Nasce come manifesto di intenti questa prima serata al Samo organizzata dal collettivo Dotto, e non potrebbe nascere meglio. Un po’ per l’atmosfera della serata, promossa non poco dal vero spirito underground del locale, industriale ma senza sciccherie; un po’ perché, nonostante l’ombra cupa del C2C che incombe sulla serata, il numero degli avventori – quasi tutti interessati, qualcuno addirittura esaltato - raggiunge agilmente le tre cifre, cosa che non era da dare per scontata.
Ma soprattutto perché Dotto ha saputo mettere insieme due campionesse dell’alt-rock di quest’anno: Frances Quinlan e Adele Nigro. Folletto dalla vocalità impazzita e schizofrenica la prima, un esplosivo talento di songwriting la seconda. Chi non ha imparato a memoria, ormai, gli anthem a presa rapida di “Silently. Quietly. Going Away.”? È quello che viene da chiedersi, sul serio, dopo i chili di interviste, comparsate, che stanno capitando agli Any Other in questo periodo – a volte quello che sembra un mostro velocissimo nella realtà virtuale, non è che un topolino spelacchiato per le strade.
Eppure il pubblico in questo sabato sera ascolta con attenzione non solo i campioni locali, i New Adventures In Lo-Fi, che anche in veste di organizzatori fanno gli onori di casa (e testano un’acustica davvero complicata da organizzare in questo open space lungo e stretto, con le casse che sbraitano appena fuori il palco-cantuccio), ma anche la band veronese, vero opening act della serata. Nonostante i vent’anni che trasudano da quell’angolo, quella introversione impacciata che ti viene quando dentro di te ti senti meglio che fuori, il live degli Any Other è centrato e senza fronzoli proprio come il disco, ed è sorretto in particolare dalla prestazione solida e coreografica di Erica Lonardi alla batteria. Erica saltella sul suo predellino, e intanto si ritorna adolescenti con le chitarre che drenano via di “Blue Moon”, o lungo la felice strimpellata Mascis-iana di “5:47 PM”. Al Samo si perdono un po’ la dinamica chitarra-basso e il loro sound, che ci si aspetterebbe essere più secco, e a volte una seconda chitarra non starebbe male per dare qualche texture in più agli intermezzi strumentali (come su disco, del resto, con buona pace dell’estetica “triangolare”) ma i brani si attaccano come sempre al cuore, e vorresti che ci fosse una folla a intonare con Adele la chiusura “Silently/Quietly/ Going away” della finale “To The Kino, Again”.
Così è forte l’impatto con il rock alternativo ma ormai “professionale” degli Hop Along, che anche dal vivo conferma reggersi soprattutto sulle interpretazioni sempre incredibili di una Quinlan in splendida forma. E sulla sua penna impazzita, che incolla insieme spezzoni di alt-rock chitarristico come in una specie di decoupage musicale, mischiando, come in “The Knock”, hard-rock e power-pop, proponendo accelerate e improvvisi stop’n go, alternando urla, falsetto e toni espirati come in uno spettacolo di ventriloquia. I brani appaiono così come mirabili prove di forza, per la band, che sicuramente ha avuto un grande ruolo nella costruzione di questo monumento californiano che è “Painted Shut” - di cui brani come “Powerful Man” e “Waitress” (altre dimostrazioni di trasformismo vocale, davvero impervie dal vivo) rappresentano le pietre angolari, con la loro andatura loose e gli arrangiamenti iguanoidi e camaleontici di Joe Reinhart a cercare di dare un’ambientazione riconoscibile al tutto.
Arrangiamenti più costruiti che emergono nel confronto con la più monolitica hit “Tibetan Pop Stars”, i suoi rocciosi movimenti ondulatori possono sembrare grezzi e acerbi, ma non presentano quell'anonimità di fondo di "Painted Shut", che emerge alla distanza anche nello show. D'altra parte, le code di “Texas Funeral” (“None of/ this is gonna happen/ to me”), di una “Happy To See Me” con cui Frances introduce l’ultimo pezzo (niente encore) da sole meriterebbero maggior fortuna, con un coro, un salto, qualche spinta. Così come la chiusura gloriosa affidata a “Sister Cities”. Ma, si sa, quando le cose si mettono così bene, viene facile volere di più, in questo caso volere tutto. In questo caso, soprattutto se si ha ormai un’età, meglio tornare a casa senza aver versato una goccia di sudore (grazie al bell’ambiente ampio del Samo), dopo aver visto tante belle facce felici, una comunità che finalmente si scopre riunita e appassionata. Alla faccia di chi non fa venire gli artisti a suonare in Italia.
Contributi fotografici di Stefano Ferreri