Post Nebbia

Sotto un tetto di "Pastafrolla"

intervista di Piergiorgio Pardo

"Entropia Padrepio" e "Canale Paesaggi" sono entrambi dischi molto cari a tutti coloro che in questi anni si sono lasciati suggestionare da un certo modo obliquo e visionario di pensare il pop. Col nuovo "Pista Nera", che sta intanto mietendo consensi a mani basse, Carlo Corbellini ha deciso di guardarsi dentro, per esprimere senza mezzi termini uno scontento generazionale che suona nello stesso tempo urgente e ben ponderato. E preferisce la risata amara all'ironia, lo sguardo al sogno, l'introspezione al colloquio, lo scontro alla provocazione. Per il coraggio, per la disillusa, ma anche propositiva lucidità che lo caratterizzano, il progetto si pone come una delle punte di diamante della attuale scena italiana indipendente.

Direi di partire dal suono dell’album. Rispetto ai precedenti ho notato la tendenza verso arrangiamenti asciutti, scarni, ma nello stesso tempo l'ascolto è molto emotivo. Come è nata un'alchimia così particolare?
La ragione, in realtà, è abbastanza pratica. Nel senso che tutti i nostri dischi precedenti sono nati in casa, al computer: pensati per essere suonati, ma non scaturiti da un lavoro comune in sala. Anche questo ha avuto premesse simili, ma c'è stato molto più scambio tra me e la band nella fase compositiva. Siamo arrivati in sala prove e abbiamo rilavorato gli arrangiamenti in modo che tutto suonasse naturale. Quando uno scrive delle parti al computer, da solo in casa, a volte non si rende neanche conto di eventuali forzature. La band è un grande filtro che ti permette di selezionare quello che ti serve davvero all'interno di una canzone.

Dunque il progetto Post Nebbia ormai consiste di un cantautore che ha la sua band e di una band che ha il suo cantautore. Possiamo dirla così?
È un progetto che ha cambiato tante forme negli anni. E magari la cambierà ancora. Siamo partiti che eravamo ragazzini e si lavorava insieme. I due dischi successivi, soprattutto “Entropia Padrepio”, dove è stato fondamentale l’apporto di Fight Pausa, li ho fatti in solitudine, anche perché si era in piena era Covid. Con la formazione di questo album però avevo già suonato tantissimo dal vivo e abbiamo sviluppato un legame anche di amicizia. 

Il fatto di esserti fatto carico della produzione, senza Fight Pausa, ha avuto un suo peso?
Faccio musica da quando avevo 16 anni. Avevo bisogno di confrontarmi con uno studio senza nessuno che mi desse una mano. L'approccio che ho avuto tiene molto conto delle cose che mi ha insegnato Fight Pausa. Come produttore ha una grande sensibilità nei confronti degli artisti, il disco che ha prodotto recentemente per Valerio Visconti, ad esempio, è bellissimo. "Pista Nera" è comunque mixato da lui e da lui ho imparato a comporre e arrangiare tenendo presente una sorta di immagine mentale di quello che potrà essere il disco in fase di missaggio.

È molto interessante l’incastro ritmico fra i testi e le parti di batteria. Sembra quasi di comprendere meglio le parole se le leghi agli accenti percussivi. Avete fatto una ricerca in questo senso?
Adesso che mi ci fai pensare, direi di sì. Per forza di cose. Innanzitutto, per il suono di batteria, fatto in presa diretta, e poi perché ho lavorato molto sui testi per farli “suonare”, anche durante le prove. L’italiano non è una lingua fatta per il rock e invece volevamo che questo disco avesse un suono rock nel vero senso della parola.

Soffermandoci ancora sui testi, mi sembra davvero molto forte l’ambientazione cui si fa riferimento fin dal titolo. Mi sono immaginato una località sciistica distopica dove tutti, a cominciare dal bambino iniziale, “Leonardo”, ci perdiamo. Solo che al posto di una "selva oscura" c'è Courmayeur.
(ride), alla fine si tratta di quello. L'idea dell’audio degli altoparlanti dello stabilimento sul primo pezzo è di Giulio, il tastierista. Avevamo questa traccia strumentale, ma senza una caratterizzazione narrativa che la legasse al resto, e ci sembrava un po’ sprecata. Così ci siamo detti “proviamo a mettere una cosa tipo i bambini che si perdono durante le gite in famiglia”, e abbiamo chiesto al nostro manager, che è di un paese nella zona di Belluno, di registrarci degli audio di persone che avessero un vero accento di montagna. 

Il bambino che si perde è l’espressione di un disagio e dà un po’ la chiave di lettura all’intero disco. Possiamo pensarla così? 
Sì, è una immagine. Ho cercato di non essere didascalico, di non spiegare troppo. La musica è un medium che deve rimanere semplice e diretto.

Il disagio di cui parli è generazionale?
In un certo senso sì. La mia è una generazione che è nata giusto prima dell'11 settembre. Abbiamo avuto una sorta di assaggio degli anni 90, assaporato la coda di quell’apice di civiltà, in cui sembrava che ci fossero pace, stabilità politica, benessere eccetera eccetera. Quando sono iniziati i primi casini, ero ancora troppo piccolo per capire. Nel 2008 guardavi il Tg e le notizie erano diventate cupe, c'erano genitori di miei amici a scuola che perdevano il lavoro, ma faticavo a rendermi conto di cosa stesse succedendo.

Quindi è come se problemi e consapevolezza fossero cresciuti insieme?
E di conseguenza anche il disgusto. Che è l’emozione forte che ho cercato di tirare fuori in questo disco. Disgusto di fronte al fatto che tutte le persone della mia generazione hanno davanti agli occhi il paradigma di come dovrebbero andare le cose, di quale dovrebbe essere il futuro. Pensa ai film di Fantozzi. Lui è ritratto come uno sfigato, che fa una vita alienante. Eppure ha una macchina, una casa di proprietà, una famiglia, un lavoro stabile e avrà una pensione. Quella condizione da sfigato cosmico oggi appare una sorta di miraggio. L’esperienza ci sta pian piano insegnando che se ti aspetti di poter fare la vita che hanno fatto i tuoi genitori, di studiare, di trovare un lavoro immediatamente, andare in pensione a un'età decente e costruire delle cose, ecco, è un po' difficile. Anzi, non è nemmeno difficile. È praticamente impossibile.

È una "Pista Nera"?
Esatto.

La musica quale senso assume in questa sorta di destino collettivo?
Ti strappa all’illusione, e anche un po’ alla condanna, di vivere alla giornata. Dunque è uno spaesamento che, se non è a lieto fine, almeno è a fin di bene. All’inizio ci sono le domande. "Perché devo farmi il culo? Perché studiare? Perché impegnarmi?" E in un momento in cui non trovi delle risposte nella quotidianità immediata, la musica è una delle cose che possono darti uno sguardo che vada oltre.

Tutti i tuoi/vostri dischi sono un po’ dei concept-album, nel senso che le liriche ruotano intorno a un tema. Come nasce questo tipo di scrittura?
C’è sempre un pezzo dal quale parto. Una canzone che mi chiarisce le idee su ciò che voglio dire e apre la strada a tutto il resto. In “Entropia Padrepio” era “Cuore semplice”, in “Canale paesaggi” era “Televendite di quadri”, qui il brano della svolta è stato “Pastafrolla”, che è un po’ l’immagine di un nido che crolla, di una civiltà che si disfa.

Parlavi prima di Fantozzi; nell’album invece c’è un pezzo dedicato a “Kent Brockman”, che ci riporta ai Simpson. Sono dei modelli di comicità che mi colpiscono per il loro sottotesto tragico e per la loro universalità, che è un po’ la stessa che si respira nel disco. Cosa ne pensi?
“I Simpson” per me sono una fonte inesauribile di perle, soprattutto le prime stagioni, che hanno il pregio di dirti delle cose complesse in un modo super-immediato. Anche la musica funziona così. Devi riuscire a prendere qualcosa di complesso e comprimerlo in un istante, renderlo un pugno. Anche per “Pastafrolla”, il brano di cui ti dicevo, che ha fatto da nucleo ispiratore dell’album, mi sono ispirato a una scena dei Simpson in cui la mafia di Springfield, dopo aver vinto un appalto, costruisce una scuola con i cracker al posto dei mattoni, che ovviamente si sciolgono alla prima pioggia. La cosa geniale è che mentre ti restituisce un problema come la corruzione, riesce a divertirti. Va in profondità. Non è un meme, è un’emozione forte, che però ti fa spaccare dalle risate.

Intanto che asciugavate il magma sonoro dei dischi precedenti, anche la ricerca armonica si è fatta più profonda. Addirittura, qui e là nella scrittura, sento emergere l’influenza del Brasile. Ci può stare?
Adoro la musica pop brasiliana, mi ha stregato completamente da quando l'ho scoperta. Ho iniziato, ben poco romanticamente, facendomi una playlist su Spotify e ascoltando man mano tutto quello che mi consigliava l'algoritmo. L'algoritmo di Spotify è "il Male". Però quando un male ti fa bene, cosa gli puoi dire? Ho scoperto Milton Nascimento, la fase brasiliana di Ornella Vanoni, il disco di Chico Buarque de Hollanda con Ennio Morricone.

Il tutto però in un disco di rock…
Questo è il nostro primo album che si discosta davvero, secondo me, da tutto il filone indie dal 2015 in poi, che comunque, lo dico senza remore, è sempre stato presente in una qualche percentuale nel nostro stile. Dati l'argomento e il tono del disco, siamo tornati su degli ascolti più dark, più intensi. Mi viene in mente un concerto del Teatro degli Orrori, che tra l'altro adesso stanno tornando. Ovviamente siamo molto diversi, però li ho visti che avevo 15 anni. Erano in una fase in cui stavano mollando tutto, ma suonavano in un modo che ti tirava fuori le budella e te le rimescolava prima di ricacciartele dentro. Sono esempi ai quali mi sento vicino sul piano emotivo. 

Insomma, siamo partiti dal suono e parlando di suoni chiudiamo la nostra chiacchierata. Pensate che il vostro possa parlare anche a un pubblico estero? Il tour prevede  una tappa all’ESNS di Groningen, in Olanda…
La cosa bella di quel tipo di situazioni, che abbiamo già vissuto suonando al Transmusicales di Rennes nel tour precedente, è che ti fanno esibire di fronte a un botto di gente, perché il pubblico negli anni si è educato a guardarsi il volantino delle band che escono ogni anno, ad ascoltarsele prima, e poi ad andarsele a vedere. E cogli un interesse, un'attenzione quasi commoventi. Non sarebbe male se si aprisse uno spazio più sistematico nei circuiti esteri, anche per dei progetti cantati in italiano. 

Discografia

Prima stagione (Coma Dischi, 2018)
Canale Paesaggi (La Tempesta, 2020) 6,5
Entropia Padrepio (La Tempesta, 2022)7,5
Pista Nera (Dischi Sotterranei, 2024)7,5
Pietra miliare
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