò può essere offuscato ed eluso (o, almeno, si può tentare di farlo) in molti modi diversi, ma l'arte ti dirà sempre molto sull'artista. Quando creo musica, uno dei miei obiettivi è, in un certo senso, quello di eliminare il mediatore, cercando di essere veramente me stesso e aperto, in modo da rendere l'ascolto della musica più di un'attività puramente personale. Questa prospettiva può essere almeno parzialmente correlata alla situazione globale in corso: non vedo una persona della mia età (a parte l’amico pittore responsabile della copertina del nostro ultimo album) da quasi sette mesi, quindi la musica è diventata per me uno strumento per entrare in contatto con gli altri, anche se soltanto in discussioni su Internet. Quale modo migliore per favorire ulteriormente la connessione, se non rendere la musica stessa un riflesso dell'identità personale! Spero che gli altri possano, attraverso il nostro ultimo album, conoscerci un po’ di più. Per quanto riguarda la plunderfonia, sebbene non sia stato questo l’approccio con cui l’abbiamo utilizzata in "Everyone On Planet Earth...", essa ha, nel suo insieme, un legame estremamente intenso con l'identità, in quanto è in parte un riflesso della cultura umana nel suo complesso. Questa forma d'arte è intrinsecamente legata a cose che le persone hanno fatto in passato, ed è significativamente meno astratta nella sua base contestuale rispetto alla "musica rock", dato che è sempre legata a qualcosa di concreto. La fonte del sample esiste già e ha una sua storia, quindi la plunderfonia si traduce troppo spesso (anche se magari involontariamente) in un commento al materiale campionato. Per "Everyone On Planet Earth...", abbiamo utilizzato solo sample di musica che amiamo, per cui riteniamo che il nostro apprezzamento e la nostra passione per essa emergano già dal materiale campionato.
Che ruolo hanno avuto, invece, Ben Casey e Freeman Lattin nel vostro ultimo album?
Carlos: Ben Casey è stato responsabile di un piccolo lavoro di produzione sulla prima e ultima traccia (passaggi importanti della produzione sono stati campionati da pezzi che aveva approntato in passato per quelle stesse sezioni). Invece, Freeman Lattin ha suonato le varie parti di sax. Entrambi hanno anche realizzato alcuni “appunti” vocali usati nell'album, sebbene nessuno di essi fosse stato registrato per l’occasione, ma in altri contesti. Questo si può dire per molti degli “appunti” vocali di "Everyone On Planet Earth…”: pochi sono stati effettivamente scritti e registrati per finire in quei solchi. Durante la realizzazione dell’album, sia Ben che Freeman (ma anche Sam Hulme) si sono dimostrati dei buoni amici e ci sono stati sempre vicini.
Noah: Sì, sono entrambi parte integrante dell'album, anche se in modi diversi. Le parti con cui Ben ha dato il suo contributo sono nate da una mia collaborazione con lui, e mentre io e Carlos andavamo progressivamente chiarendo a noi stessi la vera natura dell’album, divenne chiaro che la musica di Ben era perfetta per aprirlo e chiuderlo. Trovo che il sax di Freeman sia davvero molto importante, perché ha donato alla musica di "Everyone On Planet Earth…” umanità e varietà. A causa della nostra impossibilità di lavorare con una strumentazione dal vivo (fatto salvo l’uso della chitarra e del synth) o, comunque, di ricorrere a dei musicisti di studio, penso che qualsiasi “performance” possa rivelarsi importante per noi. A conti fatti, amo tutto dei PACOL.: ho a che fare con dei ragazzi che sono dei veri amici. Anche se l'esperienza del collettivo dovesse finire, sarei felice anche solo di cazzeggiare o di rigirarmi i pollici insieme a loro, e mi piacerebbe molto incontrarli nella vita reale. La loro influenza sulla mia vita si è rivelata fondamentale non soltanto per la creazione della musica di questo album.
Avete registrato il vostro secondo album, "A 55 Minute Message From The Pablo Collective", con l'attuale formazione?
Era una line-up molto simile a quella più recente: Noah curò la produzione, Carlos lo aiutò e in più scrisse i testi e si occupò delle voci; Sam Hulme, invece, diede una mano in fase di produzione in una traccia, Freeman Lattin suonò il sax, mentre Ben Casey realizzò l'artwork dell’album.
La copertina di "Everyone On Planet Earth…” mi piace molto. Cosa rappresenta esattamente?
Carlos: La copertina dell'album è stata dipinta da un mio buon amico, che appare anche nel video del brano “Untouched” e la cui voce si sente da qualche parte in “Tuesday's Gone And Passed Away”. L'artwork è stato dipinto intorno alla metà del 2018 (quando avevamo già iniziato a lavorare all’album) e si basava su un sogno fatto da un altro mio amico, in cui il personaggio che compare sulla copertina muore durante una performance teatrale. Sono sempre stato uno che si fida dell'intuizione dei sogni (la mia stessa vita ne è stata influenzata, ma anche molte delle decisioni relative all’album, così come l’inclusione nelle sue tracce di determinati materiali, tra cui proprio la descrizione di alcuni sogni): per cui, quel dipinto era davvero perfetto per catturare l'atmosfera dell'album e così chiesi di poterlo utilizzare per la copertina.
Qual è il vostro rapporto con l'hip-hop?Noah: Siamo tutti grandi fan e, come ormai è chiaro, è stato proprio l'hip-hop che ci ha fatto incontrare. Il sound che amo di più è quello di Memphis, insomma le cose che facevano i Three Six Mafia, Mack DLE, e via discorrendo. Quella roba è eterea e di basso profilo, ma mi piace tutta. E amo, ovviamente, Kanye West, che per me rappresenta un'ispirazione sia a livello di sound che di atteggiamento. In ogni caso, quando abbiamo varato il progetto PACOL., la nostra scelta è stata quella di non fare hip-hop puro e semplice, perché nessuno di noi voleva essere un rapper in senso tradizionale e non volevamo sentirci limitati dalla scelta di un genere preciso. Credo, comunque, che amiamo l'ethos e tutto ciò che riguarda l’hip-hop più di ogni altra cosa: nell’intimo di ognuno di noi, sentiamo di essere dei b-boy e dei punk. Ma, anche se rispettiamo la tradizione e ci impegniamo per essa, in questo momento non abbiamo voglia di suonare hip-hop. Da tempo, invece, ci interessa molto sintetizzare i suoni della musica elettronica sperimentale (Autechre - noi AMIAMO gli Autechre! - Stockhausen, Oneohtrix Point Never) e quelli della musica trap, e abbiamo già provato a mettere a frutto questa nostra passione sull’Ep “Ckyou” che abbiamo pubblicato l'anno scorso. Si tratta di un progetto-scherzo di lunga data, che suona come se stessimo cercando di fare la musica del 2030 prima del 2030…
Carlos: Ho cominciato ad apprezzare seriamente l'hip-hop quando ho iniziato ad ascoltare la musica a un livello più profondo (insomma, niente più canzoni beccate per caso alla radio o ascoltate distrattamente in macchina). Quello che mi ha sempre affascinato dell’hip-hop è la sua capacità di inventiva musicale e l’importanza che, in esso, viene data ai testi, e per questo credo si tratti di uno dei generi più interessanti dal punto di vista sonoro che ci sono oggi in circolazione. A parte l’enfasi posta sul ritmo, non c’è un preciso "suono" dell’hip-hop. Più che altro, esso rappresenta una sorta di parco giochi sonoro, in cui fioriscono molte idee diverse, che attingono, in modi diversificati, da tutti i tipi di generi del passato, oltre che da quelli più nuovi. Abbiamo tentato di sintetizzare l'hip-hop nel nostro sound a cominciare dal remix di “The Death Of Pablo” di Kanye West, virando verso un suono più elettronico su “55 Minute Message” e l’Ep “Ckyou”, ma in parte anche sul nostro ultimo disco come accade, ad esempio, in “The Remote Viewer Country Star”. Tuttavia, proprio "Everyone On Planet Earth..." è, fino a questo momento, il nostro lavoro meno influenzato dall'hip-hop, soprattutto perché c’è più enfasi “ambient” e più ricerca di “soundscaping”. In ogni caso, il mio desiderio è di coniugare tutto ciò proprio con la musica hip-hop. Forse in futuro proverò a sperimentare di più con le sue tecniche, ma per il momento è solo un’ipotesi.
So che curate anche dei progetti solisti…
Noah: Il mio progetto solista è una strana creatura, perché mi sono sempre sentito più vicino a un produttore che a un vero "artista". Voglio dire, io sono decisamente entrambe le cose, ma la mia sensibilità sonora ed estetica spesso ha la precedenza sulla scrittura delle canzoni. Tuttavia, sono davvero orgoglioso di quanto sto facendo, al momento, in solitaria. Ho realizzato un Ep (“NHRNSET/DRONED SECTIONS”) davvero denso che nessuno ha mai ascoltato e che riproduceva un live-set che all'epoca stavo allestendo, ma il mio lavoro più importante è l’album “Stranger Things Volume Three” (2017), che è fondamentalmente il mio tentativo personale di registrare una migliore (o comunque nuova) versione della colonna sonora della serie televisiva “Stranger Things” e, dato che la seconda stagione stava uscendo (se ben ricordo) proprio all’epoca, decisi di anticipare la colonna sonora della terza ancor prima che la stessa venisse realizzata. Ovviamente, il titolo è un po’ ingannevole, ma volevo proprio che il nome "Stranger Things" facesse colpo sulle persone, in modo da spingerle ad ascoltare l’album. In fondo, mi sono sempre sentito un imbroglione, anche se ufficialmente faccio musica più “intellettuale”, qualunque cosa ciò significhi, perché non è che ami molto fare distinzioni così nette quando si parla di musica. Voglio solo far emergere il mio suono, e se ho bisogno di usare un nome famoso per convincere la gente ad ascoltarlo, così sia. Detto questo, al momento sono alle prese con un lavoro di ambient tradizionale, ma sto già iniziando a lavorare su musica più dinamica. Come è accaduto nell’ultimo album dei PACOL., tiro dentro più elementi sonori diversi tra di loro e anche molti riflessi della mia personalità, oltrepassando, quindi, i confini dell’ambient o dell’hip-hop. A volte penso che la mia attività da solista stia in bilico tra la voglia di fare un buon album che mi soddisfi emotivamente e sonicamente e il desiderio di sentirmi più come un compositore di colonne sonore o un vero e proprio produttore.
Carlos: La mia carriera da solista al momento è piuttosto limitata. Prima di “The Death Of Pablo” avevo realizzato un po’ di cose, ma niente che fosse al suo livello, per cui quell’album è stato, in un certo senso, il mio primo, vero progetto. Da allora, ho fatto altre cose da solista, ma la maggior parte del mio tempo e delle mie energie è stata impiegata per gli album dei PACOL., perché sentivo che si trattava delle cose più interessanti a cui potevo dedicare il mio tempo. Tuttavia, dopo "Everyone On Planet Earth..." ho intenzione di dedicarmi di più ai miei progetti solisti, perché voglio approfondire un nuovo stile/tipo di musica, magari in una certa misura ancora influenzata da ciò che ho fatto con i PACOL., anche se più concentrata sui dettagli, sulla produzione e leggermente più accessibile (non ho comunque intenzione di sacrificare la mia integrità artistica). Ho bisogno di guardare oltre, perché voglio integrare molte idee sperimentali e legate al sound design in un affresco musicale più pop, in modo da creare qualcosa di veramente strano, ma che sia anche divertente e coinvolgente. Devo ancora definire al meglio il tutto, ma prima o poi pubblicherò qualcosa per lanciare questo mio nuovo progetto.
Cinque album che considerate fondamentali per capire l'ultimo decennio e perché...
Noah: Beh, dipende da cosa intendi per “capire”. In un senso ampio, storico e sonoro, penso che potrebbero essere:
Kanye West – “The Life Of Pablo”: perché è altamente dinamico, a livello di produzione è caratterizzato da molte caotiche bizzarrie e poi, con la sua struttura, imita lo stato emotivo dell'artista.
Oneohtrix Point Never – “Garden Of Delete”, per quella miscela di rabbia e opacità.
LCD Soundsystem – “This Is Happening”, non solo perché è semplicemente fantastico, ma perché serve anche da contesto in cui osservare ciò che è cambiato negli ultimi dieci anni (nessun ottimismo, nessun’idea di eredità).
Lil Ugly Mane – “Mista Thug Isolation”, per aver riportato in auge il suono di Memphis e per aver offuscato il confine tra parodia e omaggio
Sun Kil Moon – “Benji”, per aver rappresentato il ritorno alla sincerità contro l'invecchiamento e il muro di malessere postmoderno.
Per inciso, ho tralasciato molti grandi album (odio fare delle liste proprio per questo motivo: è quasi emotivamente difficile), ma quelli che ho scelto evidenziano tutti il modo attraverso cui l'artista sceglie generalmente di rappresentarsi, e come sia proprio questo a mutare la struttura del loro lavoro. Da questo punto di vista, “The Life Of Pablo” è l'esempio migliore e più grande.
Carlos: Questa è una domanda divertente! Ecco le mie scelte, così… su due piedi.
Autechre – “Oversteps”: per aver introdotto uno stile di musica elettronica melodica, ma sperimentale, la cui influenza si fa sentire ancora oggi su artisti come Oneohtrix Point Never e tutti quelli che appartengono alla scena Pc music/hyperpop (ma la sua influenza è arrivata anche su altri lidi).
Chuck Person (Oneohtrix Point Never) – “Eccojams, Vol. 1”: per essere stata la versione definitiva della plunderfonia degli anni 10 e per aver diffuso la vaporwave nel mondo, un genere che, oltre a caratterizzare gran parte dell’underground durante la prima parte dell’ultimo decennio, ha influenzato molte altre cose al di fuori del suo recinto, grazie alla sua estetica e al suo sound.
Playboi Carti – “Die Lit”: per aver creato un album che rappresenta lo zeitgeist hip-hop della fine degli anni 10, e per aver portato a perfezione la fase moderna della trap-music, il tutto con un album coerente da cima a fondo, a differenza di altri dischi appartenenti allo stesso genere, nati più per raccogliere dei singoli - come da canone trap, del resto (anche “Barter 6” di Young Thug potrebbe comparire in questa mia lista, ma penso che “Die Lit” sia un po’ più interessante).
Sun Kil Moon – “Common As Light And Love Are Red Valleys Of Blood”: perché è un album follemente “aperto” e personale, che infrange le regole di ciò che dovrebbe essere la musica folk. Ma anche perché è caratterizzato da un nuovo stile di creazione lirica, che presumo influenzerà molti in futuro (come già, in una certa misura, ha fatto con me).
Kanye West - "The Life Of Pablo": per essere forse l'incapsulamento più perfetto degli anni 10 nel loro insieme, sia culturalmente che musicalmente, ma anche perché è uno dei pochi album che riporta tutti indietro al momento della sua pubblicazione, quando si impose immediatamente per la sua importanza e la sua iconicità.
Carlos, "Die Lit" di Playboi Carti è uno degli album che mi ha spinto ad approfondire l'universo della trap. Secondo te, da un punto di vista puramente musicale, perché è così importante nell’ambito di quel genere (anche se, comunque, molti hanno storto il naso dinanzi a quel suo approccio minimalista)?Il grande interesse che suscita in me "Die Lit" dipende dal fatto che si tratta di un album hip-hop tutto incentrato sulla musica. Il contenuto dei testi è incredibilmente de-enfatizzato (anche se, al loro interno, non manca comunque il pathos), mentre gli elementi primari sono gli strumenti, soprattutto, la voce. Respingo l'ipotesi avanzata da molte persone, secondo cui l’album sarebbe “portato” dalla produzione e che, quindi, la presenza di Carti sia superflua. Se fosse strumentale, o supportato da un rapper non così creativo ed eccitante come lo è Carti, non credo che l'album sarebbe tenuto in così grande considerazione come lo è oggi. È minimalista nel suo approccio, ma non è scarno, poiché gli strumentali lussureggianti e le melodie di Carti sono al centro della scena e riempiono le tracce, eliminando molti elementi che non sono considerati così importanti (la complessità lirica è al primo posto). Trovo che, nel complesso, sia un album affascinante da analizzare, ma forse è ancora più importante di quello che posso pensare. E, poi, lo si può ascoltare all’infinito e ti regala sempre un sacco di divertimento.
Restiamo ancora in zona trap: fin troppi appassionati di musica pensano che si tratti di una delle peggiori (se non la peggiore in assoluto!) espressioni musicali degli ultimi anni! Per quanto mi riguarda, credo invece sia uno dei pochi “sound” ad aver intercettato lo zeitgeist di questi anni così travagliati…
Noah: La trap è unica più da un punto di vista culturale che sonoro. Certo, il classico sound degli hi-hat trap e della Roland TR-808 è affascinante e tutto il resto, ma la trap brilla soprattutto per il suo potenziale di adattamento. Nel suo ambito, al momento c'è un tasso di sperimentazione senza precedenti e questa è una cosa che ammiro davvero. Nello stesso genere ci sono PeeWee Longway (che ha enormemente influenzato anche noi) e Playboi Carti, due artisti che si trovano su posizioni opposte. So che è una cosa comune prendere in giro Carti perché risulta essere quasi incomprensibile, ma è esattamente quello che amo di lui: è così impressionista! La trap, in generale, è super impressionista, è come il dipinto di una bottiglia di lean1 fatto da Monet, o forse un'opera di Francis Bacon dedicata ad Atlanta. La cultura trap è ancora viva e vegeta e ha prodotto alcune cose genuinamente sperimentali. Come quella canzone di “Die Lit” in cui non c’è la cassa: è così strana, ma funziona! La trap mi soddisfa appieno, perché scuote i confini relativi alla texture e alla struttura ma, nello stesso tempo, li sposta anche in avanti.
Carlos: Adoro la musica trap e sono d'accordo con quello che hai detto circa il fatto che catturi in maniera adeguata lo zeitgeist di questi anni. È praticamente il suono che, a livello mondiale, domina la musica mainstream, ma è caratterizzata da una grande varietà di stili individuali. C'è il classico stile trap di Atlanta, il pop-rap con tocchi trap, cose più sommerse come il drill, e si riconoscono persino sue influenze nel rap di Memphis. E tutti hanno le loro interessanti qualità che li rendono unici. Mi piace considerare la trap come un macro-genere all'interno del macro-genere hip-hop, poiché quest’ultimo può essere usato per indicare tantissimi suoni diversi all'interno di un ethos generale, ma la musica trap ricopre un ruolo simile, anche se al suo interno le sfumature sono meno marcate. Penso sia importante evidenziare anche le sue radici e la sua cultura: la diffusione di una piattaforma come DatPiff e il concetto di mixtape promozionale gratuito continuano ad affascinarmi, poiché la priorità data alla musica e l’idea di "portarti fuori", di “pubblicarti” hanno preso il posto del ritorno economico (almeno relativamente alle fasi iniziali di una carriera), e ciò è qualcosa di davvero interessante, qualcosa di cui vale la pena lasciarsi influenzare. E poi, per concludere, la trap suona davvero bene, con quei bassi profondi, l'iconico "suono di batteria trap" della drum machine Roland TR-808, l’importanza data al flow: tutti elementi alla base di un genere che sa regalare puro divertimento.
Se questa pandemia fosse un album, quale sarebbe?
Noah: Potrebbe essere un'opinione semplicistica, ma sicuramente “Tomorrow's Harvest” dei Boards of Canada (che sono anche la mia band preferita). Ascoltarlo adesso, nel bel mezzo della pandemia, mi fa domandare se i BoC siano effettivamente dei viaggiatori nel tempo. C'è anche una canzone chiamata “Sick Times”! Più seriamente, però, quell'album è caratterizzato da una forte scissione tra speranza e disperazione, e trovare la speranza nella disperazione è qualcosa che, in questo momento, sembra incredibilmente potente. Come hanno detto in un'intervista, i BoC non considerano ciò che hanno descritto nell'album al pari di un'apocalisse, quanto piuttosto un (e sto parafrasando) "palcoscenico necessario" posto dinanzi ai nostri occhi. È così che penso all’anno in corso: una cosa difficile e orribile, ma che dobbiamo affrontare, sperando di imparare qualcosa, di maturare. Questa è la speranza che ho nel cuore e che si annida in questo album.
Carlos: Sono completamente d'accordo con Noah su questa scelta: “Tomorrow’s Harvest” è un album che mi è sempre piaciuto, ma che non ho mai amato, fino a quando non l'ho ascoltato il primo giorno di lockdown, quando la preoccupazione per la pandemia è iniziata a farsi sentire sul serio. In quel preciso momento, ho capito dove volesse andare a parare quell’album. Ascoltare “Reach For The Dead” mentre si cammina per una città non più frenetica, con la preoccupazione di un virus che, almeno in quel momento, era ancora molto indefinita (anche se sapevo che potenzialmente avrebbe potuto provocare il caos), è un’esperienza così appropriata da fare male, un’esperienza che ha trasformato il mio rapporto con un album che ormai non ascolto più per mero divertimento.
E se "Everyone on Planet Earth…” fosse un libro (romanzo, saggio, ecc.)? O un film?Carlos: Penso che l’album sia più simile a un libro che a un film o a qualcosa del genere. L'ho spesso considerato come un album di ritagli, una raccolta di ricordi e "momenti" messi insieme seguendo una prospettiva tematica più che una qualsiasi struttura narrativa. Se fosse un film, probabilmente sarebbe piuttosto strano: più una serie di vignette che qualcosa di simile a un film narrativo tradizionale.
Noah: Sì, Carlos ha decisamente ragione: l'album è così personale per noi che, in pratica, rappresenta una raccolta di momenti significativi che esemplificano ciò che riteniamo importante. Penso si possa paragonare a un romanzo tortuoso, tipo “L'arcobaleno della gravità” di Thomas Pynchon o qualcosa di simile. Il modo in cui Pynchon usa una miriade di riferimenti culturali e di informazioni per costruire l'atmosfera di quel romanzo penso sia molto simile al modo con cui realizziamo la nostra musica. Show don't tell (“Mostra, non raccontare), e via discorrendo. Quindi, sì, l'album o è un romanzo postmoderno i cui protagonisti siamo noi come persone, oppure è forse uno degli episodi più strani della terza stagione di “Twin Peaks”.
State già lavorando al prossimo disco dei PACOL.?
Noah: Più o meno. Molti di noi stanno per entrare in una nuova fase della loro vita. Per quanto mi riguarda, sto pianificando la mia vita post-college, che comporta molte più responsabilità. Sfortunatamente, è difficile realizzare altre due ore di musica da mettere su un Lp se non posso starmene rilassato nella mia stanza del dormitorio! Se a questo aggiungiamo il fatto che, per quanto ci riguarda, PACOL. è una piattaforma attraverso cui noi cinque possiamo creare utilizzando qualsiasi mezzo artistico, allora è inevitabile che i moniker e le line-up cambieranno. In ogni caso, ci sarà sicuramente altro materiale a nome PACOL, e personalmente ho anche già qualche idea su come suonerà, ma questo per noi è un periodo di cambiamento, per cui non so quando sarà disponibile. Al momento, sto cercando di portare a termine un secondo “Stranger Things” e sto anche lavorando a dei demo per un nuovo album che conterrà una gamma più ampia di materiale. Insomma, tante cose stanno cambiando, ma c’è anche molto da aspettarsi.
Carlos: I miei piani relativi al nuovo materiale dei PACOL. sono molto vaghi, al momento. Voglio seriamente prendermi una lunga pausa dalla creazione musicale in un progetto come questo (abbiamo impiegato due anni per realizzare "Everyone On Planet Earth…”: davvero faticoso!), quindi probabilmente non pubblicherò nulla con i PACOL. nel prossimo futuro. Non sto chiudendo completamente la porta alle possibilità, perché forse più avanti, quando sarò dell'umore giusto, vorrò fare qualcosa di nuovo con loro, ma per ora è probabile che i PACOL. continueranno a pubblicare album con un maggior coinvolgimento dei membri della band che non sono stati così attivi negli ultimi tempi. Al momento, sento di dovermi concentrare di più sul mio lavoro da solista.
Note:
1. Il termine "lean", in alternativa anche sciroppo, purple drank o sizzurp, è usato per indicare una droga ricreativa composta da una mistura a base di sciroppo per la tosse con codeina, prometazina o tutte e due insieme e una bibita gassata. (Wikipedia)