Ovvero per la serie “eventi speciali”. Volendo ragionare a mente lucida, limitandosi alla sfera squisitamente musicale, sarebbe difficile negare agli Swans ammirati questa sera alla Sala Espace di Torino la palma per il miglior concerto del 2010. Certo per farlo occorre vestire i panni dei critici asettici, imperturbabili alle ventate emotive che spesso fanno la differenza in ambito live, per guardare unicamente alla resa pratica di un’esibizione, all’aderenza di un artista agli standard e cliché del suo genere musicale di riferimento, tagliando fuori tutto ciò che non è misurabile secondo questi freddi parametri. Occorre anche una buona dose di tolleranza nei confronti di una musica decisamente non accostabile a concetti quali easy-listening, catchy o “accessibile”, occorre una certa predisposizione se così si può dire. Definita questa semplice premessa, certificata la disponibilità a rinunciare a quel quid emozionale in più, il ritorno in pista dei rinati Swans merita davvero ogni sorta di encomio. Incoraggiato dal più che lusinghiero nuovo esordio discografico di “My Father Will Guide Me Up a Rope to the Sky”, ci siamo presentati all’Espace con un livello di aspettative decisamente rimarchevole, soglia poi confermata in pieno dalla qualità di un concerto che è forse riduttivo definire sconvolgente.
Da Michael Gira lo si doveva e poteva immaginare. Dal vivo, un paio di anni fa, era parso molto meno tormentato, molto più ortodosso rispetto ai suoi furibondi anni d’oro, pur rivelando ancora su disco scintille del suo nerissimo ed irriducibile genio di sperimentatore. Ma quelli erano gli Angels of Light, tutt’altra cosa rispetto agli Swans, e non deve trarre in errore la realtà di una reunion dopo quindici lunghi anni: contrariamente a quanto sosteneva il titolo di un doppio live pubblicato nel ’98 a mo’ di canto dei cigni (chiediamo venia per questa metafora fin troppo ovvia), gli Swans non sono mai morti davvero, semplicemente perché la loro anima e padre padrone non ha mai smesso di fare musica. C’é stata una pausa, significativa, nelle attività (ostilità) della band ma la battaglia è ripresa a tutti gli effetti con il convincente ritorno dell’album sopra citato. Questo per sgombrare subito il campo dalle facili conclusioni legate all’idea, ormai sempre automaticamente negativa, di “reunion”. Non sono tornati insieme per soldi, anche perché è fuori luogo proprio l’idea di “tornare insieme”. Michael deve aver sentito di nuovo il fuoco dentro di sé e ha radunato un po’ di bella gente: ha girato l’invito a buona parte delle (eccelse) maestranze del progetto Angels of Light (il chitarrista Christoph Hahn, il batterista Phil Puleo, il percussionista e vibrafonista Thor Harris, titolare negli Shearwater), ha tirato fuori dalla polvere per l’occasione il chitarrista storico Norman Westberg, assoldando un bassista nuovo di zecca, il giovane Chris Pravdica. Un gruppo di sei elementi tostissimi quindi, cattivi quanto basta nel suonare e con facce grottesche d’ordinanza. Che la potenza di fuoco dei nuovi Swans fosse elevatissima, con un simile arsenale umano a disposizione, non era quindi difficile da immaginare, ma il livello dei feedback sparatici addosso da questa squadriglia di americani pazzoidi è andato ben al di là delle attese, riuscendo nella non semplice impresa di devastare l’udito dei tanti presenti e di colmarli nel contempo di soddisfazione.
La prima impressione della serata legata al guru del post-punk, va detto, non era stato proprio delle migliori. Giunti sul posto con la nostra proverbiale buona dose di anticipo, abbiamo fatto in tempo ad assistere ad una scena curiosa quanto antipatica: seccato dall’apertura del locale agli spettatori, un Gira con grosso cappello da texano in testa negava con estrema scortesia l’autografo a un paio di giovani fan che gli avevano presentato un Cd apposta per quello, chiudendo il suo notebook e abbandonando indispettito la piccola area bar dell’Espace davanti a pochi testimoni esterrefatti. Non proprio edificante come aneddoto ma, si sa, ogni star che si rispetti (quelle alternative evidentemente non fanno eccezione) non sarebbe tale se non fosse lunatica ad un buon livello. Ancora prima dell’inizio Gira continuava a dare segni di insofferenza a differenza di tutti i suoi tranquillissimi colleghi (fenomenale Hahn, con la sua aria da professore di storia dell’arte e occhialini da lettura perennemente sul naso), arrivando a fare una piazzata monumentale a una giovane donna del suo staff – con ogni probabilità la sua compagna – durante l’esibizione/antipasto del fenomenale ma scazzatissimo James Blackshaw. Proprio il trentenne londinese in forza alla label di Michael Gira è riuscito a stemperare l’implicita tensione causata dall’intrattabile leader grazie alle meraviglie del suo breve set introduttivo, una mezzoretta a base di primitivismo folk strumentale e virtuosismi fingerpicking semplicemente pazzeschi: mai vista suonare con una simile velocità e con tanta leggiadria una dodici corde, e mai viste unghie lunghe come quelle della sua mano destra. Monstre!
Intro
No Words/No Thoughts
Your Property
Sex, God, Sex
Jim
Untitled Song
I Crawled
Eden Prison
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Little Mouth