26/06/2015

Holly Herndon + Adele H

Fabbrica del Vapore, Milano


Dopo la maratona trance-tribale della rassegna #MASH, S/V/N torna a esercitare la funzione per cui si è affermata nell'ambiente milanese: portare in città i nomi di primissimo piano dell'attuale scena elettronica. Non poteva davvero mancare all'appello la giovane conferma più chiacchierata del momento: la recente uscita per 4AD ha garantito alla talentuosa Holly Herndon una risonanza mediatica invidiabile, che le ha già assicurato importanti ospitate nei festival di tutta Europa e oltre, dal Sónar di Barcellona al Rewire (Paesi Bassi), dal Donaufestival austriaco al Big Ears nel Tennessee.

La location meneghina prescelta per l'evento è la Fabbrica del Vapore, e non è certo un caso: a richiederlo è il genius loci, che identifica questo luogo come un tempio della videoarte e della multimedialità, discipline che caratterizzano in maniera tutt'altro che secondaria i live act della Herndon, primogenita di un'èra digitale che mai come ora si manifesta in tutte le sue potenzialità come nel suo risvolto distopico, un horror vacui che ogni giorno di più si affaccia dai nostri schermi portatili.
Un grande schermo bianco e opaco sovrasta la sala del concerto, e a farne uso per prima è la performer che accompagna la “dark lady” Adele H: mentre quest'ultima si esibisce in un canto tormentato su basi percussive di piombo, l'ombra dell'altra si dimena scompostamente in un ballo primitivo e muscolare; un'atmosfera greve che rievoca i primi vagiti di Zola Jesus affiancati all'indole bestiale della collega maledetta Pharmakon – benché senza le sue distorsioni estreme. Un accostamento curioso, quasi agli antipodi rispetto agli scenari del main act che avrà inizio poco dopo.

Il caschetto e la treccia della fascinosa Herndon richiamano l'attenzione del pubblico: ora sullo schermo sono comparse due schermate in stile “blocco note”, con un invito a spedire via sms domande e pensieri in diretta; l'assistente e compagno di vita di Holly, Mat Dryhurst, riporta diligentemente un paio di righe, prima di dedicarsi ai visual veri e propri. L'eco armonizzata della cantante risuona con lo stesso distacco della dimensione parallela proiettata alle sue spalle: un universo di cartonati digitali si materializza, si disperde e si moltiplica senza un filo logico, imitando il proliferare incontrollato di input binari nel World Wide Web.
Non si sa fino a che punto fosse lecito attendersi un'esibizione estrosa e “psichedelica”, ma nel contesto live – a differenza del collage dinamico di “Platform” – l'attitudine della Herndon sembra molto più orientata alla techno da club che non alla sperimentazione vocale che ha fatto la fortuna del suo ultimo album.

C'è molto beat da stordimento e altrettanti flash a intermittenza, ma il pubblico sembra non voler farsi trascinare dal ritmo e si concentra sull'esperienza d'insieme, quasi si trattasse di una imperscrutabile installazione audio anziché di un concerto. Anzi, è forse proprio questa la chiave di lettura di una serata alquanto atipica, sostenuta da sensazioni contrastanti ma che trascinano la curiosità fino all'ultimo minuto, per cercare di comprendere in che punto finisce l'elemento umano – nel caso specifico la voce – quando a sovrastarlo c'è un incontenibile riversamento di scorie digitali, tanto che divengono esse stesse le protagoniste dell'evento. Di rassicurante rimane solo l'affettuoso saluto di Holly, come a ricordarci che il vero incubo digitale, al momento, è ancora soltanto una messinscena.