Decimo concerto romano nel volgere di pochi anni, per quella che può ormai definirsi senza remore la band italiana più rilevante a livello internazionale. Dieci concerti che testimoniano l'affetto del pubblico della capitale per la band genovese e che nel loro percorso da fumosi seminterrati all'Auditorium e alla Basilica di Massenzio esemplificano alla perfezione la crescente affermazione dei Port-Royal, che finalmente comincia a essere riconosciuta anche in contesti più "istituzionali".
Eppure, il loro legame con il modo di fare e vivere la musica in maniera spontanea e autenticamente indipendente, li porta ad esibirsi per la quarta volta al Circolo degli Artisti, dove li accoglie il solito pubblico numeroso ed entusiasta, niente affatto stanco di vederli tornare a esibirsi sullo stesso palco a distanza di poco più di quattro mesi dalla performance più recente.
Per l'occasione, a smanettare su laptop e synth sono presenti soltanto Attilio Bruzzone e l'imprescindibile "uomo dei video" Sieva Diamantakos, mentre l'altro recente assiduo componente del vivo della band, Aleksandr Vatagin, è rimasto a Vienna per motivi legati all'aspetto economico della trasferta, perché, evidentemente, i tanti riconoscimenti non sono sufficienti a far navigare nell'oro nemmeno artisti di fama dichiarata.
A essere, come sempre, ben oltre la sufficienza è invece la passione che Attilio e Sieva mettono sul palco e nulla musica, nonostante la brevità del set, dovuta a motivi organizzativi che li hanno visti esibirsi come secondi in una serata a tappe forzate che sarebbe stata in seguito completata dal compositore inglese Jon Hopkins (in passato collaboratore, tra gli altri, di artisti quali Coldplay e Massive Attack).
Eppure né il contingentato tempo a disposizione né le modalità della performance, al solito ampiamente incentrata sul digitale, hanno in alcun modo raffreddato la resa dei brani e le carica dei due ragazzi sul palco. Lo si capisce subito dall'avvio al fulmicotone, con una "The Photoshopped Prince" enfatizzata da ritmiche serrate e ossessive profondità in odor di techno: tanto sarebbe bastato in uno dei loro affollatissimi concerti nell'Est europeo a trasformare la sala in un'infuocata dance-hall, molto più vicina a un rave che allo statico concerto di qualche compunto laptop-artist. Il pubblico italiano permane ancora piuttosto afraid to dance, nonostante la sua vibrante partecipazione traspaia da saltuari ondeggiamenti e oscillazioni di braccia e si percepisca nell'aria come danza neuronale adeguatamente stimolata da ritmi e immagini.
Il set non presenta veri e propri brani inediti (a parziale eccezione di "Frederic Sorge", tratta dal recente e limitato Ep pubblicato insieme a Millimetrik, "Afterglow"), ma non per questo i Port-Royal si accontentano di replicare modalità comunicative già proposte, come dimostrano alcuni nuovi abbinamenti video e soprattutto l'incandescente elongazione a oltre un quarto d'ora di durata dell'"inno" "Balding Generation (Losing Hair As We Lose Hope)".
Nella selezione dei brani e, come in quest'ultimo caso, nella rideclinazione di alcuni di essi in una chiave dance ancora più esplicita e sfrontata, risiede appunto la concentrata intensità della decima serata romana dei Port-Royal. Chissà che la prossima volta il pubblico capitolino non esaudisca il loro desiderio di coinvolgimento danzante, ma certo è che la loro (deca-)dance per menti e anime è di nuovo riuscita a stabilire una perfetta sintonia con i presenti, più o meno timide che siano state le reazioni esteriori.
(01/03/2010)
Foto: Dina Nurpeissova