
Tuxedomoon. Trent'anni di attività. Per festeggiarli, un nuovo disco, "Vapour Trails", un ricco cofanetto, "'77o7 tm'" contenente il nuovo disco, due cd di rarità e live + un Dvd e un tour che ha toccato anche Bari il 18 novembre, in occasione della XXII edizione della rassegna Time Zones, che non si è lasciata sfuggire l'occasione per riproporli ai loro numerosi fan locali.
I Tuxedomoon erano già stati a Bari nel 1983, al Teatro Petruzzelli (concerto "storico"), poi al Camelot qualche anno dopo. Steven Brown, invece, ci aveva fatto visita tre volte, una delle quali per presentare il suo "S.B. plays Tenco".
Trent'anni densi di avvenimenti, progetti solisti e attività espressive collaterali.
I forti umori punkoidi "...no tears for the creatures of the night!" fine anni 70 sembrano perdersi nella notte dei tempi, quando band come Tuxedomoon, Chrome, Residents, MX 80 Sound, di stanza in quel di San Francisco sotto l'egida di etichette gloriose come la Ralph Records, sconvolsero il panorama avanguardistico rock internazionale, traducendo in musica paranoie e frustrazioni suburbane post-industriali attraverso un nuovo linguaggio sincretico, inquietante e spesso ermetico, che condensava sfrontatezza punk, uso massiccio dell'elettronica, seduzioni para-jazzistiche (free, nella fattispecie) e addirittura - come nel caso dei Tuxedomoon - sghembi riferimenti alla classica.
Tutto ciò mentre Brian Eno portava in studio a New York terribili terroristi sonici traviati dalla stessa perdita d'identità, siglando quel contorto manifesto no-future e no-wave che si chiamava "No New York", e a Cleveland (Ohio) i Pere Ubu avvinazzati di David Thomas aprivano "danze moderne" altrettanto claustrofobiche. Anni cruciali insomma...
Una vera rivoluzione estetica, quindi, quella dei Tuxedomoon, giunta al massimo splendore tra fine 70 e la prima metà degli 80, attraverso album ed Ep indimenticabili e indimenticati, come "Scream With A View", "No Tears", "Half Mute", "Desire", "Holy Wars".
Ma sappiamo che fatalmente anche le intuizioni più ardite col passar degli anni perdono il loro shining originario: motivo per cui i suoni e il mood espressi il 18 novembre 2007 ad alcuni, soprattutto addetti ai lavori, son parsi scontati e superati dalle tendenze più recenti della musica contemporanea.
Vediamo le cose da un'altra angolazione: i magnifici 4+1 di San Francisco, dopo 30 anni e in occasione del nuovo "Vapour Trails", son diventati dal vivo una macchina sonora perfetta (l'hanno dimostrato chiaramente a Bari) e ben oleata, nei cui complessi e stratificati labirinti sonori si viene risucchiati, anche attraverso irresistibili dejà-vu.
Nulla è stato lasciato al caso dalle incisive partiture fiatistiche della coppia Steven Brown (sax), penetrante e lirico come sempre, e Luc Van Lieshout (tromba e chromonica), poliedrico e dal fascinoso fraseggio improvvisativo, dalle sghembe strategie del violino di Blaine Reininger e dalle inconfondibili, legnose, dolorose linee di basso di Peter Principle, coadiuvato da potenti pattern ritmici preregistrati per tutto il concerto.
Grande attrattiva è venuta dal proverbiale eclettismo strumentale di Steven Brown, che passava convulso dai sax alle tastiere (stupende quelle vintage!) e di Blaine Reininger, che alternava chitarra e violino elettrici.
Ineccepibili anche i loro intrecci vocali, stentoreo e sofferto Brown, vigoroso e aggressivo Reininger.
Mentre il fedele e imprevedibile Bruce Geduldig traduceva in immagini su uno schermo le loro visioni soniche, aggirandosi per il palco come un novello Marcel Marceau, i quattro hanno alternato brani ("Baron Brown" etc.) risalenti a vecchi dischi dei 70 e 80 come, "Desire" e "Holy Wars", al materiale nuovo tratto da "Vapour Trails".
Vecchie, ma sempre splendide geometrie decadenti di stampo mitteleuropeo (Brown ha cantato in inglese, francese, italiano) hanno diviso l'ora e mezza dello show con sonorità notevolmente diverse.
Steven Brown vive ora in Messico, Blaine Reininger in Grecia e le ripercussioni sono palesi nei nuovi brani: una jungla etnico-ritmica dalle atmosfere marcatamente messicaneggianti e morriconiane (il vecchio Morricone delle colonne sonore western per i film di Sergio Leone), nelle quali la voce acre di Reininger la fa da padrone.
Un fascinoso e misterioso meltin' pot, a volte un po' caotico, bisognoso di essere riascoltato e approfondito. Del resto si sa: quello dei Tuxedomoon è un work in progress che dura da trent'anni.
Tra i bis concessi, ancora vecchi brani: l'ultimo addirittura "Volo Vivace", protagonista il violino visionario di Reininger, dal capolavoro del 1980 "Half Mute" ("Ralph Re.").