
Con "Supercodex", l'ultimo album del 2013, Ikeda spinge agli estremi la sua ricerca sonora, riducendo la composizione musicale ai minimi. Sul palco di Interzona (Verona), Ikeda dà vita a una performance più che a un concerto: l'ascoltatore è ingabbiato visivamente nelle immagini che appaiono sull'enorme schermo, reale fulcro della scena più che l'artista stesso, e ciò si rivela elemento di particolare interesse che scardina la liturgia classica dei concerti dove tutto ruota intorno al corpo del musicista.
Le immagini in rigoroso bianco e nero si fondono con i suoni austeri: tra combinazioni e campionamenti, la melodia svanisce in infinite sequenze di codice binario. Ikeda, imperturbabile e imperscrutabile, coordina suoni e immagini dietro lo schermo del suo pc, riducendo i suoni all'essenziale dell'essenziale, tanto che, in alcuni passaggi, sembra di ascoltare fuochi d'artificio che esplodono in forma digitale.
Alla fine dell'esperienza (45 minuti circa), ci si chiede cosa potrebbe accadere dopo, quali saranno gli ulteriori sviluppi di questa ricerca sonora così estrema o se Ikeda abbia ormai chiuso un capitolo.