29/05/2009

Health

La Casa 139, Milano


di Veronica Rosi
Health
Gli italiani sono metereopatici, e grazie alla pioggia torrenziale siamo solo una sessantina di persone a vedere gli Health alla mitica Casa 139. Unica data italiana per questi quattro ragazzini di Los Angeles che tra il 2007 e il 2008 son stati sulla bocca di tutti. In effetti, quando parte il solenne e spietato tamburo di "Heaven", tutti capiamo il perché. Che cosa è questo? Noise? Hardcore? Psych-post-rock? E che dire di quella cassa di campionatori elettronici buttata a terra, con loro a spispolarci sopra come dei sacerdoti etruschi?

Gli Health se ne fregano che siamo in 60. Non hanno neanche bisogno di dirci ciao. BJ, il loro batterista (quello grosso che sembra il papà degli altri), guarda in un punto imprecisato, come se osservasse uno spartito immaginario, e pesta con una violenza inaudita, mentre gli altri si fomentano, si sfogano sulle chitarre, senza farci capire se è tutto sotto controllo o meno.

Certo che, a quel volume, non importa più: la musica è fisica, è di una potenza, di una virilità tale che ci annienta, e non riusciamo neanche a seguire il tempo con la testa. Le pause, dagli Health usate in maniera massiva quanto catartica, ci prendono il respiro anziché darlo, e peccato che il disco duri solo 40 minuti (più il nuovo singolo "Die Slow"), perché io mi sarei fatta spaccare i timpani per altre 6 ore. Allora sì che la maglietta "You will love each other" avrebbe avuto un senso.

Menzione d'onore alla spalla, i nostrani Dance For Burgess: shoegaze di ottima qualità, sostenuto da un cantato che sa di post-punk e da grande precisione tecnica. Quel batterista con tutti i bottoni della camicia allacciati, poi, suona come Stephen Morris. Da tenere d'occhio.
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