10/05/2016

Motorpsycho

Init, Roma


Quasi tre decenni di dischi pubblicati con rigorosa cadenza annuale, sempre presenti in Italia nei loro tour europei primaverili, ormai di casa a Roma, e ogni volta la sensazione è che il flusso di pubblico diventi maggiore rispetto al passato.
Con il passare del tempo la band norvegese alimenta il proprio culto attraverso album che non scontentano (quasi) mai lo zoccolo duro dei vecchi fan, riuscendo al contempo a conquistarne di nuovi. Così, se di solito stavamo abbastanza larghi ai loro concerti negli anni 90, oggi l’Init realizza un sold-out che mette a dura prova i presenti, in parte frastornati dalla folla numerosa, in parte dal caldo, in parte da canzoni a volte tirate davvero un po’ troppo per le lunghe.

Ed è un peccato, perché il repertorio dei Motorpsycho è sterminato e costellato di brani che meriterebbero di trovare posto in qualsiasi ipotesi di scaletta, e invece il gusto per la dilatazione prende il sopravvento, in maniera a tratti eccessivo, tanto che dopo la prima ora di show le canzoni rappresentate risultano appena quattro.
Ma una di queste si intitola “Flick Of The Wrist”: un regalo che lascia tutti di sasso, una delle perle nascoste dei norvegesi, pubblicata nell’Ep “Starmelt/Lovelight” (era il 1997) e che soltanto i fan rigorosamente completisti riconoscono, una cavalcata elettrica che da sola ripaga l'instancabile fedeltà verso questa band.

I Motorpsycho tengono molto al proprio repertorio recente, e per far spazio a questo vengono tralasciati troppi gioielli prodotti negli anni 90, quando la formazione guidata da Snah e Bent fu in grado di realizzare un filotto clamoroso con pochi eguali al mondo.
Ma è proprio quando affondano le mani nel cesto dei ricordi che arrivano i momenti più acclamati ed emozionanti, in particolare in corrispondenza di “Feel”, della versione acustica di “Wearing Yr Smell” (entrambe ripescate da Timothy’s Monster”, così come la successiva “Watersound”), della doppietta da “Demon Box” formata da una brillantissima “Junior” e dalla potente e intransigente “Feedtime” (roba da ridicolizzare qualsiasi gruppo proto-metal), ma soprattutto da uno dei pezzi più amati della loro discografia, la sempre elettrizzante “S.T.G.” (da “Blissard”, qualora servisse scriverlo).

Per il resto la scaletta è incentrata sugli episodi tratti dall'ultimo “Here Be Monsters” (la title track, suonata come unico bis, supera abbondantemente i venti minuti di durata) e da qualche ripescaggio dal repertorio più recente.
Al solito un’esibizione compatta e senza sbavature, che manda a casa tutto il pubblico stremato e soddisfatto dopo due ore e tre quarti di psichedelia lisergicamente dilatata che non scende mai a compromessi, proposta da una delle band più integerrime e sottostimate (ma non da noi) degli ultimi trent’anni.