Robert Poss

Quando la distorsione è verità

intervista di Michele Saran

Magistrale auteur della distorsione, discepolo dei minimalisti della chitarra elettrica, compositore influente: ripercorriamo, in un'intervista, la carriera del guru Robert Poss, dagli esordi avanguardistici, alla fondamentale esperienza con la sua Band Of Susans, fino alle ricerche coreografiche del nuovo "Settings".

Ciao Robert, anzitutto grazie per essere intervenuto per la nostra webzine. In generale segui o ti piace la critica rock?
Non sempre, e nemmeno troppo spesso, sono d'accordo con i critici rock, ma credo siano importanti nel diffondere il verbo della nuova musica, quella tosta e originale, meno conosciuta, oscura, o quella di gruppi sottovalutati. Internet ha reso tutto più facile anche senza bisogno di scribanii musicali, ma c'è ancora posto per loro. Vengo dall'era delle fanzine musicali stampate in casa e distribuite a pochi, ma sono pure abbastanza vecchio da ricordare quando venivano scritte sulle tavoletta di pietra con martello e scalpello (beh, non proprio così vecchio...).

I tuoi esordi. Quali sono stati, o quali consideri i tuoi veri maestri? Cosa credi ti abbiano trasmesso più di tutto?
Sono cresciuto nei Sessanta, esposto all'entusiasmante confluenza di ogni sorta di inedite, innovative, rivoluzionarie forme musicali, sottoculturali, tecnologiche. Ebbi un primissimo (risalente all'infanzia) innamoramento di Beatles, Kinks, Motown, i Rolling Stones (quelli pre 1974) e la prima psichedelia, e ho sviluppato un discreto interesse nelle molteplici vie alla musica blues, e più in là una sperimentazione più "seria" di forme musicali come la musica elettronica, la musica sperimentale in generale, il minimalismo. Jazz e classica non mi hanno mai preso veramente. Ho amato gran parte del sound furioso del punk del '77 - Clash e Sex Pistols, ma anche cose come Undertones, Real Kids e Jam. Anche Television/Tom Verlaine, Iggy, Bowie, e i Fall sono stati influenti. E posso dire che il 90% della musica che mi ha forgiato l'ho ascoltata su vinile. Vengo dall'era dei long-playing.

Dunque, ti puoi definire discepolo del minimalismo della chitarra elettrica? Come ti poni nei confronti, poniamo, di altri antesignani del noise-rock come Thurston Moore, Ranaldo e i Sonic Youth?
Da un punto di vista anagrafico, sono più o meno coetaneo di Thurston e Lee. E la Band Of Susans, va da sé, era nella stessa etichetta britannica di Sonic Youth, Big Black, Rapeman, Butthole Surfers, e Dinosaur Jr. Ma non sono stato influenzato da nessuno di questi artisti, e nemmeno dai Wire (Bruce Gilbert sarà un collaboratore di Poss, ndr), che ho scoperto tardi -- solo all'incirca nel 1987. Sono stato influenzato dall'apprendistato con Rhys Chatham nei primi anni 80, e in generale dal lavoro di personaggi come Alvin Lucier, LaMonte Young, Nicolas Collins, e esposto - in coppia con Susan Stenger (la sua spalla nella Band Of Susans, ndr) - alla musica d'avanguardia di metà Novecento in generale. Come chitarrista, sono stato un discepolo di Keith Richards; ho cominciato a usare la sua accordatura aperta a cinque corde su del materiale nel 1972. Ho amato la tecnica di Johnny Thunders, Albert King, Mike Bloomfield, Jeff Beck, Roy Buchanan, Tom Verlaine, Mick Ronson - tutte cose a cui mi sono interessato nei 70. Così, ho plasmato il mio personale percorso parallelo, che non è stato influenzato, per esempio, da Sonic Youth e Glenn Branca, entrambi artisti e persone che stimo. Ma penso che, almeno stilisticamente, io possa essere inquadrato nella tradizione dei pionieri del noise-rock. Sono sempre stato un minimalista che procede per intuizioni, nel senso che sottoscrivo la filosofia dell'espressione artistica afferente al "meno è più", applicata alla musica e alle arti visive. Non m'impressionano i trilioni di note o gli assemblaggi di trilioni di idee.

Ascoltando "Sometimes" e "Inverse Guitar", le tue prime cassette in collaborazione (con Ron Spitzer e Nicolas Collins, ndr), si apprezza già la tua volontà di creare una sorta di ordine nel caos, di cavare una qualche forma di cantabilità dal rumore. Cosa significano per te melodia e rumore? Sono due termini opposti?

La melodia non mi ha mai del tutto interessato. Sono piuttosto ossessionato dalla trama e dall'architettura del suono. Dalla ripetizione, il livello, lo spazio, la densità della distorsione. Amo le interazioni tra timbri e linee che generano motivi fantasma, melodie e suoni subliminali. Mi piacciono i motivi misteriosi, sepolti, i suoni che lottano uno contro l'altro per farsi sentire, in opposizione alla standardizzazione del "batteria-canto-e tutto il resto subordinato a questi" che caratterizza larga parte della musica rock, pure lo stesso noise-rock. "The Word And The Flesh"suona come se la testa dell'ascoltatore fosse stata spiaccicata in pieno amplificatore, per dire. I My Bloody Valentine non hanno mai fatto una cosa del genere...
In secondo luogo, presto comunque attenzione alla scrittura dei testi - un aspetto del mio lavoro su cui spesso si sorvola. E di certo ammiro la competenza melodica altrui - tipo Ray Davies dei Kinks e David Bowie. Ma amo anche il modo con cui Steve Albini o Andy Gill o Bruce Gilbert riescono a rendere sonicamente magnetica una singola linea di chitarra in staccato.

La Band Of Susans e la sua formazione. Domanda forse scontata: hai scelto il nome dopo aver notato che nella band figuravano tre musiciste dal nome Susan? O viceversa?
La band è stata fondata da me, dalla mia idea di creare qualcosa di nuovo e diverso da improvvisare, e reinterpretare in una qualche nuova versione parte del materiale proveniente dalla cassetta "Sometimes". Ciò ha comportato l'uso di delay digitali per scolpire un drone, un riff e le parti di chitarra ritmica. Non sentivo la necessità di avere musicisti navigati, perfezionisti o competenti. Così, ho chiesto ad alcuni miei amici di partecipare. Tre di questi, guardacaso, si chiamavano Susan, dunque il nome temporaneo That Band Of Susans, è divenuto definitivo (dal punto di vista della mia carriera, comunque, è stato un grande errore: un nome del genere non suonava serio e profondo come la musica che abbiamo prodotto, perché purtroppo ha spostato molto l'attenzione sul "concept" delle tre donne dal nome Susan, un "concept" di fatto inesistente, invece che sugli obiettivi concretamente musicali, ma vabbe'...).
Susan Stenger era una musicista affidabile, con formazione classica, con un bagaglio di esperienza nell'eseguire qualsiasi cosa a partire da John Cage -- ma al flauto, non al basso. All'epoca della sua entrata nella band, non aveva mai suonato il basso, così come Susan Lyall non aveva mai suonato la chitarra. C'era bisogno di un gran lavoro di insegnamento, all'epoca della primissima incarnazione della band, ma ciò ha contribuito a mantenere le cose genuine e "minimaliste".

Con questo gruppo così formato hai voluto, per così dire, allargare, estendere la tua ricerca?
Sì, la Band Of Susans è stato un tentativo di creare musica esclusivamente a partire dagli elementi che amo. Non avevo altra aspettativa all'infuori dell'appagamento creativo.

Hai quindi voluto diventare il Glenn Branca del caso?
Sono la Jodie Foster del mio mondo. Un po' puttanella tredicenne, un po' virtuoso.

Quali compiti, quali ruoli pretendevi per i membri della band nello splendido esordio, l'Ep "Blessing And Curse"?
Non sono sicuro di cosa tu voglia dire con "pretendere"... ma nella prima incarnazione del complesso la musica aveva un arrangiamento piuttosto preciso, con i musicisti che suonavano parti specifiche, da me originariamente composte. Le parti erano così imparate e successivamente perfezionate. Così, inizialmente, io ero il direttore e la band la mia orchestra.

In "Hope Against Hope", il vero debutto, si ascoltano, accatastate nelle distorsioni aeree, eteree, magmatiche e frastornanti, citazioni di genere (rockabilly, soul-rock), che tu adatti di volta in volta. Sembra quasi una metafora della creazione suprema. La consideri una naturale evoluzione dei tuoi esordi (più forte la distorsione, più decise sono le citazioni riconoscibili)?
"Distorsioni aeree, eteree, magmatiche e frastornanti, citazioni di genere (rockabilly, soul-rock), che tu adatti di volta in volta." descrive quasi del tutto la cosa. Penso di aver inconsciamente ricontestualizzato alcune delle mie radici rock e blues, il che significa che ho incorporato il meglio che abbia mai interiorizzato e amato nella musica.

"Love Agenda". Un disco che porta a compimento il contrasto fin qui ascoltato, come se ci fosse una quantità ancor più alta di caos. Se il caos involontario fa spesso parte dei capolavori, pensi che il tuo sia un uso volontario (e quindi cosciente) del caos?
"Love Agenda" continua le tematiche e l'elaborazione di "Hope Against Hope", solo con più potenza e intensità, e con un maggior apporto da parte di Susans Stenger, che qui ha cominciato ad assumere un ruolo di co-leader nella band. Sebbene la musica di cui si compone sia stata scritta, ci sono elementi di quasi-casualità - il modo con cui qualcosa ritorna in cassa, il modo con cui certi sovratoni si rinforzano, il modo in cui le cose cozzano e si combinano insieme per formare qualcosa di più grande della somma delle parti, il modo in cui una singola linea solistica s'infiamma spontaneamente. Lo paragono un po' alle reazioni atomiche.
Devo aggiungere che, oltre a Susan Stenger, abbiamo avuto a disposizione musicisti molto preparati che hanno lavorato in tutti i nostri successivi album. Karen Haglof e Page Hamilton (pre-Helmet) hanno suonato su "Love Agenda", e - a partire da "The Word And The Flesh" - alle chitarre compaiono Anne Husick e Mark Lonergan. Anne e Mark hanno suonato in ciascun disco da "Flesh" in poi. Ron Spitzer (già suo collaboratore per "Sometimes", ndr) è stato presente fin dall'inizio, da quando gli ho chiesto di doppiare le parti di drum machine tramite batteria reale che approntai nel 1986 per "Blessing And Curse". C'erano pure alcuni sostituti per i live set, quando i membri ufficiali non riuscivano a farcela - Libby Flynt, Jay Braun, Kelly Burns, Joey Kaye...

Nei dischi successivi dei Band Of Susans hai approfondito le possibilità espressive e semantiche della distorsione. In "The Word And The Flesh", in particolare, compare "Tilt", un brano davvero sconvolgente per gli esiti di volume e dinamica a cui arriva. Ci racconti qualcosa sulla sua genesi?
"Tilt" era compreso inizialmente in un mio demo-tape di quattro tracce, cui ho aggiunto il canto di Susan Stenger (che ha anche adattato il testo di mio pugno). Avevo registrato l'intro di feedback di chitarra all'interno - a quanto ricordo - del loft di Nicolas Collins. Ho usato due bassi elettrici distorti e una drum machine alquanto grezza. E' una delle mie tracce preferite.

In "Veil" e "Here Comes Success", i vostri ultimi due album, avete portato il discorso forse alle estreme conseguenze. Si registrano ogni sorta di contaminazione al punto che la distorsione cerca di camuffare, distorcendoli, i connotati tipici della musica rock. Le possiamo considerare un ritorno all'avanguardia?
Nella B.o.S. cercavamo di non ripetere due volte lo stesso album. Penso che sia "Veil" che "Here Comes Success" mostrino come la coppia Poss-Stenger sia maturata, pensavamo che avremmo potuto addentrarci un po' di più nella musica rock ("Pearls Of Wisdom", per dirne una) e in una forma un po' più seria di musica strumentale (esempio "In The Eye Of The Beholder"), pur continuando a elaborare nuovi ibridi di musica trans-genere. Penso che io e Susan eravamo più che altro interessati a estendere di quel tanto il vocabolario della band. La cosa curiosa è che il nostro interesse per compositori quali Phill Niblock, Alvin Lucier, John Cage e Christian Wolff era messo al bando dai nostri coevi dei tardi anni 80; sarebbe diventato di moda soltanto anni dopo.

A quel punto la Band Of Susans è diventata mitica. E così anche tu, ritirandoti temporaneamente dalle scene. Sei diventato un guru, un santone della musica rock. Cosa separa l'ultimo disco con il gruppo e i due gemelli "Distortion Is Truth" e "Crossing Casco Bay"?
Non sono mai stato definito un guru, un santone della musica rock, ma accetto volentieri questi appellativi. Avevo bisogno di ripensare ai miei abiti da casa. Dopo lo scioglimento della Band Of Susans nel '95, ho dato vita a qualche collaborazione con Susan Stenger e con Bruce Gilbert dei Wire, quindi ho lavorato con Phil Niblock e suonato di quando in quando con Rhys Chatham. Ho anche lavorato con David Dramm e Ben Neill; ho prodotto e co-prodotto qualche disco altrui - i Tone, Seth Josel, i Negatones, i Skulpey, i Combine etc.
Mi sono preso la briga di esplorare sia un approccio più dedito all'improvvisazione per sola chitarra, sia un moto all'indietro verso l'elettronica orientata ai sintetizzatori analogici, qualcosa che esplorai fugacemente ai tempi dell'Università, nei tardi 70. Di certo mi mancava la presenza di una band per accompagnare la mia musica, ma nondimeno non sentivo la mancanza delle infinite responsabilità, le conflittualità, di tutte le questioni logistiche, le dinamiche relazionali interpersonali che si porta dietro l'avere una band, che sia live o in studio.
Ho dato il mio contributo a qualche spot televisivo. Ho lavorato con l'artista visiva Margret Wibmer. Ho quindi approntato alcune performance per chitarra e elettronica, alcune delle quali sono poi confluite in "Distortion Is Truth". Le note del libretto di questo album forniscono un po' una mia autobiografia musicale, e non a caso lo considero - assieme a "Crossing Casco Bay" - come una summa del mio corpus musicale che va dal 1995 al 2001, un corpus spesso anche meno strutturato di quanto abbia mai fatto con la mia Band Of Susans.

"Distortion Is Truth", in particolare, mi sembra il più veritiero dei due, a cominciare dal titolo. Davvero la distorsione, per quanto contaminata con l'elettronica, con shock stilistici, e un certo recupero del minimalismo più ambientale, è verità?
Ho scritto un articolo per il Leonardo Music Journal intitolato "Distortion Is Truth", sull'uso della distorsione nella musica popular in relazione a quello a cui ho potuto assistere. E' un motto che mi venne di getto chiacchierando con il batterista dei Live Skull, James Lo, in uno dei miei spostamenti nel F Train (la metropolitana rapida di New York, ndr). Parlammo dei rispettivi metodi di lavoro. Dal mio punto di vista, i suoni più puri sono quelli meno interessanti, tenendo conto che gran parte della musica registrata si basa solamente su ciò che sta tra tasti bianchi e neri di un pianoforte. Un'onda irregolare mi attrae più di un'onda sinusoidale, allo stesso modo un violoncello o un fagotto per me sono più interessanti - per dire - di un flauto (perdonami, Susan!). E' tutta una questione di interazione di sovratoni, e di densità timbrica.

Un altro congruo lasso di tempo separa questi due album dalla tua "rentrè", "Settings", di nuovo per Trace Elements. Ancor prima di addentrarci nello specifico musicale dei singoli brani, ho notato una persona artistica diversa, più a contatto con la composizione vera e propria.
Beh... vita, lavoro, finanza, famiglia, tutto si frappone quando si invecchia. Ero dispiaciuto per il lungo intervallo che sta tra i miei primi due lavori solisti e "Settings", specie perché avevo in cantiere di far uscire un lavoro per sola chitarra in pieno stile Band Of Susans, e un altro lavoro colto di elettronica, pur di dare prima o poi un qualche seguito a quei due album. Di buono c'è stato che ho cominciato a lavorare con Sally Gross, tramite la collaborazione con Phil Niblock, e poi anche con Alexandra Beller e Gerald Casel, tre coreografe davvero distinte e talentuose, e dunque ho creato musica per le loro danze. E finalmente mi sono prostrato all'uso del Midi, del campionatore e del computer. Con il mio bagaglio di purista della chitarra elettrica, e con il mio originario lavoro improntato ai nastri analogici, per me non è stato facile transitare verso l'apprendimento dell'uso del software musicale.

Il disco, quindi, colleziona piece da te composte per spettacoli di danza. Vi sono balletti industriali come "Inverness", labirinti di distorsioni elettroniche come "Border Crossing March" e anche versioni quasi "paesaggistiche" del tuo feedback-rock. Cosa vuoi trasmettere all'ascoltatore che non ha visto le piece cui erano destinate?
La musica scritta per la danza è per definizione in grado di stare in piedi da sola, e penso che anche la mia lo sia. Penso di essere prima di tutto interessato a evocare atmosfere e sensazioni, anche se può risultare ambiguo. Nell'era che precede l'avvento dei videoclip musicali, ognuno di noi costruiva le proprie fantasie visive, le proprie storie, basandosi su ciò che la canzone più o meno poteva significare, quindi la musica diveniva un fatto interiore. E' una cosa che amo. Dà soddisfazione vedere come i ballerini approcciano e reagiscono a partire dalla mia musica. I coreografi con cui ho lavorato hanno una visione artistica davvero forte, e sento che la mia missione è proprio quella di supportare questa visione.

In "Settings" è presente un brano intitolato "Tourniquet Revisited" (un'ampia disquisizione di archi sintetici in tempo di valzer che tornano sempre a sè stessi, e nel frattempo sviluppano un discorso ambientale). Qual è il collegamento con il "Tourniquet" proveniente da "Love Agenda" di ventidue anni fa?
"Tourniquet Revisited" è praticamente un'estesa orchestrazione del brano "Tourniquet", orchestrazione che avevo in primis pensato per Alexandra Beller. E' stato il mio primo tentativo di orchestrare qualcosa. Ho usato la linea di basso e la progressione degli accordi del "Tourniquet" originale come punto di partenza.

A completare la visione dell'album, ho notato anche un più deciso gioco sui timbri, a testimoniare la profonda elasticità della tua arte. Il timbro la tua dimensione preferita?
Timbro e giustapposizione.

Come pensi di proseguire questo discorso? Dobbiamo aspettarci un altro periodo d'isolamento che condurrà a nuovi disorientamenti stilistici?
Sto progettando di fare qualcos'altro tra circa un anno. E spero ("and I hope" nell'intervista, che Robert si è divertito poi a chiosare con "against hope", a ricordare il titolo di uno dei suoi lavori più riusciti con Susan Stnger, ndr) di poter cominciare un nuovo lavoro di collaborazione (sia in studio che in contesto di performance) con Susan Stenger, che ad oggi vive tra Londra e la costa ovest dell'Irlanda. Spero anche di poter suonare di più con Kato Hideki.

Quali sono le tue odierne attività musicali o extra-musicali?
Ho creato un ambiente con la tecnica dell'ingegneristica sonora - soprattutto location per lavori sul suono - per la televisione. Sono un po' il tizio col microfono al termine di un lungo palo. Lavoro soprattutto per network europei. Vivere a New York è caro, quindi mi accollo più lavoro che posso... E questo, mi spiace dirlo, ruba tempo alla musica. Ho fatto il fonico per i Suicide l'anno scorso, ed è stata davvero una gran cosa! Passo molto tempo al mio computer. Seguo la politica allo stesso modo con cui la maggioranza segue lo sport. E nonostante a New York ci siano milioni di cose da fare, vedere e sentire, non esco molto di casa.

Domanda di rito: come vedi l'attuale scena rock, avant o meno? Pensi ci sia qualche artista direttamente o indirettamente influenzato dal tuo sound?
Una cosa che noto ora (perlomeno in riferimento al piccolo angolo di sottocultura musicale dove lavoro) è che la scena sia molto più eclettica e di mentalità aperta rispetto a com'era negli anni 80 e 90. Molte donne si sono buttate nella mischia. Ci sono più persone che ammettono la loro provenienza da piccole parti oscure di sottocultura senza concorrere ai riflettori, alle logiche dei beniamini in stile cartoni animati, o alle personalità rock/pop stereotipate. Il pubblico ha più voglia di accettare le sfide provenienti dall'inusuale. La profondità intellettuale non è più da sfigati. Il minimalismo è più accettato, il noise più apprezzato. Gruppi come i Pan Sonic hanno un buon seguito. Un numero maggiore di giovani conosce i vari Phill Niblock, Rhys Chatham, LaMonte Young, David Tudor, e Alvin Lucier, o almeno ne hanno sentito parlare. Etichette discografiche come la Table Of The Elements e la Blast First Petite coprono uno spazio vasto e creano ponti su molte lacune. A New York City le varie Roulette, Issue Project Room, Experimental Intermedia e Le Poisson Rouge (locali o spazi performativi, culturali o musicali, ndr), vantano tutte un innovativo programma di ascolti. A Brooklyn c'è una grossa scena sperimentale. Nicolas Collins ha incoraggiato tutta una nuova generazione di smanettoni strumentali.
I Sonic Youth ci sono ancora, e molta gente sta scoprendo la Band Of Susans per la prima volta. Io e Susan riceviamo costantemente (ai concerti o via Internet) racconti di come giovani musicisti siano stati influenzati dallo show che abbiamo tenuto a Iowa City nei tardi 80, o dopo averci visti a Amburgo, in Germania, o ancora al Roskilde Festival in Danimarca, e di come li abbia portati a formare un complesso. E' sempre bello sentire certe cose.

Grazie per il tempo dedicatoci Robert, speriamo di risentirci presto!
Grazie a te. Ora come ora sono concentrato nelle prove per una performance di Alexandra Beller a luglio, presso l'Institute Of Contemporary Art di Boston.

Discografia

ROBERT POSS & RON SPITZER
Sometimes (cassetta) (Trace Elements, 1986)
ROBERT POSS & NICOLAS COLLINS
Inverse Guitar (cassetta) (Trace Elements, 1988)
ROBERT POSS
Distortion Is Truth (Trace Elements, 2002)
Crossing Casco Bay (Trace Elements, 2002)
Settings (Trace Elements, 2010)
Frozen Flowers Curse The Day (Trace Elements, 2018)
Droneuary XXXI - Frozen Flowers Drone (Silber, 2019)
Drones Songs And Fairy Dust(Trace Elements, 2023)
BAND OF SUSANS
Blessing And Curse (Ep, Trace Elements, 1987)
Hope Against Hope (Furthur, 1988)
Love Agenda (Blast First, 1989)
The Word And The Flesh (Rough Trade, 1991)
Veil (Restless, 1993)
Here Comes Success (Restless, 1995)
Pietra miliare
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