Prendono il nome da un antico canto popolare andaluso che incita alla devozione e alla penitenza in occasione della Via Crucis. Con un nome tanto importante, i Saeta, coccolati dalla stampa (il "Seattle Times" li adora) e stimati dai produttori più importanti, fanno tappa in Italia per promuovere il loro ultimo lavoro e hanno accettato di chiacchierare un po' con noi
Ormai siete in tournée da diverse settimane. Siete stanchi?
Lesile: No, siamo tristi!
Tristi?! Perché siete tristi?
Lesli: Perché la tournée sta per finire!
Ma come? Non vedete l'ora di tornare a casa, di dare da mangiare al gatto, di riprendere a pagare le bollette?
Lesli sgrana gli occhi mentre i suoi compagni e io, vedendo la sua faccia sorpresa, ridiamo.
Lesli: Nooo! No! No! No!
Ogni concerto che abbiamo tenuto è andato benissimo, il pubblico ci ha accolto molto calorosamente e ci stiamo divertendo.
È un'esperienza molto diversa rispetto alle tournée che facciamo negli Stati Uniti.
Bob: Ci siamo trovati così bene che a volte ci sembra di essere morti e trovarci nel paradiso dei musicisti. Non vorremmo mai tornare a casa.
(ridiamo)
Va bene. Saeta… Le vostre canzoni, però, non hanno nulla a ché fare con la saeta in sé.
Matt: Mi piaceva il brano di Miles Davies. Mi aveva colpito molto la descrizione della saeta riportata nelle note del disco e ho pensato che quello che facciamo fosse simile, sul piano emotivo, alla saeta.
Siete religiosi?
Lesli: Nnno…
Matt: Credo in un potere superiore. Ho ricevuto un'educazione cattolica e immagino di aver conservato delle tracce di quegli insegnamenti.
Penso, comunque, che ci sia della spiritualità nella nostra musica: alcuni brani possono essere considerati vere e proprie preghiere, ovviamente non hanno un significato profondamente religioso, ma parlano di speranza.
Giusto, la speranza: " We Are Waiting All For Hope ". Quale tipo di speranza stiamo tutti aspettando? Matt: Tempo fa, prima che l'America bombardasse l'Iraq, ho sentito alla radio l'intervista a un diplomatico iracheno che, a un certo punto, diceva: "Stiamo aspettando tutti la speranza" ed è stata una frase che mi è piaciuta immediatamente. L'ho associata subito ai miei testi: ci sono al mondo moltissime persone che si sentono tristi e depresse, ma tutti abbiamo bisogno di un po' di speranza e cerco di esprimere questo concetto nelle mie canzoni: c'è sempre qualcosa di meglio di cui vale la pena accorgersi.
Torniamo al disco, da quello che ho capito "We Are Waiting All for Hope" è uscito nel 2004, poi è stato ripubblicato l'anno dopo. Cos'è successo?
Lesli: È stato pubblicato dalla nostra etichetta, la Fish The Cat Records, nel 2004, ma i vari distributori sono arrivati solo dopo, quindi abbiamo dovuto ripubblicare il disco.
Addirittura la Ghost (che li distribuisce in Italia, ndr) aveva fatto richiesta per il nostro terzo disco e proprio in quei giorni stava uscendo "We Are Waiting All For Hope", quindi gli abbiamo proposto questo.
Per il vostro secondo e terzo disco avete lavorato con Kramer (già produttore di Daniel Johnston , Galaxie 500 , Urge Overkill, Pussy Galore), mentre per questo avete collaborato con Steve Albini (già produttore di PJ Harvey , Nirvana , Uzeda). Come li avete scelti e contattati? In particolare mi riferisco ad Albini, come avete scelto un produttore tanto "rumoroso" per un disco così "dolce"?
Lesli: Per il nostro primo disco abbiamo lavorato con Windy & Carl e con il secondo volevamo provare qualcosa di nuovo e abbiamo pensato a Kramer perché aveva prodotto moltissimi dischi che avevamo amato, coprendo moltissimi generi di musica. Aveva prodotto anche i Low, che è un gruppo al quale veniamo spesso associati.
Di Steve Albini ci ha sorpreso la sua disponibilità: ci siamo semplicemente presentati spiegandogli che ci sarebbe piaciuto lavorare con lui e si è dimostrato assolutamente raggiungibile. Sai, è stata sicuramente una sorpresa perché eravamo convinti fosse uno stronzo, invece è stato meraviglioso lavorare con lui: è un produttore fenomenale, una persona fenomenale e un padrone di casa fenomenale che ci ha accolti nella sua casa e ci ha trattati con molto rispetto; con molto rispetto nei nostri confronti come musicisti e come ospiti. Registrare con lui stata un'esperienza davvero rilassante.
Abbiamo registrato e mixato il disco in tre soli giorni e lui ha lavorato senza fermarsi un attimo…
Bob: Beveva caffè e fumava sigarette in continuazione.
Avete registrato e mixato l'intero disco… in tre giorni?! Dovevate avere una ragione validissima per impiegarci così poco!
Lesli: I soldi.
Ecco, volevo giusto chiedervi se Steve Albini ha voluto un sacco di soldi.
Matt: Diciamo che è stato un prezzo ragionevole.
Lesli: È stato ragionevole anche perché il prezzo si riferiva a lui e allo studio, mentre per altri studi hai un conteggio separato per lo studio, il produttore… Con lui era un "pacchetto tutto incluso", cibo e bevande comprese!
A conti fatti, è stato forse più conveniente collaborare con Steve che con altri produttori. Kramer compreso.
Immagino abbiate provato tantissimo, prima di entrare in studio, che eravate stanchi del disco ancora prima di inciderlo.
Matt: Decisamente sì, abbiamo fatto moltissime prove.
Ed è per questo che nel disco ci sono due cover? ("Grand Canyon" dei Magnetic Fields e "Last Night I Dreamt that Somebody Loved Me" degli Smiths)
Lesli: Noo! La ragione per la quale abbiamo scelto quelle due cover è che le abbiamo suonate in concerto così tante volte che ogni volta che le eseguivamo andava sempre meglio, tanto che la gente ha cominciato a chiederci quando le avremmo incise. Alla fine ci è sembrato naturale includerle nel disco. Si tratta di nostre interpretazioni.
La prima volta che mi è capitato il vostro album tra le mani e ho letto "Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me", mi sono detta: "Eh già, facile riprendere la più bella canzone mai scritta!"
(ridiamo)
È stato facile riprendere una canzone tanto importante?
Lesli (molto sicura): Sì.
Non eravate intimoriti dal combinare un pasticcio, commettere qualche errore o dalla reazione dell'ascoltatore medio?
Matt: No.
Lesli: A Seattle era stata organizzata una serata-tributo agli Smiths e a noi hanno chiesto di partecipare presentando una loro canzone. Appena abbiamo cominciato a provare questa nostra versione, non ho avuto alcun dubbio che volevo suonarla di fronte a un pubblico.
Siete nati e cresciuti a Detroit, poi vi siete trasferiti a Seattle nel 1998. Essendo terribilmente europea, Seattle mi sembra una scelta strana per un gruppo come il vostro: le prime cose che mi vengono in mente pensando a Seattle sono: i Queensryche , il grunge e la torre dalla quale Grattachecca e Fichetto lanciano le monetine per uccidere i passanti…
(ridiamo)
Lesli: Mi sono trasferita a Seattle semplicemente per allontanarmi da Detroit, e Seattle è il posto più lontano da Detroit che puoi raggiungere. È una bella città e molto rilassante e la scena musicale lì è di ottima qualità, quindi era la scelta migliore per studiare un suono nuovo. Questo era quello che volevo.
Un anno dopo, Matt mi ha raggiunta e ci siamo convinti che Seattle era il posto perfetto, anche per il progetto musicale che stavamo portando avanti.
Nel momento in cui abbiamo incontrato Bob, abbiamo capito che il gruppo era composto.
Non era una questione di "scena musicale", quanto una questione di "influenza" che la città aveva su di noi, di sentimenti che non avremmo mai potuto provare da nessun altra parte.
Abbiamo parlato prima del titolo, cosa mi dite, invece, della copertina?
Bob: Era un periodo in cui scattavo tantissime fotografie e facevo molta video-art.
Un giorno, a Seattle, ero nel laboratorio di un mio amico e stavo scendendo con questo inquietante ascensore aperto e con la coda dell'occhio ho visto qualcosa nell'angolo buio. Ho scattato la foto senza essere sicuro di cosa fosse: sono dovuto andare a casa e sviluppare la foto per capire cosa avessi fotografato, perché doveva essere illuminato dal flash. Mi ha colpito molto l'accostamento del legno della sedia e del ferro delle pareti.
L'ho mostrata a Matt e lui ha subito avvertita questa sensazione di solitudine.
Lesli: Penso si accosti bene anche con il titolo: quella sedia vuota sembra proprio aspettare qualcosa.
Interessante. Però bisogna ammettere che il libretto lascia molto a desiderare…
Lesli: Anche questa è stata una questione di soldi (sorride)
Bob: Ma sai che questa è la prima volta che pubblichiamo i testi? Dico bene?
Matt: Sì, è la prima volta. Sai, a me sono sempre piaciuti i booklet dei New Order (sorride), dove tutto è lasciato all'immaginazione.
Bob: Le foto, invece, sono state scattate in studio: pensavamo avesse senso essere ritratti durante le registrazioni.
Ok, questa potrebbe essere una domanda un po' stupida o irrispettosa, ma ve la pongo lo stesso perché mi interessa: quale opinione avete - voi come stranieri - della musica italiana?
Lesli: A essere sincera non avevo una precisa, ma ero molto curiosa di fare questa esperienza perché proprio non sapevo cosa aspettarmi (ad aprire i concerti italiani dei Saeta, l'italianissimo Black Eyed Dog e dopo di loro, l'esibizione di Marco Parente). Mi auguravo che avremmo suonato con gruppi che avessero un suono simile al nostro.
I concerti che abbiamo tenuto insieme a Black Eyed Dog sono andati benissimo e i nostri stili sono complementari. Pensa che nelle ultime serate gli abbiamo chiesto di suonare una canzone insieme. È stata una proposta molto istintiva.
Al momento abbiamo un'ottima impressione della musica italiana.
Ultima domanda. Sapete che se digitate www.sae...
(delirio assoluto tra urla e risate)
Saeta: Il sito porno!
Bob: Lo adoriamo.
Lesli: Sì, pensiamo sia un buon sito.
Pensate che la signorina abbia un picco di ingressi ogni volta che pubblicate un disco?
Lesli: Secondo me sì, l'ho sempre pensato! Ne sono convinta. Sì.
Bob: Spero di sì, davvero! È un po' come dare un'alternativa alla nostra musica e ci domandiamo cosa succeda...
Jail, Legnano (Milano), 12 maggio 2006