
The Good, The Bad & The Queen si presentano alle 1.30 del mattino dopo una trascurabile performance dei Joan As Police Woman e un interminabile sound-check. Brevi e a volte illuminanti, i brani dell’album si susseguono tutti e 13 (ah… guarda tu il caso… 13) e Albarn al termine del concerto persino li enumera, contandoli a partire da 1; "One, two, three,…". Il leader appare in gran forma fisica nonostante la bottiglia di whisky che si porta in giro sul palco diminuisca di livello a vista d’occhio. Anche Simonon è fisicamente in gran spolvero e, ben conscio del suo ruolo di mito ambulante, sfodera la "posa Clash" ogni cinque minuti. Qualcuno scioccamente spera di vederlo sfasciare lo strumento, come su quella famosa copertina, ma ovviamente non è questa la serata. Simon Tong se ne sta più tranquillo a sfoderare i suoni psichici, più che psichedelici, della sua chitarra.
Musica che anche dal vivo non invita certo a sfasciare, ma a riflettere, musica che forse accettiamo di buon grado o cerchiamo di interpretare oltre la superficie proprio perché proposta da un supergruppo di icone che ormai hanno avuto tutto dal rock, che vogliono davvero cercare dell’ "altro" musicale e lo trovano pure. La suonasse un gruppo di sconosciuti alle prime uscite, forse verrebbe deriso.
Appaiono concluse nella loro apparente incompiutezza, queste canzoni. Anzi, il termine canzoni potrebbe suonare stonato per qualcosa di veramente particolare: sostanziale assenza di ritornelli, composizioni brevi o brevissime di due-tre minuti (salvo l’eccezione dei sei minuti del brano finale dell’album eseguito a metà concerto), un quartetto d’archi a impreziosire e coreografare quelli che sono veri e propri "brani", nel senso che sembrano quasi estratti - o concentrati - di pezzi più ampi, brani in cui in un lampo c’è un intero mondo musicale, break sparsi qua e là, continui cambi di tempo e di atmosfera anche nello stesso pezzo di due minuti.
Il supergruppo di Albarn, Simonon & Soci snocciola marce funebri pop, piccoli ricami classico-punk, gioiellini vittoriani incastonati in sonorità ora mediorientali, ora mitteleuropee. Spiazzanti e sfuggenti come il Cappellaio Matto di Alice nel Paese delle Meraviglie, ed è forse per questo che in molti sul palco indossano cilindri e cappelli in genere, a partire proprio da Albarn.
Il concerto è breve, troppo breve ed è questo l’unico difetto, dal momento che, come detto, vengono eseguite solamente le tracce dell’unico album ma finalmente (altro elemento positivo) senza l’ormai stantio rito dei bis.
Conclusione: consigliabile se volete qualcosa di completamente diverso, sconsigliabile se vi aspettate dei miti che rifanno i loro successi.