"Mamma mia, che cazzo!"
No, il linguaggio di Madonna durante il concerto non è stato propriamente regale, ma l'accoglienza riservatale dai fan durante la seconda (inizialmente prima) delle tre date torinesi al Pala Alpitour è stata esattamente quella che si addice a una vera regina. Nemmeno l'estenuante fila nel gelido pomeriggio piemontese, dovuta agli eccezionali controlli antiterrorismo, è riuscita a raffreddare il contagioso entusiasmo del pubblico durante la sua esibizione. Perché ogni volta che la Ciccone riprende a calcare i palcoscenici con un nuovo tour, stampa e opinione pubblica tornano soprendentemente a concordare unanimi sulla controversa artista: nessun altro ancora è in grado di imbastire uno spettacolo multimediale come lei, capace di unire musica pop e video-art, alta moda e danza moderna, tecnologia e musical. E proponendo quasi per intero l'ultima fatica discografica. Non fa eccezione questo "Rebel Heart Tour" che, forte di recensioni e riscontri entusiastici in Nord America, ora sta attraversando con successo l'Europa.
Lo spettacolo inizia con un pugno allo stomaco, un angosciante videoclip ci mostra la diva imprigionata e picchiata. La metafora non è delle più sottili, la Ciccone riesce ovviamente a ribellarsi e invita gli spettatori a seguirla nella sua rivoluzione d'amore. Chi conosce il personaggio può facilmente immaginare di cosa si tratti, ed eccola quindi arrivare sul palco in un tripudio di grida e applausi, agghindata da guerriero tartaro e chiusa in una gabbia calata dall'alto, pronta a misurarsi contro un'orda di samurai sulle convulse note di "Iconic". Ma è scatenandosi con l'irriverente "Bitch I'm Madonna" che la cantante, accompagnata dalle sue geishe ribelli, sembra voler ribadire la sua lotta contro i pregiudizi: sull'età, sulle sue scelte artistiche e il suo essere donna di successo. Imbraccia una Gibson Flyin V e manda letteralmente a fuoco il Pala Alpitour con una rockeggiante "Burning Up" per poi dedicarsi al suo argomento preferito, la ribellione ai dogmi religiosi. Con i cupi battiti di "Holy Water" (mescolata a "Vogue") l'atmosfera si fa peccaminosa, tra suore discinte che praticano lap-dance sulle croci e una spettacolare ultima cena leonardesca in versione orgiastica, per culminare con un'inaspettatamente acclamata "Devil Pray".
Fin qui ordinaria aministrazione (solo per una come lei), il concerto è esattamente ciò che ci si apettava: ritmo serrato, sonorità sempre attuali, incredibili proiezioni tridimensionali, costumi da kolossal hollywoodiano, la sua rodata band relegata ai lati del sontuoso palco e un incredibile corpo di ballo che non è mai di contorno ma sempre protagonista.
Lo spettacolo però non vuole fare sfoggio di sola tecnologia, l'atmosfera si fa quindi più semplice e come in un flashback ci ritroviamo nel midwest americano degli anni 50, e tra officine meccaniche e desolati diner assistiamo alla più classica storia d'amore adolescenziale. Col balletto à-la "Grease" della delicata "Body Shop" e la tenerezza country di "True Blue", Madonna mette in scena la nascita di un sentimento che si fa sempre più impetuoso durante una travolgente performance disco di "Deeper And Deeper". Con "HeartBreakCity" e "Love Don't Live Here Anymore" arriva anche l'inevitabile delusione amorosa che la Ciccone canta, con voce potente e affranta, su e giù da un'imponente scala a chiocciola. Non le resta che ripartire daccapo, non a caso con una ruvida versione di "Like A Virgin": è sola, a danzare libera sulla lunga passerella, senza ballerini e video di contorno, bastano solo il suo carisma e un classico intramontabile per far capitolare la folla ai suoi piedi.
L'adolescente lascia quindi nuovamente spazio alla più matura combattente che celebra l'amore. Riappare in scena sontuosamente, bardata con un lunghissimo mantello viola per ripetere l'esibizione che qualche mese fa l'aveva vista cadere rovinosamente dal palco in diretta mondiale. Nessun incidente tecnico stavolta e, nonostante lo scheletrico trattamento remix riservato a "Living For Love" non renda del tutto giustizia al pezzo, l'elaborata coreografia della Madonna
matador coinvolge un po' tutti. Una fedele versione della celebre "La Isla Bonita" inaugura poi una festa di suoni e colori latini che contagia i presenti e la stessa Ciccone, divertita ma incosciente nello trasfigurare in versione
salsa classici anni 80 come "Dress You Up", "Into The Groove" e "Lucky Star" in un simpatico ma non del tutto riuscito
medley.
La scena si sposta quindi sul palchetto cuoriforme a fine passerella e l'atmosfera si fa più intima con la diva che, accogliendo le richieste dal
parterre, regala al pubblico torinese un'acustica e accorata versione di "Secret". Visibilmente soddisfatta dal caloroso riscontro, ricambia prima con una "Ghosttown" cantata all'unisono col pubblico e poi con l'autobiografico pezzo che intitola l'
ultimo album. Sono i momenti più applauditi dell'intero spettacolo.
Ci si avvia verso il finale, i ballerini/acrobati lasciano tutti a bocca aperta danzando "Illuminati" dall'alto di lunghi pali flessibili e ci conducono in un luccicante jazz-club anni 20 dove una Madonna
charleston prima ci ammalia con una soffusa "Music" per poi farla andare su di giri e inaugurare il suo party antiproibizionista a suon di alcol, risse e ballerine in
topless. Conquistano i presenti anche una incredibilmente energica "Candy Shop" e una più seriosa "Material Girl", alla fine della quale una velata Ciccone chiede la mano a un giovane fan. La scarsa dimestichezza del ragazzo con l'inglese le dà lo spunto per un'esilarante serie di
gag, prima di imbracciare l'ukulele per dedicare ai figli il classico di Edith Piaf "La Vie En Rose", che stupisce per l'ottima resa vocale.
Si torna quindi a muovere i piedi con le ritmiche
dancehall di "Unapologetic Bitch", invita un altro fortunato fan a salire sul palco, balla e scherza con lui e poco dopo uno sboccato saluto appare scritto sullo schermo: le luci si spengono e il concerto finisce improvvisamente così. Stavolta un bis sarebbe d'obbligo e infatti, proprio mentre qualcuno inizia ad abbandonare le tribune, la cantante ritorna avvolta nella bandiera italiana e accompagnata da tutto il corpo di ballo in
déshabillé come nel più classico degli
afterparty, e si balla ancora sulle note della gioiosa "Holiday". Esce definitivamente di scena così come vi era entrata, volando via tra gli applausi e scomparendo dietro gli imponenti megaschermi, ringraziando calorosamente.
Sono passati ben 28 anni da quando Madonna, proprio a Torino, tenne il suo primo concerto italiano ed è stata una sorpresa notare come stavolta, forse complice la riappacificazione col suo catalogo più vecchio, sia riuscita a recuperare l'ingenua spontaneità di quei giorni, accantonando l'ineccepibile ma algida performer che spesso dominava le sue più recenti tournée, e ricercando in continuazione l'interazione fisica e verbale (spesso con un buffo italiano maccheronico) coi suoi ammiratori in visibilio.
Sarà per via dell'età che avanza (per lei e parte del suo pubblico) o più semplicemente per la sua naturale propensione a trasformarsi sempre in qualcos'altro, ma raramente era accaduto che le canzoni e le sue interpretazioni fossero così in primo piano nei suoi ultimi spettacoli, supportate ma non soffocate dal lussuoso allestimento scenico. Un'ulteriore e inevitabile maturazione, decisamente ben accolta.
Un sentito ringraziamento a Carlo William Rossi per il reportage fotografico