
Sarà anche per questo che il sold out all'Estragon di Bologna (prima delle due date italiane del suo tour) non stupisce più di tanto. All'interno del locale la fauna è variopinta, e può essere suddivisa in varie categorie e sottocategorie: nostalgici, vecchi e giovani, dell'era grunge con t-shirt degli Alice in Chains e Pearl Jam (non ne ho però individuata nessuna degli Screaming Trees), "indi" fighetti con occhiale griffato CK e reflex pronta all'uso, e infine trentenni (o ultra-trentenni) appassionati di musica e dallo sguardo un po' intristito, che si rifugiano nelle ultime file dell'Estragon (chi scrive pensa di potersi annoverare nell'ultima categoria). Il Mark Lanegan del 2012 fa appello a tutti questi tipi di affezionati, d'altronde nel corso della sua carriera ha dato conferma della sua ecletticità.
Quando Mark arriva sul palco e parte il ritmo martellante di "The Gravedigger's Song", il pubblico è già in delirio. Con quella Voce, Lanegan può fare ciò che vuole. Un baritono seducente e barcollante, un ruggito maestoso capace di momenti di straordinaria tenerezza. Se si parla di musica Rock è impossibile non pensare a una voce come questa. Tutto ruota attorno a questo però, non c'è molto "altro". Il cartellone sentenzia Mark Lanegan Band (di fatto la stragrande maggioranza dei pezzi eseguiti durante la serata provengono dai due album registrati con questo nome), ma sul palco pare di assistere a un one man show piuttosto che al lavoro di squadra di un vero gruppo. Certo, i musicisti che accompagnano Lanegan suonano come professionisti consumati, a partire dal chitarrista con look rockabilly Steven Janssens, che si impegna al massimo nel restituire i complicati assoli di brani come "Riot in My House" e gli arpeggi di "Harborview Hospital", ma un conto è avere al proprio fianco (nello studio) fuoriclasse come Josh Homme, Nick Oliveri, Jack Irons, PJ Harvey e Greg Dulli. Un altro suonare con dei sessionmen che non vanno al di là del compito ben fatto, quasi intimoriti dalla presenza del "monolite" Lanegan.
Proprio lui, infatti, campeggia al centro dello stage, piantato lì per quasi due ore, immobile nella stessa posizione. Una mano sul microfono e l'altra sull'asta che lo sorregge. Pochi altri frontman possiedono la medesima staticità sul palco, ma in confronto a Lanegan pure Liam Gallagher sembra un ballerino di tip tap. Poco importa, comunque, perché la sua Voce incanta tutti, sia quando si avventura in deliri morriconiani come "St. Louis Elegy" (uno dei vertici del suo ultimo lavoro), così come in classici, torridi, blues come "Bleeding Muddy Water", il classico "Methamphetamine Blues", o schegge folk del passato come "One Way Street" e "Pendulum" (dal capolavoro "Whiskey For The Holy Ghost").
C'è anche spazio per una cover degli Screaming Tress, "Crawlspace", dall'album "postumo" uscito lo scorso anno. Meno affascinanti, su disco, come in versione live, certi esperimenti sonori contaminati con synth ed elettronica: "Ode To Sad Disco" e "Gray Goes Black" scontano un'esecuzione un po' troppo "impastata" e insicura, con i bassi che sovrastano qualsiasi altra cosa, anche la voce di Lanegan, e fanno tremare le interiora del pubblico. Forse questi brani necessitano di essere rodati maggiormente nel corso di futuri concerti (molti potranno averne conferma il prossimo settembre, quando la Lanegan Band tornerà in Italia per il Perfect Day Festival di Villafranca).
Insomma, i fan del Nostro non possono ritenersi delusi, ma resta una certa sensazione "sfuggente", di incompletezza. Come se le canzoni di Lanegan, il dolore profuso nei suoi oscuri testi, le dipendenze e gli amori finiti male, non fossero indirizzati a un pubblico così vasto e generalista, e che in questo modo la "sincerità" finisca per disperdersi e smorzarsi in uno show competente, ma freddo. D'altronde ormai Mark è una rockstar e non può farci proprio nulla in merito. Anzi sì. Forse l'ultimo sberleffo consentito a questo enigmatico personaggio è proprio giocare con la sua rinnovata popolarità, prendendo per i fondelli il pubblico adorante. Come a dire "bene, volete un pezzetto di me? E io vi accontento". Alla fine dell'esibizione, Lanegan va a sedersi al banchetto del merchandise, e con il solito sguardo rassegnato, protetto da due improbabili bodyguard (difficile essere più imponenti di lui) si mette ad autografare biglietti e cd al pubblico esagitato e in fibrillazione. Che lietamente potrà portarsi a casa un pezzettino del suo (sofferente) Idolo del momento.