11/09/2015

Metz

Init, Roma


Due dischi che complessivamente occupano poco più di un’ora di musica, brani chirurgicamente brevi studiati per non annoiare mai, l’estetica hardcore e grunge come Dna naturale, riversata in contenitori marchiati a fuoco Sub Pop, tracce devastanti su supporto fisico, figuriamoci in un raccolto live club.
Si parla sempre più di questi tre ragazzi canadesi, al secondo sbarco romano nel giro di due anni e mezzo, “Metz” fu disco fulminante, “II” compie il miracolo di essere per alcuni versi ancor più convincente.

His Electro Blue Voice aprono, altro affare Sub Pop, anche se in questo caso il trio è italiano DOC, vincono ma non convincono, imprigionati in una formula che è agli antipodi rispetto a quella dei Metz: i brani di “Ruthless Sperm” vengono diluiti con code strumentali psych-noise un po’ troppo ripetitive, e si perde il beneficio della sintesi, vero punto di forza di Alex Edkins e soci.
I Blue Voice hanno anche un cambio di formazione, ma il palco lo tengono bene, senza sfigurare, il pubblico apprezza, applaude, partecipa, anche se smania perché sono tutti qui per i tre furetti di Toronto.

Poi è solo devastazione sonora, sin dalle prime note di “The Swimmer” i Metz compiono nuovamente il miracolo di far rivivere gli anni 90, e lo fanno con la consumata sicurezza di chi non vanta alcun timore reverenziale nell’essere  paragonato (cito l’esempio più abusato) ai Nirvana.
I tre in realtà non si limitano a replicare l’atmosfera dell’epoca, bensì la traslano nella contemporaneità, condensando furia viscerale e teen spirit in un caos comunque ordinato, curando ogni singolo dettaglio, senza lasciare un solo momento di stanca né mediazione alcuna, con il substrato hardcore che resta costantemente dominante.

Le dodici canzoni in scaletta sono tutte arrembaggi sonici, suonate come se non ci fosse un domani: la sezione ritmica è indiavolata, Edkins nonostante un viso a metà strada fra Harry Potter e un impiegato di banca incendia la platea fra brevi slogan urlati alla folla e la Jazzmaster che infierisce fra riff e noise.
Le punte di massima deflagrazione sopraggiungono in corrispondenza di “Knife In The Water” e “Spit You Out”, vere dichiarazioni d’intenti del sound dei Metz, i brani dei due album fin qui pubblicati si miscelano senza problemi come frutti di un’unica interminabile session.

Un’accoppiata di rarissima potenza e intensità si abbatte sul pubblico per circa cinquanta minuti, suonati come se fossero gli ultimi della propria vita, a suggello di un percorso che si sta facendo decisivo nello snodo della scena post-hardcore degli anni 10.
“Wet Blanket” manda tutti a casa sbalorditi, la platea vorrebbe di più, ma quel che abbiamo visto può bastare, per confermarci che i Metz sono fra le stelle più luminose del firmamento musicale del nuovo millennio.