Il pifferaio magico si abbandona alla sua danza ipnotica. È una profezia di nuove ere glaciali, lupi in agguato, mura che si piegano fino a risucchiare l’anima nel crepuscolo. Stanotte sembra quasi di poter toccare il disco diafano della luna piena. Moon illusion, la chiamano gli astronomi: un effetto ottico che ingigantisce le dimensioni della luna all’orizzonte nelle ultime sere prima dell’arrivo dell’estate. E anche la figura esile di Thom Yorke, sul palco dell’Arena di Milano, sembra stagliarsi con un’imponenza irreale, fatta solo della forza evocativa della propria voce.
C’è ancora un chiarore diffuso, nell’atmosfera, quando le ritmiche spezzate di “Reckoner” e il ballo convulso di “15 Step” strappano i pensieri dall’incalzare dell’orologio della metropoli. Ma è solo con il profluvio di luci scarlatte e le prepotenti distorsioni di “The National Anthem” che ci si rende davvero conto di trovarsi di fronte ai Radiohead.
Si possono avere tutte le più legittime perplessità sull’attuale parabola di Thom Yorke e soci, ma quando entrano in scena è impossibile negare la sensazione di essere al cospetto di una band che ha inevitabilmente segnato lo snodo del millennio. Certo, l’esecuzione integrale di un disco tutto sommato di maniera come l’ultimo “In Rainbows” potrebbe far storcere il naso: eppure gli oxfordiani riescono a far passare in secondo piano le strascicate rese di brani come “All I Need” e “House Of Cards” grazie alla forza con cui traducono in un vibrante presente l’eredità della loro avventura.
La scia dorata di un aereo solca il cielo mentre il sole si nasconde tra gli alberi del Parco Sempione. Le chitarre di “Airbag” fendono l’aria elettrica, i bassi di “The Gloaming” pulsano minacciosi, i fremiti di “How To Disappear Completely” fluttuano come ectoplasmi. Le luci tubolari del palco sembrano lacrime multicolori protese verso la terra, capaci di assecondare il distendersi e l’esplodere della musica.
La versione acustica di “Faust Arp” riesce nel suo incanto, dopo che nella precedente data milanese Thom Yorke si era dovuto interrompere a metà a causa di un addetto alla security intento ad ascoltare alla radio la cronaca della partita Italia/Francia… Anche “Weird Fishes/ Arpeggi” acquista nuova potenza tra le luci sospese come candelabri azzurri, ma è “Jigsaw Falling Into Place” a confermarsi l’episodio più trascinante di “In Rainbows”.
L’Arena, al contrario, si rivela una scelta decisamente infelice come spazio per concerti: le tribune troppo distanti dal palco e la necessità di mantenere basso il volume a causa delle abitazioni circostanti limitano molto il coinvolgimento del pubblico al di là delle prime file. Quando poi i più lontani cominciano a cercare di scavalcare le cancellate per conquistare il prato, si crea un clima caotico che non contribuisce certo all’intimità di cui le canzoni dei Radiohead avrebbero bisogno. Effetto karaoke nel prato, chiacchiericcio distratto sugli spalti: eppure la musica dei Radiohead riesce ad avere la meglio nonostante tutto.
Una frenetica “Dollars & Cents”, unico estratto da “Amnesiac”, strappa l’ovazione della platea, ma la prima sorpresa della serata viene dal valzer apocalittico di “Wolf At The Door”, che Yorke recita con cupa intensità e slancio. La sua voce evita l’eccesso di toni lamentosi, sfoggiando una sicurezza appassionata, con la band ad assisterlo senza perdere colpi per tutte le due ore del concerto.
Sulle note di una rarefatta “Videotape” entra in scena il pianoforte, su cui campeggia una bandiera tibetana: unico gesto plateale di una serata che lascia solo alla musica il compito di creare empatia con il pubblico. Ed è tempo della babele di “Everything In Its Right Place”, che lascia senza fiato con la sua metamorfosi nel delirio robotico di un’esaltante “Idioteque”.
Dalle b-side del secondo disco di “In Rainbows” arrivano per i bis un’ardente “Bangers And Mash” e le tastiere vaporose di “Go Slowly”, insieme a classici del calibro di “Just” e “Paranoid Android”. Sognante ed estatica, contornata dalle magnetiche frastagliature della chitarra di Jonny Greenwood, “The Tourist” suona come un congedo da cui sembra impossibile riuscire a staccarsi. “Hey man, slow down/ Idiot, slow down”. La luna non è mai sembrata così vicina.
(26/06/2008)