Sembrava incredibile anche al sottoscritto, quando l'account Skype di Steve Roach si è attivato e la fatidica chiamata è potuta partire. L'inseguimento al musicista californiano è stato tutto sommato breve anche se piuttosto travagliato, ma alla fine l'ora abbondante spesa a confrontarsi con lui è sembrata volare, sotto forma di una chiacchierata fra appassionati riguardo sintetizzatori analogici, modalità di sfruttare la tecnologia e il futuro della generazione sonora. Tanti gli spunti e le curiosità per capire meglio l'ingente opera dell'indiscusso sovrano dell'ambient music contemporanea.
Hai iniziato la tua attività come musicista dell’area elettro-minimale con dischi come "Now" e "Traveler". Ma poi, a partire da "Structures From Silence", hai letteralmente voltato pagina, cominciando a scrivere una sorta di libro della nuova ambient music, di cui ogni tuo disco è una pagina. Come è avvenuto questo cambiamento?
Beh, i miei primissimi lavori si ispirano in maniera evidente alla musica elettronica degli anni 70, in particolare alla scuola cosmica di Berlino, mio vero primo punto di partenza. Sono lavori minimalisti nelle strutture, ma “Moebius”, per esempio, è già dal nome un omaggio a quei suoni. Poi ho iniziato a far evolvere il mio stile in maniera differente in quanto sono cambiate molte delle mie fonti di ispirazione: ho un po' abbandonato quei suoni, iniziando a cercare maggiore ispirazione nell'ambiente che mi stava attorno, e questo si è poi riflesso sulla mia musica da “Structures From Silence” in poi.
Dagli anni Duemila, hai aumentato notevolmente la mole della tua produzione, arrivando a sfornare anche 3-4 album all’anno. A cosa è dovuta questa prolificità? Dove e quando trovi oggi elementi in grado di ispirarti?
Si, è vero, credo sia dovuto principalmente al mio essere invecchiato. Col passare del tempo, è aumentata la mia esperienza nel saper musicare ciò che mi circonda, che è ancora quel che faccio oggi. La mia musica si ispira sempre e comunque a situazioni particolari che vivo ogni giorno, ogni attimo può essere di per sé fonte di ispirazione. Ogni situazione ha la sua peculiarità, e può essere tradotta in musica. L'ispirazione continuo a trarla da numerosissimi elementi: l'ambiente in cui vivo, innanzitutto, e non a caso molti miei dischi dal suono simile hanno la comune caratteristica di essere stati concepiti in luoghi diversi. Sono nato e ho vissuto a lungo in California, oggi invece risiedo in Arizona ma ovunque vada cerco sempre di trovare qualcosa di particolare da immortalare. Anche durante i molti viaggi in Australia e in Europa (soprattutto in Italia) ho trovato fonti di ispirazioni varie: Roma è una città meravigliosa, per esempio. Il deserto è sempre stato un'altra immagine capace di trasmettere tantissimo. Lo studio stesso è una fonte di ispirazione: entrare lì, trovarsi circondati da questi strumenti che ti permettono di riprodurre quel che provi con un linguaggio diverso e forse ben più efficace delle parole. Prendi un disco come “Sigh Of Ages”: è un vortice di emozioni provate in situazioni fra di loro ben diverse e apparentemente “normali”. Credo sia sempre giusto cogliere ogni attimo, ogni piccolo gesto, che nella vita quotidiana può sembrare inutile o ininfluente, può nascondere qualcosa che la musica è in grado di rievocare.
Una delle particolarità maggiori della tua musica è il suono. Come ottieni i suoni che usi nei tuoi brani e più in generale, come si sviluppa un tuo brano dalla composizione all’esecuzione?
I suoni li ottengo semplicemente cercando di riprodurre nella maniera più fedele l'idea che ho in mente, quando entro in studio mi perdo letteralmente fra quel che la strumentazione mi mette a disposizione. Lo sviluppo di un brano è appunto un processo personale e particolare, mi piacerebbe molto tenere delle lezioni in cui spiego qual è il mio approccio, ma capirai che a parole è sostanzialmente impossibile da descrivere. E' sicuramente umano, molto umano, tanto che personalmente non riesco a capacitarmi di come molti oggi compongano ed eseguano musica basandosi esclusivamente sui laptop: nella mia musica c'è una gestualità, una necessità di trasmissione, un'umanità che un laptop non sarebbe mai in grado di tradurre. E' come un pittore che abbandona il pennello per imbracciare un mouse, non fa per me. Io continuo a utilizzare i sintetizzatori, in particolare i moduli montati su rack che sono più comodi e occupano meno spazio. Ho usato a lungo l'Arp 2600 che secondo me resta il miglior sintetizzatore mai inventato, e il Vcs3 della Ems, mentre ho sempre lasciato perdere i Moog Modular perché sono decisamente ingombranti. Quando entro in studio, mi immergo in una dimensione tutta mia e posso passare ore a cercare un singolo suono finché non riproduca fedelmente quel che cerco. Poi, come ho detto in precedenza, cerco di cogliere la mia ispirazione in ogni momento: posso così passare nel giro di qualche ora dal lavorare su materiale tribale e percussivo a qualcosa di disteso e rilassato. Nella stessa maniera, mi capita di andare a dormire la sera appena uscito dallo studio e di coltivare durante la notte in sogno il ricordo di quel che stavo facendo. Poi mi alzo la mattina, e mi getto in studio ad aggiornare il tutto, o a proseguire con il lavoro.
Se non ho capito male, quindi, non sei un grande amante del digitale. Come vedi il fatto che molti giovani musicisti oggi si approccino a un'arte simile alla tua solo ed esclusivamente con questi strumenti e con l'evo digitale? Per te è una mancanza il fatto che ci siano sempre meno musicisti legati agli strumenti “veri”?
Se vogliamo è un trend curioso e bizzarro, per certi versi incomprensibile dal mio punto di vista, ma che obiettivamente rispecchia appieno la maniera in cui si sta evolvendo il mondo. Siamo sempre più portati a “semplificare”, anche a costo di sacrificare quella matrice umana che nel lavoro si infonde sempre e comunque a suon di passione. Oggi più o meno chiunque può accendere un laptop e fare la sua musica, magari fare anche della gran bella musica: basta aprire un qualsiasi sequencer ed ecco che ti ritrovi un equivalente di quelli che tu (e anch'io) chiami strumenti “veri”. Capisco che i musicisti giovani dei nostri tempi siano nati e cresciuti in un mondo per cui l'uso del laptop è la normalità, e magari guardino con un misto di ammirazione e stupore a noi “vecchi” che continuiamo a restare legati ai vecchi marchingegni. Poi, secondo me, è anche una questione puramente tecnica: non credo che sarei mai in grado di tirare fuori da un computer quel che tiro fuori dai miei sintetizzatori, o dal digeridoo, o dalle percussioni. Ci sarebbe un intermediario di troppo: il software. Io uso comunque i latpop durante le esibizioni e in studio, ma in una maniera che sia meno invasiva, che li renda sostanzialmente l'archivio di quel che tiro fuori con le mie mani per mezzo dell'hardware. La quantità di sfumature e la possibilità di infondere un'interpretazione che si ha con gli strumenti “veri” con il laptop è in buona parte annullata, a dispetto di una perfezione sonora che spesso è più formale che sostanziale. Ciò non toglie che sia questo, con tutta probabilità, il futuro: è la direzione in cui la musica si sta muovendo, ma non la mia.
Va però detto che forse c'è un problema particolare: molti giovani musicisti partono con budget ridotto, e questo impedisce loro di acquistare strumentazione hardware!
Beh, ma per strumentazione hardware non intendo il Big Moog, ma anche semplicemente un po' di moduli da montare su rack. Non credo che nel complesso vengano a costare tanto più di una versione originale con licenza di un buon programma. Per non parlare dei costi delle espansioni. E comunque io stesso oggi non uso più strumenti interamente analogici, però continuo a vedere una prevalenza dell'hardware sul software, o comunque una stretta dipendenza del secondo dal primo. Il software può essere la mia banca sonora, il colore dove attingere: ma il pennello è e deve restare nelle mie mani, e quindi serve necessariamente l'hardware. Voglio avere la libertà di mettere le dita sui tasti che preferisco, di prolungare la nota fin dove mi serve. La mia musica e il mio approccio sono molto “liberi”, si basano sull'impressione del momento, su quello che mi sento di fare in un determinato istante, non su calcoli o cicli rigidi che si ripetano di volta in volta. Oggi le case produttrici di sintetizzatori continuano comunque a mettere a disposizione strumenti di vario genere che fungano da via di mezzo, mi viene in mente la serie Gaia della Roland: impianto dei vecchi synth analogici e suono digitale. Collegandolo via Midi a un computer, hai tutti i suoni che vuoi e la possibilità di manipolarli come più ti piace, senza dover stare a dare indicazioni ad un terzo (il software, ndr).
Ho sempre trovato incredibilmente affascinanti i tuoi live. "Journey Of One" è forse uno dei tuoi dischi migliori e un capolavoro assoluto della musica ambient. Che differenza trovi quando proponi la tua musica dal vivo rispetto al tuo meticoloso lavoro in studio?
Ti ringrazio molto, sono felice che tu pensi questo. Fondamentalmente la differenza non è così marcata: ovviamente si tratta di due cose diverse, ma legate fra di loro. Lo studio per me è un laboratorio in cui do sfogo alla mia passione, sviluppando la mia musica e portando avanti anche più discorsi contemporaneamente. Come ti ho detto, può capitare che nel giro di due ore passi da trance e percussioni a musica ambient distesa e spaziale. E' un luogo in cui mi sento chiaramente libero, forse più che dal vivo: posso correggermi, rivedere passaggi, modificarli, lasciarmi guidare dalle impressioni anche ripetendo più e più volte uno stesso passaggio con modalità e sfumature diverse. La dimensione live è invece l'esperienza esterna: è una sorta di “vacanza” della mia musica dallo studio, e il fatto di dover suonare di fronte a un pubblico è decisivo sull'approccio all'esecuzione. Gran parte dei miei concerti sono degli autentici viaggi, progettati a grandi linee ma che si basano poi sull'ispirazione del momento, sulle sensazioni, sulla reazione del pubblico. Certo, non sono libero quanto in studio, ma d'altro canto sono più libero di sbagliare rispetto a quanto lo sono in studio. Il processo che porta alla registrazione di un disco implica un riascolto ripetuto, e così vengono fuori imperfezioni da correggere, passaggi da migliorare, magari anche un'illuminazione del momento che ti fa cambiare idea su qualcosa di cui prima eri certo. Dal vivo tutto questo, ovviamente, non c'è: si deve cogliere l'attimo. Purtroppo per me è molto difficile fare concerti al di fuori dell'America, perché anche sul palco porto con me i miei strumenti: anzi, è proprio dal vivo che non riesco a capire quelli che si presentano con due laptop e usano solo quelli. Io arrivo con tastiere e rack, i computer li uso al massimo per campionare estratti da alcuni miei dischi, che normalmente intervallo a sezioni inedite o improvvisate. Verrei anche in Italia, ed è anzi una scommessa con me stesso che di sicuro vincerò: il problema resta il muovere tutti i miei strumenti, pagare i trasporti, correre il rischio che si rompano o che vengano rubati, cercare un'assicurazione decente e pagare anche quella. Insomma, è una bella sfida, che conto però di vincere a breve.
Molti altri album meravigliosi li hai composti al fianco di alcuni tuoi “contemporanei”: Michael Stearns, Robert Rich, Erik Wøllo, Loren Nerell… Come vedi la pratica del collaborare in ambito musicale? Cosa hai preso da questi e dagli altri musicisti con cui hai lavorato e cosa è rimasto a loro di te?
Domanda molto interessante e alla quale è un po' difficile rispondere... Tutte le collaborazioni che ho intrattenuto nella mia carriera sono iniziate sempre e comunque dalla stima reciproca per la musica dell'altro. Credo sia fondamentalmente il primo passo verso un rapporto artistico. Poi c'è un dato comune che unisce tutte le mie collaborazioni: sono avvenute nello stesso posto, il mio studio. Non accetterei mai e poi mai di concepire un disco con un “collega” inviandoci file audio a distanza, ci dev'essere un rapporto umano e uno scambio, che può avvenire solo in studio. Sicuramente ho preso molto dai musicisti con cui ho collaborato: prendi per esempio Byron Metcalf, con cui sto componendo attualmente un lavoro: lui è molto diverso da me, ci siamo incontrati per la prima volta nel 2000, ed è stato lui a ispirare poi l'uso delle percussioni in alcuni album successivi. Lo stesso è avvenuto con Vir Unis in precedenza. Quanto abbia lasciato io a loro è una domanda che dovresti fare a loro, ma credo comunque che ogni volta in cui ho incrociato la mia strada con altri musicisti sia stata diversa: ogni persona è simile solo a sé stessa, e così anche i risultati di una collaborazione e la maniera in cui questa si è evoluta.
E che musicisti di tale stampo consideri attualmente validi, anche nelle espressioni più recenti del genere come il drone?
Te lo confesso in tutta sincerità, seguo molto poco la scena attuale. Non per altro, ma perché in generale ascolto molto di rado musica che assomigli alla mia. Passo in studio quasi metà delle mie giornate, quando esco ho la testa piena della mia musica, di idee e di spunti che la riguardano, penso che tu possa capire. Mi risulta quindi difficilissimo riuscire ad ascoltare musica come la mia, è come se avessi bisogno di liberare le orecchie da quei suoni non appena li metto momentaneamente da parte. Preferisco piuttosto dedicarmi ad altro, qualcosa che non faccia parte del mio stile ma che possa comunque essere apprezzato. Parlando di modernità, posso citarti Monolake: mi sono incuriosito a lui per via del nome, il famoso e bellissimo lago da cui prende il nome si trova a pochi chilometri da dove sono nato. La sua è una musica sicuramente distante dal concetto canonico di “drone”, ma che in certi passi si può comunque classificare come “drone” o “ambient”, senza per questo perdere il suo carattere moderno. Poi ascolto sempre e seguo costantemente i lavori dei miei “colleghi” in casa Projekt, come Erik Wøllo, Forrest Fang e Loren Nerell. Mi piace seguire e sentire come si evolve la loro musica di album in album, e prendere anche ispirazione dai loro percorsi per qualcosa di mio.
Infine, che progetti hai per il futuro prossimo?
Pochi minuti dopo averti salutato, sarò in studio per continuare la post-produzione di un nuovo album con Byron Metcalf, “Tales From The Ultra Tribe”, che uscirà su Projekt entro due mesi o poco più. Contemporaneamente sto lavorando a un nuovo disco di stampo ambientale con ritmi e sequenze sonore, sullo stile di “Back To Life” e “Mystic Chords & Sacred Spaces”. Sarà composto nuovamente da un unico lungo brano, e penso vedrà la luce la prossima primavera.
STEVE ROACH | |
Moebius (Moonwind, 1979) | |
Now (tape, Fortuna, 1982/Fortuna, 1987) | |
Traveler (Domino, 1983/Fortuna, 1987) | |
Structures From Silence (Fortuna, 1984/Projekt, 2001) | |
Quiet Music 1 (Fortuna, 1986) | |
Empetus (Fortuna, 1986/Projekt, 2008) | |
Quiet Music 2 (Fortuna, 1986) | |
Quiet Music 3 (Fortuna, 1986) | |
Dreamtime Return (Fortuna, 1988/Projekt, 2005) | |
Stormwarning (live, Soundquest, 1989/Timeroom, 1999/Projekt, 2012) | |
World's Edge (Fortuna, 1992) | |
The Lost Pieces (raccolta, Rubicon/Projekt, 1993) | |
Origins (Fortuna, 1993) | |
The Dream Circle (Soundquest, 1994/Timeroom, 1999) | |
Artifacts (Fortuna, 1994) | |
The Dreamer Descends (ltd, Amplexus, 1995) | |
The Magnificent Void (Hearts Of Space, 1996) | |
On This Planet (live, Hearts Of Space, 1997) | |
Slow Heat (Timeroom, 1998) | |
Truth & Beauty: The Lost Pieces Volume Two (raccolta, Timeroom, 1999/Projekt, 2010) | |
Atmospheric Conditions (Timeroom, 1999) | |
Dreaming... Now, Then: A Retrospective 1982-1997 (antologia, Fortuna, 1999) | |
Quiet Music (raccolta, Fortuna, 1999) | |
Light Fantastic (Hearts Of Space, 1999) | |
Early Man (Manifold, 2000/Projekt, 2001) | |
Midnight Moon (Projekt, 2000) | |
Core (Timeroom, 2001) | |
Streams & Currents (Projekt, 2001) | |
Pure Flow: Timeroom Editions Collection 1 (raccolta, Timeroom, 2001) | |
Day Out Of Time (Timeroom, 2002/Projekt, 2012) | |
Darkest Before Dawn (Timeroom, 2002) | |
All Is Now (live, Timeroom, 2002) | |
Mystic Chords & Sacred Space, Parts 3 & 4 (Projekt, 2003) | |
Mystic Chords & Sacred Space, Parts 1 & 2 (Projekt, 2003) | |
Space And Time: An Introduction To The Soundworld Of Steve Roach (antologia, Projekt, 2003) | |
Texture Maps: The Lost Pieces Vol. 3 (raccolta, Timeroom/Projekt, 2003) | |
Life Sequence (raccolta, Timeroom, 2003) | |
Fever Dreams (Projekt, 2004) | |
Holding The Space: Fever Dreams II (Timeroom, 2004) | |
Places Beyond: The Lost Pieces Vol. 4 (raccolta, Timeroom/Projekt, 2004) | |
Possible Planet (Timeroom, 2005) | |
New Life Dreaming (Timeroom, 2005) | |
The Dreamtime Box (box set, Timeroom, 2005) | |
Immersion: One (Projekt, 2006) | |
Storm Surge: Live At NEARfest (live, NEARfest, 2006) | |
Proof Positive (Timeroom, 2006) | |
Kairos: The Meeting Of Time And Destiny - A Visual Music Odissey (soundtrack, Timeroom, 2006) | |
Immersion: Two (Projekt, 2006) | |
Immersion: Three (Projekt, 2007) | |
Fever Dreams III (Timeroom, 2007) | |
Arc Of Passion (Projekt, 2007) | |
A Deeper Silence (Timeroom, 2008) | |
Landmass (Timeroom, 2008) | |
Dynamic Stilness (Projekt, 2009) | |
Immersion: Four (Projekt, 2009) | |
Afterlight (Timeroom, 2009) | |
Destination Beyond (Projekt, 2009) | |
Live At Grace Cathedral (live, Timeroom, 2010) | |
Sigh Of Ages (Projekt, 2010) | |
Immersion: Five - Circadian Rhythms (Timeroom, 2011) | |
Live At SoundQuest Fest (live, Timeroom, 2011) | |
Quiet Music: The Original 3-Hours Collection (raccolta, Projekt, 2011) | |
Journey Of One (live, Projekt, 2011) | |
Groove Immersions (Timeroom, 2012) | |
Back To Life (Projekt, 2012) | |
Soul Tones (Timeroom, 2013) | |
Ultra Immersion Concert (dig, live, Timeroom Digital, 2013) | |
Rasa Dance (raccolta, Epona, 2013) | |
Future Flows (Projekt, 2013) | |
Live Transmission (live, Projekt, 2013) | |
Spiral Meditations (Timeroom, 2013) | |
At The Edge Of Everything (live, Timeroom, 2013) | |
The Desert Collection - Volume One (raccolta, Timeroom, 2014) | |
The Delicate Forever (Projekt, 2014) | |
The Delicate Beyond (ltd, Projekt, 2014) | |
Invisible (ltd, Timeroom, 2015) | |
Skeleton Keys (Projekt, 2015) | |
The Skeleton Collection 2005-2015 (raccolta, Timeroom, 2015) | |
Bloodmoon Rising (4xCD, Timeroom, 2015) | |
Etheric Imprints (Projekt, 2015) | |
Alive In The Vortex (live, Timeroom, 2015) | |
Vortex Immersion Zone (Timeroom, 2015) | |
STEVE ROACH & ROBERT RICH | |
Strata (Hearts Of Space, 1990) | |
Soma (with Robert Rich, Hearts Of Space, 1992) | |
STEVE ROACH & DIRK SERRIES (aka VIDNA OBMANA) | |
Well Of Souls (Projekt, 1995) | |
Cavern Of Sirens (Projekt, 1997) | |
Ascension Of Shadows/Somewhere Else (ltd, Projekt, 1999/Projekt, 2005) | |
Circles & Artifacts (ltd, Contemporary Armonic, 2000) | |
Live Archive (live, Groove Unlimited, 2000/Projekt, 2008) | |
InnerZone (Projekt, 2002) | |
Spirit Dome (Projekt, 2004/Projekt, 2008) | |
The Memory Pool/Revealing The Secret (ltd, steveroach.com, 2008) | |
Low Volume Music (Projekt, 2012) | |
STEVE ROACH & VIR UNIS | |
Body Electric (Projekt, 1999) | |
Blood Machine (Green House, 2001) | |
STEVE ROACH & BYRON METCALF | |
The Serpent's Lair(Projekt, 2000) | |
Mantram (with Mark Seelig, Projekt, 2004) | |
Nada Terma (with Mark Seelig, Projekt, 2008) | |
Dream Tracker (with Dashmesh Khalsa, Dr. BAM, 2010) | |
Tales From The Ultra Tribe(Projekt, 2013) | |
Monuments Of Ecstasy (with Rob Thomas, Projekt, 2015) | |
STEVE ROACH & JORGE REYES | |
Vine ~ Bark & Spore(Timeroom, 2000) | |
Live In Tucson 2000(MP3, steveroach.com, 2013) | |
The Ancestor Circle (Projekt, 2014) | |
STEVE ROACH & ERIC WØLLO | |
Stream Of Though (Projekt, 2008) | |
The Road Eternal (Projekt, 2011) | |
ALTRE COLLABORAZIONI | |
Western Spaces (with Kevin Braheny, Richard Burmer & Thom Brennan, Innovative Communication/Fortuna, 1987) | |
The Leaving Time (with Michael Shrieve, Novus/RCA, 1988) | |
Desert Solitaire (with Michael Stearns & Kevin Braheny, Fortuna, 1989) | |
Australia: Sound Of The Heart (with David Huson & Sara Hopkins, Hearts Of Space, 1990) | |
Kiva (with Michael Stearns & Ron Sunsinger, Hearts Of Space, 1995) | |
Halcyon Days (with Stephen Kent & Kenneth Newby, Hearts Of Space, 1996) | |
Dust To Dust (with Roger King, Projekt, 1998) | |
Prayers To The Protector (with Thupten Pema Lama, Fortuna, 2001) | |
Time Of The Earth: A Desert Dreamtime Journey (soundtrack, with Steve Lazur, Projekt, 2001) | |
Trance Spirits (with Jeffrey Fayman, Robert Fripp & Momodou Kah, Projekt, 2002) | |
Terraform (with Loren Nerell, Solelimoon/Projekt, 2005) | |
Nightbloom (with Mark Seelig, Projekt, 2010) | |
The Desert Inbetween (with Brian Parnham, Projekt, 2011) | |
The Long Night (with Kelly David, Projekt, 2014) | |
Spiral Revelation (Projekt, 2016) | |
SUSPENDED MEMORIES (with Jorge Reyez & Suso Saiz) | |
Forgotten Gods (Grabaciones Lejos Del Paraiso/Heart Of Space, 1993) | |
Earth Island (Hearts Of Space, 1994) | |
SOLITAIRE (with Elmar Schulte) | |
Ritual Ground (Silent, 1993/Projekt, 2000) |
Sito ufficiale | |
Myspace | |
YouTube | |
Projekt Records |