22/03/2014

Rodríguez

Auditorium, Milano


di Davide Armento
Rodríguez
Erano mesi che si aspettava l'arrivo in Italia di Rodríguez. Da molti, l'evento, visto quasi come un avvento, era stato definito come uno degli spettacoli più interessanti del 2014, chissà se per una questione legata alla devozione nei confronti dell'artista di origini messicane, o perchè alcuni concerti, come quello dei Rolling Stones, non erano ancora stati annunciati.
Per questi ed altri motivi, per le date italiane si è verificato il sold out, mentre sul web c'era gente che rivendeva i biglietti a cifre piuttosto consistenti, ben lontane dal prezzo originale.

C'era dunque tanta attesa per Sixto Rodríguez, cantautore riscoperto grazie a "Searching for Sugar Man", documentario vincitore di un premio oscar nel 2013. Già dai primi pareri italiani, la figura di Sixto aveva creato opinioni discordanti: da un lato, gente appassionata alla sua storia avvincente, dall'altro, detrattori che hanno bollato il fenomeno "rodrigueziano" come qualcosa di passeggero, modaiolo e hipster. 
Ma andiamo con ordine.

E' sabato, e a Milano fin dal pomeriggio c'è una pioggia sottile e fastidiosa. 
L'apertura dei cancelli è prevista alle otto di sera, così, circa un'ora prima, mi dirigo in anticipo verso l'auditorium. All'ingresso stazionano i primi arrivati. Presente l'immancabile banchetto del merchandise.
Intanto, scopro che l'apertura cancelli è stata posticipata, c'è da aspettare ancora. La sala d'ingresso dell'auditorium continua ad accogliere persone, e subito mi rendo conto che il target attirato da Sixto Rodríguez è molto variegato: non solo hipster, non solo giovani, ma anche coppie sposate e signori over 50, nostalgici che, probabilmente, conoscevano già i due lavori di Sixto. 
In compagnia, ci orientiamo all'interno della struttura, cercando i posti riportati sui biglietti. Balconata numerata. E' la prima volta che visito il posto, quindi non so cosa aspettarmi, ma da qualche parte ho letto che la visibilità potrebbe essere limitata. Ad ogni modo, una volta seduti, la visuale non sembra affatto male. Le sale si stanno affollando e intanto vengono effettuate le ultime prove luci.

Nel giro di tre quarti d'ora, un po' in ritardo rispetto all'orario previsto, il buio avvolge l'auditorium, e sul palco si presentano due musicisti. Si tratta di quello che scoprirò poi essere Cory Becker, cantautore originario di St. Louis, stabilitosi a Los Angeles e che sta lavorando al suo debutto discografico, "Under A tree". Munito di un'acustica a sei corde, cappello che gli copre leggermente gli occhi e capelli che scendono sulla fronte e sulle orecchie, Cory è affiancato da un altro chitarrista che, seduto, esegue gli accompagnamenti con una slide guitar. La voce di Cory è struggente, va ben oltre la sua giovane età e appare logorata, probabilmente stanca. I due si lanciano in un breve set, dove il filo conduttore dei brani risiede nel genere, un folk malinconico, ridotto all'osso, a tratti cupo e solitario, che sfocia in sonorità country ben rappresentate dai lamenti della chitarra slide. Il brano più rappresentativo è sicuramente l'omonimo "Under A Tree". Il pubblico accoglie i brani con applausi, ma quello che a posteriori mi è sembrato mancare, è stato il pizzico di originalità e di genuinità in più, che andassero oltre le canzoni orecchiabili, oltre il personaggio dal look country costruito a tavolino.
Non che Cory non sia stato coinvolgente, ma non mi convince del tutto, complice, credo, la sua carriera ancora in fase embrionale e la mancanza di uno stile definito e maturo. In ogni caso, il suo primo lavoro servirà a darmi risposte e, spero, a smontare la suddetta idea.
Dopo aver salutato il duo, il palco viene sistemato, l'attesa cresce, la trepidazione coglie il pubblico: siamo curiosi di vedere quella che è diventata a tutti gli effetti una star, vista solo sul grande schermo, grazie al già menzionato e fondamentale "Searching for Sugar Man": perchè è grazie al documentario se per entrambe le date italiane si è verificato il tutto esaurito; un film che ha aperto gli occhi su un pezzo di storia musicale che, altrimenti, sarebbe rimasta sconosciuta a molti.

L'auditorium è pieno, la folla è stanca di aspettare, e dopo reiterati falsi allarmi, le luci si spengono leggermente, e sul palco compare la figura di Sixto Rodríguez, avvolto da un completo elegante grigio-blu, una camicia bianca e gli occhiali che da sempre lo contraddistinguono. Un cappello a cilindro nero, non troppo stabile, si erge sulla sua testa, e quasi ricorda uno Slash ante litteram. L'entrata è accolta da un boato plateale, c'è tanto entusiasmo e ci si spella le mani mentre un sorriso è stampato sui visi dei presenti. Ma c'è anche tanta curiosità. Rodríguez tentenna, cammina a fatica e raggiunge il centro del palco accompagnato forse da una delle sue figlie. Al suo fianco c'è un tavolino con delle bottigliette d'acqua e del the con miele (lo specificherà dopo lo stesso musicista, chiedendo se c'è "qualcos'altro" da poter bere) e ciò serve a spiegare le difficoltà motorie dell'artista. Ha settantadue anni, è provato dall'età e, in più, è semi-cieco per via di un glaucoma. E' la star che mi aspettavo? Sinceramente no, mi dico, perchè, ingenuamente, me lo immaginavo più giovane, proprio come nelle interviste presenti nel documentario; ma non ho tenuto in considerazione il fatto che quelle stesse interviste sono state girate nel 1997, diciassette anni fa, e dunque il tempo ha lasciato la sua impronta anche su un uomo dal fisico muscoloso come Sixto.   

"Ladies and gentlemen, Rodríguez!" E' solo sul palco, accompagnato da un altro suo simbolo: la chitarra.
Sono preso dall'inizio della performance, e così dimentico di annotare il brano. Non faccio in tempo, e solo da casa proverò a ricordarlo, tentando un "I think of You".
Il primo pezzo è andato e la folla è finalmente contenta, ma non soddisfatta, e attende ghiotta il secondo brano. Sul palco, un imbarazzato Rodríguez afferma "A questo punto, non dovrei più essere solo": e infatti lo raggiunge l'attuale band, line-up in continuo mutamento, che per la data in questione prevede un trio costituito da un chitarrista statunitense, un batterista inglese e una bassista neozelandese. 

Dunque, si parte. La scaletta si concentra soprattutto sui pezzi di "Cold Fact", ai quali si alternano brani da "Coming From Reality" e diverse cover ormai entrate a far parte del repertorio di Rodríguez. Si inizia con l'azzeccata "Climb Up on My Music", un vero e proprio invito lanciato al pubblico, come a voler dire: lasciatevi coinvolgere dalla mia musica, salite su questo carrozzone, vi racconterò storie e vi farò sentire liberi, poi scenderemo insieme. E' la messianica efficacia della poetica di Sixto - un caso il fatto che si chiami Jesus? -, semplice ma potente, da diventare un messaggio di forza e speranza nella Sudafrica degli anni dell'Apartheid. Si prosegue con brani come "Crucify Your Mind" e la più grintosa "Only Good for Conversation". Rodríguez beve ad ogni pausa tra un brano e l'altro, si sistema il cappello e accenna l'attacco dei pezzi, prima di sussurrare agli altri componenti della band il titolo del brano che suoneranno. Prima di "Can't Get Away" accenna le sue origini messicane e lancia un messaggio di pace per la questione socio-politica che sta interessando l'Ucraina e la Crimea. 
Ad un certo punto, arriva la più apprezzata "I Wonder", uno dei brani più attesi dal pubblico, che ne ricorda i versi e accompagna con elettrizzante energia e applausi ritmati l'intera esecuzione del brano. E poi, cover come "Blue Suede Shoes" e "Lucille", la prima più blues e la seconda urlata. E qui mi accorgo di un particolare non trascurabile, nè poi così difficile da intuire: la voce di Rodríguez cambia, è stridula, stonata nei momenti in cui c'è bisogno di salire di tonalità; in tali frangenti, l'età si fa sentire tutta, ma è comprensibile. Il pubblico capisce e perdona, sorvola su certe questioni e si gode più la presenza del cantautore, che cerca di muoversi come può, quasi colto da uno spirito blues che, interiormente, non è mai morto e vorrebbe esplodere e pervadere quel corpo stanco e segnato dal tempo. Nonostante i settantadue anni, però, il fisico è invidiabile. 
Poi è la volta di "Sugar Man", altro anthem cantato in coro dal pubblico. Brano censurato in Sudafrica per i suoi contenuti (sostanzialmente, si parla di droga), a fine esecuzione Sixto ci tiene a sottolineare che si tratta di una canzone descrittiva e non una "prescriptive song". 
Di tutt'altro sapore sono le cover "Unchained Melody" e "I Only Have Eyes for You", romantiche e personalizzate dalla timbrica inconfondibile di Rodríguez, che colpisce ancora oggi per la sua unicità. 
Siamo circa a metà concerto. Di quello che segue, rimangono impressi momenti importanti come "The Establishment Blues", accattivante e d'impatto, un brano di protesta duro e indirizzato senza fronzoli all'establishment, al potere che soffoca il popolo; la blues "Inner City Blues" e l'ultima, commovente cover di Frank Sinatra, "I'm Gonna Live Until I Die", brano che chiude il concerto e che lascia un senso di commozione, soprattutto mentre lo stesso Rodríguez esce di scena, nuovamente accompagnato dalla figlia, non prima di aver ringraziato per l'ennesima volta il pubblico: "E' un onore, un privilegio ed un piacere essere qui stasera". E sembra non voler lasciare il palco, si volta verso il pubblico salutandolo con la mano e un grande sorriso, prima di sparire nel buio, per non ricomparire. E' forse una delle scene più significative della serata.

Un concerto di certo non impeccabile, dove la band, seppur composta da musicisti preparati, ha accompagnato i brani con arrangiamenti moderni, che cozzavano completamente con lo stile Seventies del cantautore. L'acustica non è stata delle migliori, anzi è risultata confusa, impastata e a mio avviso con volumi regolati male e non del tutto soddisfacenti (il pubblico si è lamentato più volte del volume basso).

Ad ogni modo, una data da ricordare, quella di Milano, in cui uno spossato ma inarrestabile Rodríguez ha alimentato con parole e note un pubblico caloroso e, si spera, fedele.
Setlist

I Think of You
Climb Up on My Music
Crucify your mind
Can't Get Away
Only Good for Conversation
I Wonder
Blue Suede Shoes (cover)
Lucille (cover)
Sugar Man
Unchained Melody (cover)
Rich Folks Hoax
I Only Have Eyes for You (The Flamingos Cover)
Like Janis
This is not a song, it's an outburst, or The Establishment Blues

Fever (cover)
Forget it
Inner City Blues
To Whom It May Concern
I'm Gonna Live Until I Die (cover)