25/05/2008

Smog

Galleria Toledo, Napoli


di Antonio Ciarletta
Smog
L’ultimo appuntamento stagionale con la rassegna "obSESSIONS" ha visto protagonista niente poco di meno che Bill Callahan aka Smog. Ora, non che il personaggio abbia bisogno di particolari presentazioni, chi però ha vissuto la cosa musicale negli anni 90 ricorderà l’aura di leggenda che ne avviluppava le gesta. Descritto come solipsista, schivo, introverso, Smog era/è latore di un’immagine che in qualche modo ne ingigantisce il culto, già foraggiato di per sé da una musica davvero extra-ordinaria. Quindi avere la possibilità di ascoltarlo dal vivo per la prima volta è stato un piccolo evento. E atmosfera da piccolo evento si respirava effettivamente alla Galleria Toledo, se l’emozione sembrava tagliarsi con il coltello e se la risposta del pubblico si è rivelata piuttosto buona sia intermini qualitativi che quantitativi. Insomma, il teatro era quasi pieno e l’accoglienza è stata delle migliori.

Ma andiamo con ordine. La serata inizia con il bardo scozzese Alasdair Roberts, ex -Appendix Out e titolare di una manciata di album in solo di folk minimale e introverso.
Il set, solo voce e chitarra acustica, dura più o meno mezzora, in  cinque pezzi che al sottoscritto non hanno detto granché, ma che il pubblico ha gradito non poco a giudicare dagli applausi. Ok lo ammetto, non amo particolarmente la musica di Roberts, quindi… però il ragazzo ci mette passione, e la cosa alla fine paga. Maggiormente apprezzabile il suo apporto alla slide nel bis di Smog a fine concerto.

Quindi è il turno di Mr. Callahan. Allora, iniziamo con dire che il nostro si presenta sul palco con una formazione a quattro, compatta e velvettiana fino al midollo. Tanto che se non stessimo parlando di Smog, la si potrebbe scambiare per una band vera è propria, più che per la formazione d’accompagnamento di un cantautore (per quanto sui generis). Il suono è davvero potente, pochi scherzi. E Callahan, da buon direttore d’orchestra, sorveglia i suoi di continuo; si gira verso di loro, controlla che suonino secondo “spartito” nei passaggi più complessi, e torna fronte al pubblico solo quando è sicuro del risultato raggiunto. Ma i ragazzi eseguono con diligenza, e non danno motivo di rimbrotti.

La voce di Smog è profonda, cupa, molto più profonda che su disco, tanto da far pensare a un’evoluzione futura verso un crooning alla Nick Cave ultima maniera, mentre la scaletta riesce a essere equilibrata nell’alternare pezzi veloci e tirati alle consuete ballate intimiste, ancor più lente e narcotiche dal vivo. Letteralmente da applausi (che arrivano puntualmente), ad esempio, le esecuzioni di “Rock Bottom Riser” e “River Guard”. Callahan, però, non concede molto al pubblico in termini di interazione, eccetto un beffardo “Do You Like My Feet” (suona scalzo…), anche se la mimica facciale basta a dare la cifra del suo coinvolgimento nella performance. Insomma, non suona per onor di firma, e questo va’ a suo merito.

In conclusione, concerto catartico e senza la benché minima sbavatura. Ad averne così.

Foto di Pietro Previti