
Il venerdì sera ad aprire le danze ci pensa Moritz Von Oswald Trio. Un set di una cinquantina di minuti davvero eccelso, un flusso di tribale giocato su strutture dub-techno. Vladislav Delay alle percussioni, Von Oswald e Max Loderbauer agli effetti, sequencer e pc regalano al pubblico molto poco interessato e decisamente casinaro un live stellare. Durante l'esibizione il trio viene deriso e invitato a lasciare il palco a Plastikman, il cui set era fissato dopo del loro. Della serie: perle ai porci.
E' proprio Richie Hatwin a salire sul palco, accolto da un'ovazione. A oltre dieci anni dal gioiello "Consumed", Hatwin rivive le atmosfere dense e pulsanti del suo progetto Plastikman, riuscendo a catturare solo a tratti nelle distese molto poco lisergiche e forse troppo spinte.
Un po' annoiato mi sposto nel Foyer dell'Aula Magna per seguire il set di Neon Indian. Accompagnato da un chitarrista, una tastierista e un batterista, Palomo si scatena sulle scie hypna dell'ottimo esordio, freak e giocattoloso quanto basta. Nonostante una resa audio certamente non all'altezza, Palomo riesce a smuovere i sederi della sessantina di persone che assistono al suo live. Decisamente piacevole.
La serata prosegue poi con i dj set di Barem, astro nascente sudamericano, Richie Hatwin, qui decisamente meglio, e Troy Pierce.
Il sabato sera vede una scaletta decisamente intensa, anche se la sensazione che diversi set verranno sacrificati da sovrapposizioni d'orario preoccupa. Apre alle sette e mezza di sera il concerto di King Midas Sound, forse il live più sorprendente dell'intera rassegna. Sul terrazzo va di scena un bombardamento trip-hop/dubstep in salsa decisamente dark-soul, con bassi potentissimi e cassa sparata ai quattro venti. Un flusso di tre quarti d'ora che incanta e sorprende visto il piglio decisamente energico, laddove invece il debutto discografico sulla lunga distanza tradisce forse un'eccessiva timidezza.
Poco interessati al set di Gil Scott-Heron e Gonjasufi (era pur sempre la serata della finale di Coppa Campioni, quando mi ricapiterà di vederla?) - sui quali comunque i pareri generali sono stati tiepidi - torno fresco e felice per l'esibizione di Shackleton (e gli ultimi dieci minuti decisamente intensi di Pantha Du Prince, che dal vivo non mi ha mai convinto). Shackleton è un bianco, un nerd assoluto, coi baffetti d'ordinanza e spara dubstep impossibile da ballare, con reti e patchwork intricatissimi, un pullulare (dis)organizzato che incanta.
Nel frattempo mi sposto in terrazza per assistere a una mezz'ora buona di Jamie Lidell. Lo spilungone inglese diverte assai, proponendo un repertorio assolutamente eterogeneo e variegato: da spasmi electro a seducenti ammiccamenti pop, dal soul più nero al cantato a cappella.
Simpaticissimo e coinvolgente, riesce a farmi superare la ritrosia nell'ascoltarlo.
Dopo Lidell, ahinoi, la serata si spegne, fra set impalbabili di Phenomenal Hanclap Band, Martyn e Jeff Mills (3 ore!), mentre non riesco, causa stanchezza, a vedermi l'esibizione di Passarani, che mi dicono essere stato grandioso.
A conti fatti, forse mi aspettavo qualcosa di meglio. In generale la sensazione è che molti set siano stati sacrificati, vuoi per orario vuoi per sovrapposizioni. Vorrei segnalare, stendendo un velo pietoso, i prezzi (birre piccole a 5 euro o cocktail a 10 e nemmeno un boccone da ingoiare) e una organizzazione non impeccabile (zero segnalazioni su dove fossero Foyer e terrazza, controlli interminabili per un accredito nominale). In ogni caso, una vera esperienza da vivere.