Sabato 19 gennaio, Franco Battiato ha aperto a Bergamo il tour promozionale del suo ventottesimo album in studio, "Apriti Sesamo". Dopo le date italiane, comprese fra gennaio e marzo, suonerà in Spagna, Francia, Gran Bretagna, Belgio, Germania e Svizzera. Questo esordio ha avuto luogo nel teatro Creberg, un omino Michelin sdraiato, grande quasi il doppio di un cinema parrocchiale. Tutti occupati i suoi millecinquecento posti.
In consueto, ma esiguo ritardo, arriva lo spegnimento delle luci, seguito dall'annuncio dello showcase di Davide Ferrario, chitarrista della band di Battiato: tre brani, un poco pretenziosi, cantati alternandosi a chitarra elettrica e tastiera (sopra una sostanziosa base registrata).
Dopo qualche altro minuto di pausa, prende il via il concerto di Battiato. Band accompagnata dal Nuovo Quartetto Italiano; schermo alle spalle della scenografia, pedane luminose, Battiato seduto su una voluminosa panca, coperta da un enorme tappeto.
Prima parte dedicata a nove brani del nuovo album, fra i quali: "Testamento", accompagnata dal videoclip pubblicato in concomitanza con l'inizio del tour; "Eri con me", prima canzone scritta (con Sgalambro) per Alice dal 1982, da entrambi pubblicata nei rispettivi album dell'anno scorso e dal testo tragicomico ("Ciò che deve accadere, accadrà! [...] Eri con me, ma io non ero con te/ Sei con me, ma io non sono con te/ Ero con te, ma tu non eri con me" - nell'era degli sms, certi inconvenienti si possono facilmente evitare); "Quand'ero giovane" (introdotta dichiarando saggiamente di non credere nel giovanilismo), "Passacaglia"; "Aurora" ispirata a Ibn Hamdis.
Dopo questa prima fase, Battiato annuncia il ritorno ai brani dei dischi precedenti. Ecco così scorrere la sommessa preghiera di "L'ombra della luce", quindi la "Danza" (dall'opera "Telesio"), con un filmato che propone gli ologrammi ballerini delle rappresentazioni al Rendano di Cosenza. Come se l'intensità raggiunta non bastasse, giunge niente meno che "Lode all'inviolato" (purtroppo l'unica presente fra le canzoni di "Caffé de la Paix"), accompagnata da immagini di santi e filosofi, quindi "Giubbe Rosse" e "Mesopotamia" (col videoclip nel quale il Nostro mostra una delle sue grandi passioni: saltellare).
Poi, la solenne, inquietante "Il mantello e la spiga", funestata però da un filmato naif (lava e lapilli ad oltranza) e dalla momentanea impercettibilità del canto di Battiato, coperto dagli strumenti. Subito dopo, però, arriva il colpo a sorpresa: "Nomadi", intensa poesia in musica scritta da Juri Camisasca per Giuni Russo, poi rifilata per problemi di produzione ad Alice (che ha però avuto la saggezza di guardarsi bene dal lagnarsene) e poco dopo incisa da Battiato stesso.
E' la fase del concerto dal maggiore impatto: non può mancare "La cura", quindi si replica il sacrale lirismo di "Nomadi" con "E ti vengo a cercare" (necessario cantarla morettianamente), poi "La stagione dell'amore" con le silhouette dei balletti che fecero la fortuna del videoclip, nonostante Battiato sia ben lontano dallo sfoggiarvi "la grazia innaturale di Nijinsky".
Dopo gli applausi compare un'asta per il microfono: la band sta ancora introducendo "Bandiera bianca", in medley con "Up Patriots To Arms", e Battiato già si alza. Dopo un proclama populista (ringrazia la classe politica odierna per avergli ispirato la canzone che segue), inizia "Inneres Auge", che rivela più di una sfumatura: se la prima parte delle liriche rasenta una certa faciloneria, la seconda alterna un rimando a "Il simbolismo della croce" di René Guénon ("La linea orizzontale ci spinge verso la materia/ Quella verticale verso lo spirito") la cui coerenza col testo è rafforzata dalla strofa finale ("Ma quando ritorno in me/ Sulla mia via, a leggere e studiare/ Ascoltando i grandi del passato/ Mi basta una sonata di Corelli/ Perché mi meravigli del creato") che ribadisce un aspetto ricorrente del Battiato-pensiero degli ultimi anni: meglio sminuirsi al cospetto della grandezza che gonfiarsi di fronte all'iniquità.
Ancora assiso sul tappeto (volante, seppur non letteralmente), annuncia un trittico dalle sperimentazioni degli anni 70, per onorare la fedeltà dello zoccolo duro che lo segue da quattro decenni: si fa portare un theremin (lamentandosi del peso del marchingegno; l'addetto che non glielo ha portato abbastanza vicino è poi stato fustigato dietro le quinte da Sgalambro...). Ecco, allora, "Da Oriente a Occidente", "Aria di rivoluzione" e "Propriedad Prohibida", riguardo la quale lamenta il mancato pagamento dei diritti da parte del TG2 Dossier che da anni la usa nella propria sigla.
Torna in piedi per gli encore (senza la tradizionale entrata e uscita dal palco): finora affabile, diventa un poco piacione e, con disinvoltura da crooner, manovrando l'asta del microfono quasi fosse Freddie Mercury, accoglie i fan più esagitati che si sono radunati a saltare sotto il palco. Parte così l'energica tripletta "L'Era del Cinghiale Bianco"-"Cuccurucucù"-"Voglio vederti danzare".
E' chiaro che si tratti dei bis, ma lo scherzetto di restare sul palco prima di eseguirli illude i più ferventi ammiratori, che invocano un ritorno sul palco: ma sullo schermo scorrono crudelmente i cinematografici titoli di coda, con in sottofondo la title track del nuovo album.
Il concerto ha sfiorato le due ore, ma è stato tanto intenso da apparire ancora più lungo. Uno spettacolo generoso, offerto da musicisti convincenti e da un protagonista di classe.
1. Un irresistibile richiamo
2. Testamento
3. Quand'ero giovane
4. Eri con me
5. Passacaglia
6. La polvere del branco
7. Caliti Junku
8. Aurora
9. Il Serpente
10. L'ombra della luce
11. Telesio (Danza)
12. Lode all'inviolato
13. Giubbe rosse
14. Mesopotamia
15. Il mantello e la spiga
16. Nomadi
17. La cura
18. E ti vengo a cercare
19. La stagione dell'amore
20. Medley: Bandiera Bianca/ Up Patriots To Arms
21. Inneres Auge
22. Da Oriente a Occidente
23. Aria di rivoluzione
24. Propriedad Prohibida
25. L'Era del Cinghiale Bianco
26. Voglio vederti danzare
27. Cuccurucucù