02/07/2011

Hop Farm Festival

Hop Farm, Paddock Wood, Kent (UK)


di Stefano Bartolotta
Hop Farm Festival

Giunto quest'anno alla sua quarta edizione, l'Hop Farm Festival ha un intento di base molto semplice: mescolare insieme il più possibile i grandi artisti del passato che non hanno ancora perso la voglia di proporsi dal vivo e i nomi più attuali, che siano già affermati o ancora semisconosciuti. Il tutto, al momento, avviene in uno spazio dalle dimensioni ridotte e con una quantità di pubblico tale da renderlo molto vivibile, ma non è detto che sarà sempre così. L'organizzatore Vince Power, infatti, non nasconde l'ambizione di far crescere il suo festival fino a conferirgli le dimensioni delle maggiori kermesse del Regno Unito.
In attesa di capire se questo piano verrà rispettato, è molto comodo godere delle performance di artisti di un certo spessore in totale tranquillità, senza dover sgomitare per prendere da mangiare e da bere, recarsi in toilette e conquistare una posizione quantomeno decente sotto ai vari palchi. Sarebbe un po' un peccato perdere questo valore aggiunto, però è anche giusto che ognuno decida di far evolvere una manifestazione come crede.

Il sottoscritto ha partecipato alla giornata di sabato 2 luglio, il cui mix di vecchie glorie e giovani rampanti era particolarmente appetibile. Il viaggio in pullman da Londra richiede più tempo per uscire dalla città caotica che non per coprire il tratto di strada dalla fine della capitale alla fattoria del Kent. Comunque non c'è fretta e c'è quindi tutto il tempo di questo mondo per potersi orientare all'interno dell'area, rilassarsi con una buona birra e/o un buon sidro e iniziare ad assistere ai concerti in assoluta tranquillità.

Si comincia sul palco principale con i Viva Brother, che si chiamavano semplicemente Brother e sono stati recentemente costretti a modificare il nome perché una band omonima ha fatto loro causa. Il loro primo disco è atteso per settembre ma la band è già molto chiacchierata in UK, anche per via del tentativo della stampa di creare una rivalità con i Vaccines in stile Oasis vs Blur. La proposta del quintetto è facilmente riassumibile con un solo termine: brit-pop. Durante la mezz'ora di set, infatti, vengono alla mente numerosi gruppi ritenuti parte integrante di quel movimento e si passa da nomi conosciuti universalmente, come gli Suede e gli immancabili Oasis e Blur, ad altri più di nicchia come Shed Seven, Mansun e Strangelove. Il punto debole del gruppo, quindi, è la scarsissima originalità, ma la varietà di riferimenti impedisce quantomeno di poter capire facilmente cosa aspettarsi da loro. Soprattutto il senso melodico del quintetto appare già ben sviluppato, anche se in realtà a strofe di buon livello non seguono ritornelli tali da essere ricordati facilmente e quindi cantati da un gran numero di persone, elemento fondamentale in una proposta come la loro. Per quanto riguarda la performance live, c'è già una buona compattezza d'insieme e il giusto mix di precisione ed energia. Insomma, qualche qualità c'è, ma non mancano i margini di miglioramento. La prima prova della verità avverrà con l'uscita dell'album: sarà fondamentale capire se le canzoni sapranno toccare le corde giuste dei nostalgici del brit-pop, che, nel 2011, sono ancora tanti, non solo in Gran Bretagna.

Da un gruppo di brit-popper wannabe passiamo a una band che la storia del brit-pop l'ha fatta sul serio, i Bluetones, che sono alle loro ultime date prima del programmato scioglimento a fine settembre. A Mark Morriss e soci non è mai mancata l'onestà, a partire dal tentativo di proporsi nel modo più semplice e diretto possibile fin quando i dati di vendita dei dischi sono stati molto meno entusiasmanti rispetto all'inizio. Onestà è anche aver deciso di sciogliersi ora che l'ultimo disco del 2010 è passato praticamente sotto silenzio e il loro look non è più da giovincelli. "Questa è del disco dell'anno scorso, quindi probabilmente non l'avete ascoltata" dice candidamente Morriss presentando la title track "A New Athens" e, qualche brano più in là, aggiunge: "Come probabilmente sapete, queste sono le nostre ultime date, del resto potete vedere anche da soli che ormai siamo vecchi e la cosa sta diventando ridicola". Di ridicolo, in realtà, non c'è nulla in come la band suona i propri classici, anzi, le canzoni vengono interpretate con grande vitalità e perizia e si mostrano assolutamente tirate a lucido senza che si noti alcun segno del tempo. "Bluetonic", "Keep Your Home Fires Burning", "Marblehead Johnson", "Never Going Nowhere", "Slight Return", "If...": basterebbero solo questi titoli per far tremare le vene ai polsi di tutti i summenzionati nostalgici, poi va anche ribadito che il tutto è stato suonato e cantato in modo semplicemente perfetto ed il quadro di una mezz'ora entusiasmante è completo.

Nel programma della giornata è ora il turno dei Magazine. Si sa che della formazione originaria è rimasto il solo Howard Devoto ed infatti il leader scherza con il pubblico più volte, ricordando che sul palco ci sono i Magazine versione 6.0. Devoto è un frontman simpatico e colloquiale ed onestamente era difficile aspettarselo visto il sound cupo, acido e tagliente che ha sempre caratterizzato la storia della band nelle sue varie forme. La cosa più importante, comunque, è che le caratteristiche appena citate permangono anche in questa versione dal vivo, e brani come, tra gli altri, "Motorcade", "Shot by both sides", "A Song from Under the Floorboards" e "Definitive Gaze" hanno l'energia e l'emotività necessarie, anche grazie all'ottima forma vocale del leader, che canta in modo davvero splendido. Certo, non è mai bello quando qualcuno utilizza il nome di una band per attirare attenzione su un progetto che in realtà c'entra poco, però ascoltare queste canzoni dal vivo permette un viaggio bellissimo e intenso all'interno di uno stile musicale che ha avuto e sta ancora avendo una grande influenza.

Tocca ora al set acustico di Patti Smith. La cosiddetta sacerdotessa del rock si presenta imbracciando una chitarra acustica e facendosi accompagnare dal fido Lenny Kaye con un'altra acustica, da un musicista che si alterna tra pianoforte ed armonica e nientemeno che da Patrick Wolf al violino e all'arpa. Il suono è quindi caratterizzato da un basso profilo ma non per questo risulta povero o spoglio e la sua vitalità sottotraccia è il veicolo migliore per far emergere l'intensità dell'interpretazione della leader. La Smith e i suoi sanno portare l'ascoltatore in un'altra dimensione, quella in cui il messaggio portato dall'artista era importante almeno quanto la musica che proponeva e per chi quell'epoca non l'ha vissuta, osservare le coppie dai sessant'anni in su che si abbracciano teneramente sulle note di "Ghost Dance" o "Pissing In A River" è più efficace di una qualsiasi trattazione teorica. Certo, quando Patti veste i panni dell'oratrice e inneggia all'unità tra le persone appare un po' anacronistica, nel 2011, però probabilmente dare certi valori per scontati è il modo più veloce per perderli, quindi ben venga qualcuno che ogni tanto ce li ricorda. Si chiude con due pezzi da novanta come "Because the night" e "Gloria", con la gente che canta e la voglia di pace e amore che pervade tutti.

A questo punto ci avviamo verso il tardo pomeriggio e si impone una scelta: continuare a seguire le vecchie glorie o spostarsi verso i nomi attuali? Un po' per rispettare lo spirito del festival, che prevede, appunto, una mescolanza, un po' perché le vecchie glorie in programma ora (Lou Reed, Gang Of Four, Iggy & The Stooges) le ho tutte già viste senza che in quest'occasione possano fare qualcosa di nuovo, mi reco sul terzo palco e mi dò all'attualità.
Arrivo e i Cloud Control stanno già suonando. Questa band australiana fa parte del novero di quei gruppi giovani che su disco non sono ancora riusciti a catturare il loro talento, espresso molto meglio durante i concerti. Il loro debutto "Bliss Release", infatti, alterna buoni momenti a passaggi assolutamente interlocutori, ma anche i brani migliori in studio impallidiscono a confronto delle interpretazioni on stage. Molto semplicisticamente è possibile definire la band come una versione più pop degli Arcade Fire, per via del sottile equilibrio tra strutturazione del suono e scorrevolezza dei brani in un mood chiaramente epico. Rispetto all'affermatissimo collettivo canadese, c'è una maggior leggerezza d'insieme nei Cloud Control, per quanto riguarda sia gli arrangiamenti che la linearità dello sviluppo dei brani. Se su disco la pienezza del suono e l'intensità dell'aspetto emotivo spesso rimangono solo nelle intenzioni, dal vivo si tramutano in solida realtà ed è facile per gli spettatori lasciarsi avvolgere e trascinare da esecuzioni brillanti sotto tutti gli aspetti, anche quello delle armonie vocali. Speriamo che l'esperienza e magari un produttore artistico all'altezza consentano a questi ragazzi di spiccare il volo anche nella realizzazione di un album: ce lo meriteremmo tutti, loro musicisti e noi ascoltatori; nel frattempo il consiglio è quello di non perdersi i loro concerti quando se ne presenta l'occasione.

Per i Leisure Society la situazione non è delle più agevoli: sia Lou Reed che i Gang Of Four, infatti, sono nel pieno dei loro set e di conseguenza il pubblico che si raccoglie sotto al loro palco non è dei più numerosi. Non so cos'avrei ricevuto se avessi scelto diversamente (mi si dice di un Lou Reed sottotono ed invece di un live clamoroso da parte dei Gang Of Four), ma stare qui si rivela una scelta estremamente appagante. Già si sapeva che i live del collettivo capitanato da Nick Henning e Christian Hardy sono più energici rispetto a come i brani si presentano su disco, ed ora che il recente "Into The Murky Water" ha aggiunto più vivacità e robustezza al loro suono, le interpretazioni dal vivo diventano semplicemente irresistibili e travolgenti. C'è poco da raccontare: sia che vengano suonate le canzoni nuove che quelle provenienti dal debutto "The Sleeper", la solarità e la verve del suono sono davvero totalizzanti e la gente non smette di sorridere, muoversi e ballare a gruppi che si formano anche tra chi non si conosce. Henning ed Hardy si dimostrano anche abili intrattenitori e i presenti vanno ancor più in visibilio. Non mancano, comunque, i momenti più introspettivi, vissuti ovviamente con il giusto disincanto e senza che scemi il potere delle vibrazioni positive. Un vero trionfo, in definitiva, ed è davvero difficile che le cose andrebbero diversamente anche in presenza di una platea molto più numerosa. Speriamo che alla band vengano concesse le giuste opportunità, perché senz'altro ha tute le caratteristiche per coglierle al volo.

L'ultimo gruppo del mio trittico di nomi attuali è il più conosciuto e si tratta dei Guillemots, che con il recente "Walk The River" sono arrivati al terzo album. La creatura di Fyfe Dangerfield riesce ad eseguire un discreto set che però lascia qualche perplessità riguardo a come si è scelto di interpretare le canzoni. Uno dei punti di forza dei Guillemots è la varietà negli arrangiamenti, ma in queste versioni dal vivo non ve n'è traccia: il suono risulta molto più semplificato e potenziato rispetto a quanto si può ascoltare su disco e soprattutto non cambia di una virgola tra un brano e l'altro. Le due chitarre, la tastiera di Fyfe e la sezione ritmica eseguono le proprie parti sempre con il medesimo stile e la medesima potenza. Ovviamente le canzoni vengono bene comunque, e ci mancherebbe vista la bellezza sia delle melodie che del timbro vocale del leader, però quest'eccesiva uniformità non fa bene alla qualità del set nel suo complesso. Se i Guillemots iniziano ad appiattirsi non è certo una buona notizia, quindi, per il futuro, è auspicabile che la band torni a voler puntare sul proprio dinamismo sonoro anche dal vivo.

La serata non può che chiudersi con Morrissey, vista anche la concorrenza, non certo temibile, di Manu Chao e di Carl Barat. Il Moz tira fuori uno show da mille e una notte, nonostante si conceda poco al pubblico dal punto di vista strettamente scenico. Le sue caratteristiche movenze sul palco e le camicie lanciate alla gente sono solo un ricordo e il Nostro si limita a caracollare con fare rilassato. L'aspetto positivo di questo risparmio di energie fisiche è rappresentato da una prestazione vocale spettacolare e per il pubblico sentirlo cantare con un mix perfetto di decisione e sensibilità interpretativa è la gioia più grande. Mettiamoci poi che la band, ormai sempre più consolidata, suona con lo stesso piglio, ed è facile capire perché questo concerto risulta indubbiamente il migliore di giornata. Non va poi dimenticata una setlist vicina alla perfezione, con la presenza di ben sei canzoni degli Smiths e la capacità di alternare canzoni universalmente conosciute con altre a cui sono più legati solo i fan accaniti, questo sia per quanto riguarda la carriera solista che il repertorio della ex band di appartenenza. Inutile elencare brani o cercare di stabilire i momenti più emozionanti: basta leggere la scaletta riportata a sinistra del presente articolo per capire da soli cosa possa aver rappresentato questo concerto. Moz è anche di buonumore, dichiara amore a questo festival annunciandolo come il migliore d'Inghilterra, definisce se stesso e la propria band come umili schiavi del pubblico e l'unico momento rabbioso è l'esecuzione di "Meat Is Murder", con un testo cambiato che rende ancora più violento l'attacco contro chi mangia carne.

Una conclusione coi fiocchi per una grande giornata di musica e di atmosfera rurale per un festival che, così com'è, merita solo applausi. Chissà che reazione ci sarà se e quando cambierà.


Foto di Elisa Croci

Setlist
MORRISSEY
1. I Want The One I Can't Have
2. You're The One For Me, Fatty
3. You Have Killed Me
4. Shoplifters Of The World Unite
5. Ouija Board, Ouija Board
6. The Kid's A Looker
7. There Is A Light That Never Goes Out
8. Everyday Is Like Sunday
9. Action Is My Middle Name
10. Meat Is Murder
11. Satellite of Love (Lou Reed cover)
12. I'm Throwing My Arms Around Paris
13. Speedway
14. Alma Matters
15. Irish Blood, English Heart
16. This Charming Man
17. First Of The Gang To Die
18. Panic


PATTI SMITH
1. Ghost Dance
2. Pissing In A River
3. My Blakean Year
4. Beneath the Southern Cross
5. Because the Night
6. Gloria

MAGAZINE
1. Motorcade
2. The Light Pours Out Of Me
3. Shot By Both Sides
4. A Song From Under The Floorboards
5. Permafrost
6. You Love Me Because You're Frightened
7. Hello Mr Curtis
8. Definitive Gaze

BLUETONES
1. Bluetonic
2. Keep The Home Fires Burning
3. A New Athens
4. Marblehead Johnson
5. Between Clark and Hilldale (Love cover)
6. Never Going Nowhere
7. Slight Return
8. If...