11/05/2011

Mercury Rev

Estragon, Bologna


di Alessandro Biancalana
Mercury Rev
Tredici anni e non sentirli. Tale è il tempo che ci separa dalla data di pubblicazione di “Deserter's Songs”, capolavoro dei Mercury Rev e loro disco più conosciuto. Annunciata un'operazione di rivisitazione con un doppio cd rimasterizzato inclusivo di demo, outtake e vari scarti di produzione, viene inoltre pianificato un tour celebrativo in tutta Europa con particolare attenzione per Inghilterra e Irlanda. Dopo un doppio disco di grande fascino come “Snowflake Midnight”-“Strange Attractor”, pubblicato nel 2008, il gruppo torna a far parlare di sè con un'operazione ad ampio raggio, alla quale i fan hanno reagito con grande clamore fin dai primi attimi in cui la notizia è trapelata sul web.
Epici e deliziosi cantastorie di una psichedelia tutt'altro che banale, i Mercury Rev sono stati e sono una band prorompente nel proporre le loro idee rivoluzionarie. Autori delicati e portatori di un'ispirazione mai urlata, la loro fama si è formata a suon di album ineccepibili sotto ogni punto di vista.

La sera dell'11 maggio è un tiepido contesto tardo-primaverile per un evento che definire unico è un eufemismo. Dopo l'introduzione dei post-rocker italiani Julie's Haircut (interessanti le loro cavalcate soniche) arrivano sul palco i cinque di Buffalo e il tripudio del pubblico - non troppo numeroso - è assicurato. La struttuta della performance sarà decisamente lineare: dopo l'esecuzione pedissequa di “Deserter's Songs” sarà il momento di un ritorno sul palco con qualche chicca proveniente dalla loro nutrita discografia.
La prima sensazione non è del tutto positiva: il contesto da grande platea costringe la formazione a un approccio sonoro decisamente rock, a discapito delle dolci effusioni elegiache presenti su disco. Il marasma chitarristico, unito a un batterista troppo esagitato per un suono così particolare, conduce a un quasi completo oscuramento della splendida voce di Jonathan Donahue. Purtroppo questo errato bilanciamento dei toni condiziona un po' tutte le canzoni, risultando attenuato solo in parte nei pezzi più movimentati, nei quali giustamente la verve ritmica deve essere maggiore.

Tuttavia, la forma smagliante del cantante (un autentico performer istrionico), unita alle prodigiose melodie provenienti dalle tastiere, riesce a creare un'atmosfera ugualmente evocativa. Oltre a qualche coda strumentale di forte impatto, l'interpretazione dei brani risulta solida e poco personalizzata; nonostante ciò, non si sente granché bisogno di novità nella perfezione formale ed emotiva di brani come “Holes”, “Tonite It Shows” o “Opus 40”. Gli squarci vocali angelici di Donahue accostati alle linee di tastiera sono il più grande regalo che la musica degli anni 90 ci ha donato e ascoltare dal vivo questi suoni è un autentico sogno ad occhi aperti.
La sorpresa che fa quasi sorridere è il rigido rispetto della scaletta dell'album, che contempla infatti l'esecuzione persino dei tre piccoli strumentali posti nei punti strategici dell'opera.

Dopo il ritorno dei musicisti sul palco, viene raggiunto l'apice del concerto in termini di splendore con le esplosioni pop dell'epica “The Dark Is Rising” e il caos ritmico di “Senses On Fire”, in un fragore di suoni e sensazioni, degna conclusione di un'esibizione a tratti davvero toccante. Con le dovute riserve per gli errori già segnalati, lo show si attesta su livelli di eccellenza in diversi frangenti, regalando attimi di pura emozione nostalgica.