07/05/2008

Battles

Estragon, Parco Nord, Bologna


C'è chi dice che i Battles siano snob. Altri che siano troppo cerebrali. Troppo tecnici (troppo bravi?). Stanier, Williams, Braxton e Konopka hanno offerto uno spettacolo di un'intensità e di una perfezione tali da far rimanere senza fiato il numeroso pubblico accorso al Parco Nord di Bologna, detrattori compresi.
Sulla perizia tecnica dei quattro non credo ci sia bisogno di discutere ed essa non sarebbe comunque una conditio sine qua non per giudicare un live come buono o meno. Guardandoli, però, si ha dinnanzi agli occhi la dimostrazione di quanto sia bello il matrimonio tra la tecnica sopraffina e la creatività impazzita.

La performance offerta all'Estragon di Bologna li consacra ulteriormente come una delle band più originali ed esplosive sulla scena, portando il discorso intrapreso in "Mirrored" e negli Ep a un livello superiore, meno pulito ma, a suo modo, perfetto.
Quello che stupisce dell'esibizione dei Battles è la quantità di suono che riescono a produrre, suono che sembra sempre essere sull'orlo del precipizio del caos, tra arpeggi sbilenchi di chitarra (quelli che Ian Williams ha fatto diventare marchio di fabbrica) e risposte tempestive e speculari da parte dei tasti bianchi e neri delle tastiere, tra loop modellati in tempo reale (Dave Konopka, quasi sempre nelle retrovie, è magistrale) e figure ritmiche sottostanti i battiti di tempi impazziti.
Invece il caos non vince mai, tutto si ricongiunge in un disegno ricco di arzigogoli, ma organizzato, ordinato. Matematico in una maniera differente dalle equazioni che furono di Don Caballero e Storm and Stress, per dire.

Tra le varie composizioni, spiccano i pezzi forti di "Mirrored": le chitarre, i loop e i synth che si inseguono nell’intro della splendida "Tonto", trovando ognuno il suo tempo, creando ossessive sfasature, richiamati all’ordine dall’entrata fragorosa di Stanier (per dover di cronaca, uno che potrebbe fare il concerto pure da solo), i tamburi marziali di una "Atlas" che dal vivo prende il pubblico e lo porta via. C’è chi salta sul posto e chi non smette di fare su e giù con la testa, quasi ipnotizzato dal ritmo incalzante.

Tyondai Braxton gioca con la voce ed entusiasma, Williams è il jolly e suona chitarra e synth come fossero uno strumento solo, Konopka sostiene assieme a Stanier l’astratto girovagare strumentale dei primi, quasi a formare con l’ex batterista degli Helmet le fondamenta solide sopra cui i due genietti alla sei corde e alle tastiere possano saltellare a piacere.
Insomma, più il figlio del famoso jazzista free e l’ex Don Caballero esagerano e più la sezione ritmica si fa forte per dare un riferimento. E il gioco funziona.

Non è pop, non è post/math rock, non è avant e non è nemmeno elettronica.
E’ un frullato pazzo di queste quattro cose.
La sensazione, alla fine del concerto, è che lo show di questi quattro sia attualmente il migliore in circolazione.

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