
I Belle & Sebastian tornano a Parigi dopo un paio di anni. Nella vita di un gruppo che è in giro da quasi una decina, due possono essere pochi. O anche un’eternità. Ed è per la seconda ipotesi che in questo caso si può propendere: tanti i fan che esibiscono spille e magliette del gruppo, Grand Rex riempito e, fatto del tutto inusitato per questa sala, pubblico che invece di starsene sulle comodissime poltrone, si accalca sotto il palco. Il motivo principale per cui questi due anni sembrano una distanza colossale, però, non è tanto la grande attesa per una delle band di culto il cui culto è più diffuso. E’ piuttosto che i Belle & Sebastian, da allora, sono profondamente cambiati. Cambiata è la loro musica: l’ultimo disco è la prima vera delusione dopo tante chicche fra album, Ep e un Dvd (l’ottimo "Fans Only").
Cambiata è la formazione: l’adorabile Isobel Campbell, importante sia in studio che sul palco, ha portato via il suo violoncello, la sua presenza scenica e le sue idee a vantaggio della carriera solistica. Cambiato è l’atteggiamento sul palco della band. A dire il vero, quest’ultimo mutamento non è stato brusco, ma un lento processo giunto al suo termine da un po’, prova ne sia l’esibizione dei nostri a Roma, per l’edizione 2002 del festival "Enzimi". Simbolo del nuovo stato delle cose, il cantante e autore principale Stuart Murdoch. Dall’impacciato e timido frontman-suo-malgrado che era un tempo, è diventato, se non un animale da palco, quantomeno uno scafato entertainer, che dialoga con il pubblico e non sembra più messo sulla scena contro la sua volontà: è ironico, balla, salta, è una vera presenza, anche se sembra sempre sognante o malinconico. D’altra parte, dopo quasi dieci anni in giro per il mondo, sarebbe assai improbabile che un’immutata timidezza non puzzi di finzione… E di finto saprebbe anche un gruppo che si presentasse come una schiera di volenterosi, magari talentuosi, ma ancora acerbi semi-professionisti. Ogni membro dei Belle & Sebastian è, oggi, un abile musicista, uso al palco e perfettamente integrato con gli altri. Si trovano facilmente, si nota l’esperienza accumulata suonare assieme, così come si percepisce una voglia di divertirsi sempre intatta.
Impossibile non riconoscere al gruppo una maturità che sul disco può sembrare vecchiaia, ma sul palco riesce a dare un certo valore aggiunto sia a momenti già esaltanti, sia a quelli che sull’ultima fatica sembrano grossi scivoloni. Una delle tante dimostrazioni può essere "Step Into My Office, Baby", il primo singolo tratto da "Dear Catastrophe Waitress". Canzone non certo esaltante su cd, molto divertente dal vivo. Merito di un lavoro di "stemperamento" di ciò che c’era di meno buono su album, principalmente. Diventano gradevolissimi i cori quando si tacciono gli strumenti a metà brano, simpatico Murdoch che si sente del tutto a disagio nel cantare in modo languido l’ultima strofa e lo palesa. Poi non si ricorda le ultime parole e fa interrompere la canzone, cominciando a chiedere ai membri della band se se ne sovvengono. Nessuno sembra ricordarle, ma mentre Murdoch sta ancora parlottando è il chitarrista Stevie Jackson a concludere strofa e canzone con la tipica espressione da "Ma come fai a non ricordartele?". Gli scambi fra i due sono uno dei pilastri del concerto, tanto quelli verbali, divertentissimi, quanto quelli in musica: capita spesso che una canzone si regga soprattutto su di loro, quando addirittura non sono da soli a eseguire il pezzo o una sua parte. Proprio Jackson è ormai il secondo motore dei Belle & Sebastian, e sembra decisamente un bene. Con le sue movenze strampalate, con il suo francese incerto, con la sua chitarra con su disegnato George Harrison in versione cartone animato, è fondamentale sul palco. Con la sua buona tecnica e i frequentissimi cambi di chitarra, è al pari di Murdoch l’anima musicale della band.
Naturalmente, in ogni caso, è sulle canzoni più vecchie che i sette si esaltano, e i presenti con loro: "Seeing Other People" e "Judy And The Dream Of Horses", da "If You’re Feeling Sinister", non sono certo dei superclassici, ma emozionano come sempre hanno fatto.
Ma passiamo al racconto del concerto. In apertura erano attesi i Franz Ferdinand, che per motivi di salute sono costretti a rimanere a casa. Poco male. Di supporto, dunque, c’è lo sconosciuto (anche in Francia) Sébastien Martel: dimenticabile, sebbene coraggioso, ma si può ragionevolmente dubitare che i nuovi cocchi della stampa musicale inglese avrebbero fatto molto meglio.
Introdotta da un arsenale di strumenti, da quattro violinisti-coristi e una violoncellista, entra la band. Si comincia con "Passion Fruit", una strumentale dal sapore (spaghetti) western, poi tocca a "Expectations", che offre subito a Mick Cooke l’occasione per due assoli di tromba. Arrivano le canzoni dell’ultimo album, poi una "Seeing Other People" briosa, vivacissima. E’ la prima canzone che Murdoch esegue cantando e suonando la tastiera. Si siede là dietro canticchiando "She said: I know you and you cannot sing, I said: That’s nothing you should hear me play piano"… Non tutti afferrano la citazione, purtroppo.
Stuart canta "Dear Catastrophe Waitress" seduto al tavolo di un ipotetico ristorante, mentre la "catastrophe waitress" del titolo (è la stessa ragazza della copertina dell’ultimo album) fa avanti e indietro per servirlo combinando solo piccoli disastri. La simpatica pantomima, unita a una certa accortezza della band, riesce a far dimenticare l’andamento da "Cuore Matto" della canzone. Sulla successiva "Wrapped Up in Books" il frontman pulisce il palco con una scopa mentre Jackson decora una canzone non memorabile con un bell’assolo di armonica.
Il primo grande brivido arriva con "The State I Am In", una delle poche canzoni che anche il pubblico non anglofono canta per intero. Impossibile resistere al ritornello-killer, all’amara ironia delle parole, a uno Stuart Murdoch che sembra realmente "dentro" alla canzone fino al finale, in cui si trova a cantare da solo.
Murdoch parla frequentemente, e Jackson non meno, avvantaggiato dal sapere un po’ di francese, anche se dopo qualche errore qua e là dirà che le uniche parole di francese che conosce veramente sono "sont les mots qui vont très bien ensemble". Stuart non sa il francese, e dichiara con aria sognante (beh, è la sua espressione più frequente) che le uniche tre o quattro parole che conosce le ha imparate da Godard… La violinista-flautista-tastierista-corista Sarah Martin, che neanche conosce quelle poche parole, canta Gainsbourg aiutata da un foglietto che sbircia continuamente. La voce è buona, ma purtroppo non è quella di Isobel Campbell, rispetto alla quale paga dazio soprattutto come presenza sul palco. Timidissima la sua, ai limiti della paura vera e propria, dolce e importante quella della dimissionaria Isobel.
"Scooby Driver", veloce come si deve, cantata in coro da quasi tutto il complesso, vede un Murdoch ballerino seguito volentieri dal pubblico e introduce un gruppetto di nuove canzoni in mezzo al quale spunta una "Dog On Wheels" fedelissima alla versione che appare sull’omonimo Ep. Un male? No, se l’originale è delizioso… "Judy And The Dream Of Horses", semplicemente, incanta.
Anche le nuove, in quest’ultima parte del concerto, sembrano migliori: "Roy Walker" accompagnata da schiocchi di dita per tutta la sua durata e "If You Find Yourself Caught In Love", forse la più vicina alle "vecchie" composizioni.
A chiudere il programma, scatta "Sleep The Clock Around", ed è l’ennesima ovazione. Ancora più ritmata che su disco, quasi pressata da un gioioso fiatone, questa è una delle più belle canzoni del gruppo: naturale che sia anche, sicuramente dal punto di vista strettamente musicale ma forse anche da quello emotivo, il picco più alto della serata. La tromba di Mick Cooke, come è giusto che sia, regna sul finale in crescendo.
Richiamati a gran voce dal pubblico, i Belle & Sebastian ritornano sul palco per quello che, a giudicare dalla scaletta che trafugherò in seguito, è il primo di due fuori programma. In effetti i bis non sono certo un’abitudine per il gruppo scozzese. Attaccano "Get Me Away From Here, I’m Dying" e il Grand Rex sembra esplodere. Grande scelta: non solo è uno dei pezzi più amati, ma anche tutto sommato facile da suonare, e quindi da eseguire anche se non previsto. Quando vuole, il gruppo riesce a dare brividi che scorrono sui sorrisi dei presenti. Escono di nuovo e ritornano sul palco dietro le insistenze di tutti i presenti. Suonano una trascinante "You’re Just A Baby", da "Tigermilk". Murdoch ci dice che è "per la prima volta in assoluto", ma non si capisce se si riferisce alla canzone o al secondo bis…