8-9/4/2011

Massimo Volume

Covo Club, Bologna


Cos'è stato questo doppio evento, se non la sincera e doverosa celebrazione di un mito? Per Bologna, i Massimo Volume più che un orgoglio sono un'identità, il silenzioso grido della periferia di notte, l'apparente quiete prima e dopo l'uragano. Per ogni bolognese, per nascita o spirito, esserci è stato quasi un dovere morale.
L'apertura della serata di venerdì spetta ai colleghi Bachi da Pietra: un connubio tutt'altro che nuovo ma che stavolta trova il suo complice nella pubblicazione di uno split, decretato dal vocalist Giovanni Succi il primo in Italia a vedere i due gruppi "coverizzarsi" a vicenda. Nella stanza ancora in fase di riempimento, l'inusuale duo sfodera senza esitazioni la sua vena più elettrica, suggellata dal recente "Quarzo". Un'idea di musica tutta loro li ha accompagnati nell'affermazione a livello nazionale, un'efficacia basata su pochi ma essenziali elementi; lo sferragliante suono della chitarra si trascina pesantemente dietro il rimbombo del tom di Bruno Dorella, che coi tonfi sordi di una batteria ai minimi termini simula il lugubre scorrere del tempo. Danno il meglio con "Notte delle blatte", sorta di nuovo manifesto del loro blues malato, la spietata "Dragamine" e "Orologeria", quasi una "Dazed and Confused" più riflessiva che ruggente. Trova spazio, com'è giusto, la bella cover di "Litio" dei Massimo Volume, i quali ricambieranno con una interessante revisione di "Morse".

Ed ecco, veniamo a loro. Si respira ancora gioia per il loro ritorno ma soprattutto per la loro permanenza, con qualcosa di simile a un tour perenne tra Bologna e il resto d'Italia. Dalla prima, inattesa ricomparsa si sono susseguite numerose date, sino alla pubblicazione di "Cattive Abitudini", un corpus di brani che col tempo si rivela di una maturità sorprendente: assemblato pezzo dopo pezzo nel corso di lunghi anni, dei quali porta con sé il peso e la saggezza; la dimensione live pone rimedio a quella che forse è l'unica pecca dell'album, rinvigorendone il suono con lo spessore che solo la performance in pubblico può conferirgli.
"Mimì" Clementi, poéte maudit di un Paese visibilmente sgualcito: i suoi testi parlano ancora una volta di smarrimento, di legami spezzati e di solitudini metabolizzate ("Io non ti cerco/ Io non ti aspetto/ Ma non ti dimentico"). Al rigore suo e della chitarra di Sommacal si sono aggiunte in pianta stabile le armonie di Stefano Pilia, neo-prodigio dell'avanguardia solista, che con tecniche moderne porta sul palco sfumature inedite, un lirismo post-rock parallelo e complementare alla classica linea espressiva del gruppo - una seconda anima, in definitiva; è bene insistere su questo punto, perché in esso risiede gran parte della proposta del loro trionfale ritorno, mediata da un nuovo repertorio musicalmente e "semanticamente" ricchissimo.

Così, la prima serata viene dedicata, bis a parte, all'ultima fatica: dall'ideale e doveroso incipit "Robert Lowell" - che ogni volta di più scuote l'animo dalle fondamenta - alla crepuscolare nostalgia di "Avevi fretta di andartene", dalla nervosa elettricità di "Litio" all'autentico testamento spirituale "Mi piacerebbe ogni tanto averti qui", la commozione più sincera che proverete di questi tempi. Può sembrare banale (o forse no), ma ciò che rende insostituibile un qualsiasi concerto dei Massimo Volume è la loro intrinseca capacità di mettersi a nudo senza riserve, ogni volta come la precedente, instancabili e sinceri sino all'ultimo istante. Totalmente a loro agio poiché "tra amici", come dichiara il leggendario frontman.

Proprio la particolare devozione verso il pubblico bolognese, chiaramente ricambiata, ha creato l'occasione per la seconda data del weekend al Covo Club: una scaletta messa a punto dagli stessi fan, che nei giorni precedenti hanno potuto votare su Internet i loro brani del cuore dagli anni 90 sino a oggi. Con questa umile e apprezzatissima "operazione nostalgia" i quattro dispongono il repertorio classico in modo ragionato e di sicuro impatto, con l'aggiunta di alcune repliche dalla serata precedente - brani che evidentemente hanno già preso posto nella memoria del pubblico - in un turbinio di parole che, come la sommessa espressività di Clementi, non accennano a invecchiare. Titoli ça va sans dire: "Il primo dio", "Atto definitivo", "Meglio di uno specchio", "Pizza Express", "Senza un posto dove dormire"... e ancora l'ossessiva ridondanza di "Alessandro", le abrasioni di "Fuoco fatuo", "Stanze" furiosa e primordiale più che mai, l'intrusione devastante di "Ororo". Ricordi che veramente appartengono a chi ha compreso la forza di questa musica e del suo messaggio; emozioni che non soffrono il passare degli anni, pur sapendo trasmettere il "lamento del tempo"; brividi, in superficie come nel profondissimo, quello che così pochi sanno raggiungere e raccontare.

Venerdì sera Vittoria Burattini ci ha rivelato che Emidio era febbricitante, nonostante avesse tenuto il palco con la solita "quieta grandezza". La sera seguente, mentre tornavano alla ribalta, gli ho chiesto se si sentiva meglio, e con un sorriso mi ha risposto di sì. Avrei voluto dirgli "anch'io".

Si ringrazia Francesco Fanale per i contributi fotografici

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