Sandro Joyeux

Un vagabondo innamorato dell'Africa

intervista di Giuliano Delli Paoli

Incontriamo Sandro Joyeux, musicista parigino di padre italiano il cui acclamato esordio ha incuriosito e non poco gli addetti ai lavori, al punto da essere chiamato nel recente tour napoletano di Pino Daniele "Tutta n’ata storia", assieme a musicisti del calibro di James Senese, Enzo Gragnaniello, Tullio De Piscopo e Raiz. Una vita divisa tra Parigi, Napoli e Bamako sottolinea la natura di un impagabile vagabondo la cui musica affonda le proprie radici nel calore delle terre del Sud dell'Europa e del Nord Africa, lontana anni luce dai radar indipendenti transalpini e dalle mode, ma vicinissima al cuore dei più disagiati.

La tua esperienza musicale è maturata girovagando per le strade di Francia e Italia, fino a raggiungere il Mali, terra in cui hai sposato con profonda passione lo stile Mandingue. Da dove comincia esattamente la tua carriera? Cosa ti ha spinto a diventare un perfetto busker e cosa conservi dei tuoi primi impatti "stradali"con il pubblico?
Iniziai la musica cantando lirico nel coro della Radio France (corrispettiva di Radio Rai) a dieci anni. Lasciato le scuole senza nessun diploma, mi ritrovai obbligato a spostarmi molto per ragioni familiari, la musica si impose da sé come un modo di campare, l’unica arma per sopravvivere ovunque: metropolitana, strade pedonali, piazze, ristoranti, era tutto buono da prendere. Di quel periodo ricordo la fame, il freddo, le file alle cinque di mattina di fronte all’associazione Emmaus per fare una colazione calda, una doccia, lavare i vestiti. Quando facevo la strada alternavo il djembè e la chitarra. Con amici storici di Firenze avevamo l’abitudine di suonare con lo sguardo basso e dopo un po’ scoprire se si era fermato qualcuno. Il cerchio si faceva spesso. Comunque ce ne voleva per captare l’attenzione della gente. Qualche volta all’inizio in qualche ristorante qualche cliente mi ha anche fatto allontanare.

Hai suonato nelle carceri, nei centri d’accoglienza per migranti, negli ospedali psichiatrici. L’Antischiavitour fu il tuo personale viaggio musicale in giro per le campagne d’Italia proprio a sostegno dei migranti. Come nacque l’idea? La riprenderai?
La musica fa bene all’anima, porta a stare insieme. Io penso che è un diritto universale come respirare o dormire. Ad agosto 2012 alcune amiche attiviste mi avevano chiesto se volevo andare con loro in Puglia a suonare vicino Foggia, al Gran Ghetto. Non sapevo allora che cos’era il Gran Ghetto di Rignano. Lì ho scoperto che i miei fratelli africani vivevano in condizioni degne dei romanzi di Victor Hugo: sfruttati, costretti a durissime giornate di lavoro a raccogliere pomodori, stipati in baracche di fortuna in mezzo al nulla, senza servizi. Io quel giorno mi sono ritrovato in Africa. Il concerto iniziò su questa terra polverosa, accompagnato dal rumore del gruppo elettrogeno, illuminato da un'unica luce nel raggio di non so quanti chilometri che mi portava tutti gli insetti della zona addosso. Furono due ore indescrivibili, nostalgia, gioia, forse per qualche ora si sono estratti dalla loro realtà quotidiana. La musica dal vivo non arriva al Gran Ghetto e in tanti altri posti simili in Italia. Per questo è nato l’Antischiavitour. Mi piacerebbe portare altri artisti là, magari artisti africani o qualunque artista a cui va di condividere questa esperienza.  Aspetto volontari…

Daniele Sepe, Madya Diebaté, Moussa Traore e Ilaria Graziano sono gli ospiti illustri del tuo primo disco, e grazie al fiuto del buon Tony Esposito hai suonato nel recente tour napoletano di Pino Daniele "Tutta n’ata storia", assieme ad altri musicisti come James Senese, Enzo Gragnaniello, Tullio De Piscopo e Raiz. Come hai retto al grande balzo? Cosa ti lasciano queste importanti collaborazioni?
Ascoltavo Daniele Sepe già anni fa quando stavo in Francia, poi ho avuto il piacere di incontrarlo e conoscerlo, suonarci assieme in qualche occasione. Io lo chiamerei per tutti i miei dischi. Madya è il mio Griot, un virtuoso della Kora. Con lui posso approfondire la mia conoscenza delle ancestrali melodie mandingue. Moussa l’ho incontrato a Roma dov’era in vacanza per qualche giorno, non ci conoscevamo nemmeno ma dopo due giorni stavamo già in studio. Con Ilaria c’è un’amicizia e una collaborazione artistica che era nata fin dai miei primi giorni a Roma, volevo la sua voce d’oro sul disco. Con Tony avevo già avuto il piacere di collaborare nella primavera del 2012. Mi ha chiamato proprio nei giorni in cui usciva il mio disco, ma non ho avuto nessuna esitazione ad accettare, anche se sconvolgeva i miei piani di allora. Mi ha dato la possibilità di fare un’esperienza professionale incredibile, su un grande palco di fronte a tante persone. Già solo aver potuto vedere quei giganti della musica all’opera per sei sere è stato un tesoro incredibile. Chiaramente ero molto emozionato, Tony mi aiutato molto a essere a mio agio, mi trasmetteva fiducia e sicurezza.

Boubacar Traoré è sicuramente uno dei tuoi musicisti preferiti, non a caso hai magnificamente reinterpretato uno dei suoi pezzi più intensi e famosi, "Mariama". Quale altro musicista indicativo di quella terra consiglieresti ai più?
Il grande Salif Keita, la diva Oumou Sangare, l’uomo del Nord Afel Bocoum, il genio del balafon Neba Solo, la mitica "Rail Band" della stazione di Bamako nei anni 70, Yossou N'Dour fino al 94... Oliver Mtukudzi, Nes el Ghiwane (i Led Zeppelin marocchini).

In questi mesi il Mali vive un momento molto delicato. La Francia è recentemente intervenuta per ristabilire la sovranità del governo sui territori sahariani settentrionali, senza contare il disagio umano dei tantissimi sfollati costretti a vagare in condizioni sempre più disperate. Che idea ti sei fatto di questo lungo e travagliato conflitto interno? Cosa hai appreso dalle loro storie?
Il colpo di stato è scattato mentre stavamo in studio a incidere il disco. Il padre di Moussa (Traore) era direttamente coinvolto nella protezione del presidente Toure; quel giorno abbiamo vissuto gli eventi in diretta con molta apprensione. Le radici del male sono profonde, la questione tuareg non è mai stata risolta, lo stato dietro una democrazia di facciata era molto debole, l’esercito incapace di resistere all’offensiva dei gruppi islamisti che stavano imponendo la shari’a e il terrore a Nord del paese. Politicamente la situazione era molto delicata, la Francia da anni ha perso molta influenza nel continente nero, voleva staccarsi dall’immagine della Franciafrica (sistema politico di corruzione dei capi di stato africani). Per questo attese fino all’ ultimo momento la richiesta d aiuto del Mali per intervenire.  Al Nord tuttora la situazione non è stabilizzata. Non ho testimonianze dirette sulla situazione.

Eugenio Bennato ti ha fortemente voluto come voce solista insieme a Pietra Montecorvino e alla giovane soprano egiziana Fatma Said per la sua opera “L’amore Muove la Luna”, in scena lo scorso anno allo storico Teatro San Carlo di Napoli. Come hai interagito con una dimensione così diversa dai tuoi spazi abituali? Pensi sia un’esperienza ripetibile?
Per me in parte è stato un ritorno alle radici, conoscevo fin da bambino l’ambiente e il rigore dell’orchestra sinfonica. Non pensavo di frequentare di nuovo questo modo di fare musica. Dopo anni a suonare da solo era bello ritrovarsi in cento su un palco. Se fosse possibile da ripetere, accetterei subito.

Programmi per il futuro?
Sicuramente portare questo primo disco ancora in giro dove non sono mai stato. Intanto però sono già al lavoro su brani nuovi. Ripetere l’Antischiavitour. E poi un viaggio in Africa, manco in Mali da troppo tempo…

Discografia

Sandro Joyeux(Mr. Few, 2012)7
Pietra miliare
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