
A loro modo unici. Unici e contagiosi, a giudicare dalla disinvoltura con cui il ventitreenne Ian Barnard clona il vecchio Jet alla batteria (ma Burnel, nel corso dell'intervista, ci svela in qualche modo l'arcano) e alla lodevole tenacia con cui il chitarrista Baz Warne si fa carico non già dell'onere, tutto sommato sostenibile, di fare le veci di Paul Roberts, ma di quello assai più arduo di prendere le parti di Hugh Cornwell, il cantante che degli strangolatori fu il padre fondatore e che nel 1990 lasciò la band. Questo perché il canzoniere affrontato on stage appartiene perlopiù ai tempi felici.
Un tourbillion di hit gloriose, solo in parte frammezzato da escursioni nell'odierno, più modesto repertorio: dall'irriverente "Peaches" alle smancerie pop Eighties di "Always The Sun", dai barocchismi color pastello di "Golden Brown" alla cavalcata romantica di "Duchess". E fra energici tributi al Bacharach di "Walk On By" e ai Kinks di "All Day And All Of The Night", ancora il reggae punk ante litteram "Nice 'n' Sleazy", la beffarda "Hanging Around", i tardivi struggimenti di "North Winds Blowing" e, manco a dirlo, l'inno "No More Heroes" a congedo. Esecuzioni impeccabili tutte figlie della passione, come a dirci che la classe vuole spesso abiti scuri. E questa sera non ha fatto eccezioni.